Così, dopo il pranzo, una gran massa di uomini e donne si affollò nel centro del paese, tanto che vi si stava a stento, tutti con un gran desiderio di vedere la famosa penna. Frate Cipolla, dopo aver ben pranzato e ben riposato, alzatosi poco prima delle quindici, si accorse che si era ormai radunata una gran quantità di contadini
per vedere la penna;
allora mandò a dire a Guccio Imbratta di venire con le campanelle, portando le bisacce. Questi, staccatosi con qualche fatica dalla cucina e dalla Nuta,
raggiunse il centro del paese a passo lento, ansimando, perché il bere smodatamente lo aveva appesantito; seguendo gli ordini portò campanelle e bisacce di frate Cipolla, il quale si pose sulla porta della chiesa e cominciò a suonare le campanelle.
Quando tutto il popolo si fu radunato, frate Cipolla, senza essersi accorto di ciò che era successo alle sue bisacce, cominciò la sua predica e fece un lungo discorso, molto opportuno per i suoi scopi. Poi, essendo giunto il momento dell’esposizione della penna, dopo aver recitato solennemente il “Credo”, fece accendere due grossi ceri e, toltosi il cappuccio, in segno di reverenza, cominciò lentamente a sviluppare il drappo di seta che avvolgeva la cassettina. A questo punto disse alcune parole in lode dell’arcangelo Gabriele e della sua reliquia, quindi aprì la cassetta
Quando la vide piena di carboni, non pensò affatto che ne fosse responsabile Guccio Balena, perché non riteneva che fosse abbastanza furbo per un’azione del genere e neppure lo maledisse, per non aver impedito che altri la facesse, ma bestemmiò silenziosamente contro se stesso
, che aveva affidato le proprie cose a Guccio, conoscendolo negligente, disubbidiente, trascurato e smemorato. Tuttavia, senza cambiar colore, alzò la faccia e le mani al cielo
e disse ad alta voce, in modo che tutti lo udissero: – O Dio, sempre sia lodata la tua potenza! –. Poi richiuse la cassetta e, rivolto ai fedeli, disse: – Signori e donne, voi dovete sapere che, quando ero ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle terre dove il sole brucia
rendendo terra, sabbia, e mi fu affidato l’incarico di cercare, finché non li trovassi, reliquie dei santi. Per questa ragione, messomi in cammino, allontanandomi da Vinegia e andandomene per il Borgo dei Greci, quindi cavalcando per il Regno del Garbo e per Baldacca, giunsi in Parione dove, non senza soffrire la sete, dopo parecchio tempo giunsi in Sardegna. Ma perché vi vado enumerando tutti i paesi in cui sono capitato? Io finii, passato il braccio di San Giorgio, in Truffia e in Buffia, paesi molto abitati e con popoli numerosi, e di lì pervenni nella terra di Menzogna,
dove trovai molti dei nostri frati e di altri ordini religiosi
i quali andavano tutti tentando di evitare i disagi per amor di Dio, poco curandosi della fatica degli altri, se c’era la possibilità di guadagnarci. Dopo giunsi alle montagne dei Baschi
dove tutte le acque scorrono verso il basso. In breve mi addentrai talmente nel territorio, che io arrivai fino in India Pastinaca, là dove, ve lo giuro per l’abito che porto addosso, io vidi volare i pennati, cosa incredibile per chi non l’avesse vista con i suoi occhi. Ma non potendo trovare ciò che cercavo, poiché da lì in avanti si può procedere solo per via d’acqua, tornandomene indietro, arrivai in quelle Sante Terre, dove durante l’estate il pane freddo vale quattro denari e il caldo si ha per niente. Qui trovai il venerabile padre Non-mi-blasmate-se-voi-piace, degnissimo patriarca di Gerusalemme, il quale, per riguardo all’abito di Sant’Antonio che io porto, volle che io vedessi tutte le sante reliquie,
che egli aveva presso di sé.
