Usi e abusi della lingua italiana: “Ti storpio l’italiano a colpi di inglese”
La bella espressione gergale “Parla come magni”: è il modo autoctono e beffardo che si usa a Roma per invitare l’interlocutore compiaciuto e spesso un po’ tronfio a tornare alla realtà, ad abbandonare il cosmopolitismo senza radici. Include lo sberleffo verso chi infarcisce il discorso di parole straniere, possibilmente inglesi o appartenenti all’anglosfera, evitando l’uso di lemmi italiani.
“L’inglese è più preciso”, si giustifica il locutore anglofilo ma spesso ciò che dice è incomprensibile persino agli anglofoni.
Ci sono politici e manager con la parlata inglese alla “vaccinara” che si stempera nell’anglofilia e nel ridicolo fra le nebbie dell’approssimazione fonetica. Fra loro è diffuso il vezzo di “infarcire” i discorsi con parole anglosassoni, spesso sbagliando pronuncia o travisando il significato.
Usano l’itanglese, un gergo che rende ridicoli nell’espressione scritta e parlata.
L’itanglese è la lingua italiana caratterizzata dall’intrusione o dal frequente ricorso arbitrario di termini e locuzioni inglesi, usata da chi soffre del “morbus anglicus”. Gli esempi più evidenti si possono riscontrare in ambito aziendale e nei linguaggi settoriali dove, oltre al consistente utilizzo di parole inglesi, anche quando l'italiano prevede una o più valide alternative, sono stati coniati neologismi ibridi fra le due lingue, usati come tecnicismi.
Prima della moda dell’anglofonia degli ultimi trent’anni ci fu negli anni ’50 dello scorso secolo l’american-fonia di "Nando Moriconi", il personaggio interpretato da Alberto Sordi.
Nel film del 1953 “Un giorno in pretura”
Nando: “Moriconi Ferdinando, detto l’americano”…., “americano del Kansas City”, con il suo stravagante abbigliamento, e la pseudo parlata yankee.
Anche nel film del 1954 “Un americano a Roma” Nando Moriconi è un giovanotto di Trastevere infatuato dell'America e degli americani, in modo velleitario vorrebbe trasferirsi negli Stati Uniti, a Kansas City: è la sua suprema aspirazione. Nel frattempo per appagare come può la sua mania, cerca d'imitare gli usi e gli atteggiamenti americani, ripetendo frasi sentite nei film.
La bella espressione gergale “Parla come magni”: è il modo autoctono e beffardo che si usa a Roma per invitare l’interlocutore compiaciuto e spesso un po’ tronfio a tornare alla realtà, ad abbandonare il cosmopolitismo senza radici. Include lo sberleffo verso chi infarcisce il discorso di parole straniere, possibilmente inglesi o appartenenti all’anglosfera, evitando l’uso di lemmi italiani.
“L’inglese è più preciso”, si giustifica il locutore anglofilo ma spesso ciò che dice è incomprensibile persino agli anglofoni.
Ci sono politici e manager con la parlata inglese alla “vaccinara” che si stempera nell’anglofilia e nel ridicolo fra le nebbie dell’approssimazione fonetica. Fra loro è diffuso il vezzo di “infarcire” i discorsi con parole anglosassoni, spesso sbagliando pronuncia o travisando il significato.
Usano l’itanglese, un gergo che rende ridicoli nell’espressione scritta e parlata.
L’itanglese è la lingua italiana caratterizzata dall’intrusione o dal frequente ricorso arbitrario di termini e locuzioni inglesi, usata da chi soffre del “morbus anglicus”. Gli esempi più evidenti si possono riscontrare in ambito aziendale e nei linguaggi settoriali dove, oltre al consistente utilizzo di parole inglesi, anche quando l'italiano prevede una o più valide alternative, sono stati coniati neologismi ibridi fra le due lingue, usati come tecnicismi.
Prima della moda dell’anglofonia degli ultimi trent’anni ci fu negli anni ’50 dello scorso secolo l’american-fonia di "Nando Moriconi", il personaggio interpretato da Alberto Sordi.
Nel film del 1953 “Un giorno in pretura”
Nando: “Moriconi Ferdinando, detto l’americano”…., “americano del Kansas City”, con il suo stravagante abbigliamento, e la pseudo parlata yankee.
Anche nel film del 1954 “Un americano a Roma” Nando Moriconi è un giovanotto di Trastevere infatuato dell'America e degli americani, in modo velleitario vorrebbe trasferirsi negli Stati Uniti, a Kansas City: è la sua suprema aspirazione. Nel frattempo per appagare come può la sua mania, cerca d'imitare gli usi e gli atteggiamenti americani, ripetendo frasi sentite nei film.