Il “pessimismo cosmico” di Giacomo Leopardi: “Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla” (dallo “Zibaldone”).
Leopardi osservava: “… quel piacere che l’animo prova nel considerare e rappresentarsi non solo vivamente, ma minutamente, intimamente, e pienamente la sua disgrazia, i suoi mali; nell’esagerarli, anche a se stesso, se può (che se può, certo lo fa), nel riconoscere, o nel figurarsi, ma certo persuadersi e procurare con ogni sforzo di persuadersi fermamente, ch’essi sono eccessivi, senza fine, senza limiti, senza rimedio né impedimento né compenso né consolazione veruna possibile, senza alcuna circostanza che li alleggerisca; nel vedere insomma e sentire vivacemente che la sua sventura è propriamente immensa e perfetta e quanta può essere per tutte le parti, e precluso e ben serrato ogni adito o alla speranza o alla consolazione qualunque, in maniera che l’uomo resti propriamente solo colla sua sventura…”.
L’infelicità emerge come conseguenza di circostanze avverse.
Il filosofo romeno Emil Cioran scrisse: “Il solo modo di sopportare un disastro dopo l’altro è amare l’idea stessa di disastro. Se ci riusciamo, niente più sorprese: siamo superiori a tutto quel che accade, siamo vittime invincibili”.
Vittime invincibili ! Ecco un curioso ottimismo celato nel pessimismo. Non tutti i pessimisti hanno la stessa vocazione per la comicità stravagante.
Ancora un aforisma di Cioran: “A differenza di Giobbe non ho maledetto il giorno della mia nascita; gli altri giorni, in compenso, li ho coperti tutti di anatemi”.
1. Or poserai per sempre,
2. stanco mio cor. Perì l’inganno estremo
3. ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento
4. in noi di cari inganni,
5. non che la speme, il desiderio è spento.
6. Posa per sempre. Assai
7. palpitasti. Non val cosa nessuna
8. i moti tuoi, né di sospiri è degna
9. la terra. Amaro e noia
10. la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
11. T’acqueta omai. Dispera
12. l’ultima volta. Al gener nostro il fato
13. non donò che il morire . Omai disprezza
14. te, la natura, il brutto
15. poter che, ascoso, a comun danno impera,
16. e l’infinita vanità del tutto.
(Giacomo Leopardi: “A se stesso”)
Ultima modifica di altamarea il Mar 23 Gen 2018 - 18:08 - modificato 1 volta.