Ce n’erano tante che, se io anche volessi contarle, non ci riuscirei neppure in parecchie miglia; tuttavia, per non deludervi, ve ne elencherò alcune. Egli mi mostrò in primo luogo il dito dello Spirito Santo, così fermo e così saldo, come non fu mai; poi un ciuffo di capelli del serafino che apparve a San Francesco; un’unghia dei cherubini; una delle costole del Verbum-caro-fatti-alle-finestre, alcuni abiti della santa Fede cattolica; molti raggi della stella che apparve ai tre Re Magi in oriente; un’ampolla del sudore di San Michele, quando combatté col diavolo; la mascella di San Lazzaro; uno dei denti della Santa Croce; una ampolletta col suono delle campane del Tempio di Salomone; la penna dell’arcangelo Gabriele, della quale vi ho parlato. Il patriarca mi diede anche dei carboni,
con il quale fu arrostito il beatissimo martire San Lorenzo. Io mi sono portato tutte quelle reliquie in convento e le ho tenute tutte. È vero che il mio superiore non ha mai permesso di mostrarle prima di verificare se sono autentiche o no, ma grazie ad alcuni miracoli fatti da esse e ad alcune lettere ricevute dal patriarca, ora si è convinto della loro autenticità e mi ha dato licenza di mostrarle. Io, temendo di affidarle ad altri, le porto sempre con me. A dir la verità, io porto la penna dell’arcangelo Gabriele in una cassetta,
affinché sia al riparo, e i carboni, con cui fu arrostito San Lorenzo, in un’altra, ma le due cassette sono così somiglianti, che spesso mi è successo di scambiarle, come è successo oggi: infatti io credevo di aver portato qui la cassetta con la penna, mentre ho portato quella con i carboni. Tuttavia io non credo che sia stato un errore, anzi, mi pare che sia stata la volontà di Dio e che Egli stesso mi abbia posto nelle mani la cassetta dei carboni, per ricordarmi che fra due giorni sarà la festa di San Lorenzo. Perciò Dio ha voluto che io, mostrandovi i carboni con cui il santo fu arrostito, ravvivi nelle vostre anime la devozione che dovete avere in lui. Perciò voi, figli miei benedetti toglietevi i cappucci e avvicinatevi devotamente a vedere i carboni.
Prima, però, voglio che sappiate che chiunque sia toccato con un segno di croce da questi carboni, per tutto l’anno potrà essere sicuro che il fuoco non lo brucerà senza che lo senta. Dopo che ebbe detto ciò, cantando una lode di San Lorenzo, aprì la cassetta e mostrò i carboni. Dopo che la moltitudine di gonzi li ebbe contemplati a lungo con devozione, tutti si affollarono intorno a frate Cipolla, dando offerte
più generose del consueto e scongiurandolo di toccarli con la reliquia. Per questa ragione frate Cipolla, presi in mano i carboni, cominciò a tracciare le croci più grandi che riusciva a fare sopra i loro camicioni bianchi, i loro farsetti, i veli delle donne, affermando che quanto più si consumavano facendo quelle croci, tanto più ricrescevano poi nella cassetta, così come più volte aveva costatato. In questo modo, oltretutto, ricevendo moltissime offerte per aver segnato con una croce di carbone tutti i certaldesi, con una pronta trovata riuscì a prendere in giro coloro che, sottraendogli la penna, avevano voluto beffarlo.
Costoro, presenti alla sua predica, dopo aver udito quale straordinario rimedio aveva trovato e come avesse preso il discorso alla lontana per cavarsi d’impiccio, avevano tanto riso da smascellarsi. Dopo che la folla dei fedeli creduloni si fu allontanata, si avvicinarono a lui facendogli gran festa e gli rivelarono ciò che avevano fatto; quindi gli resero la sua penna,
la quale l’anno seguente gli rese non meno di quanto, quel giorno, gli avevano reso i carboni.
E questa è la storia di fra Cipolla, che ben si districò dal suo problema, tanto che meriterebbe un plauso disse Dioneo; e ora che ci siamo tutti in quanto vedo che i due latitanti stan tornando, con il permesso della Regina di questo sesto giorno
bellissima e dolce Elissa
propongo di terminar in gloria con canti, balli e nel ritornar alla magione per un buon desinare e un lieto bere!