Da “Perla di gran prezzo” - Joseph Smith 2 - testo mormone:
3. Io nacqui nell’anno del Signore 1805, il 23 dicembre, nel comune di Sharon, Contea di Windsor, Stato del Vermont. Mio padre, Joseph Smith Senior, lasciò lo Stato del Vermont e si trasferì a Palmyra, Contea di Ontario [oggi Wayne], nello Stato di New York, quando io ero press’a poco nel mio decimo anno. Circa quattro anni dopo l’arrivo a Palmyra, mio padre si trasferì con la sua famiglia a Manchester, nella stessa Contea di Ontario.
4. La sua famiglia consisteva di undici anime, vale a dire mio padre, Joseph Smith, mia madre, Lucy Smith (il cui nome, prima del matrimonio era Mack, figlia di Salomon Mack), mio fratello Alvin (che morì il 19 novembre 1824, nel suo 27° anno d’età), Hyrum, io stesso, Samuel Harrison, William, Don Carlos e le mie sorelle Sophronia, Catherine e Lucy.
5. Nel corso del secondo anno dopo il nostro trasferimento a Manchester, nel luogo ove vivevamo vi fu un’insolita agitazione a proposito della religione. Furono i metodisti che iniziarono il movimento, ma esso divenne presto generale fra tutte le sette in quella regione. In realtà, tutta la regione ne sembrò affetta, e grandi moltitudini si unirono alle diverse comunità religiose che crearono non poco subbuglio e non poca divisione fra il popolo, gli uni gridando: - Vedete qui! - ed altri: - Vedete là! -.
Gli uni lottavano per la fede metodista, altri per i Presbiteriani ed altri ancora per i Battisti.
6. Poiché, nonostante il grande amore che i convertiti a queste diverse fedi esprimevano al tempo della loro conversione, e il grande zelo manifestato dal loro rispettivo clero, che era attivo nel creare e nel promuovere questa scena straordinaria di sentimento religioso al fine di convertire ognuno, come si compiacevano di affermare, qualunque fosse la setta alla quale si unissero, però, appena i convertiti cominciarono ad affiliarsi, gli uni ad un partito, gli altri ad un altro, si poté costatare che i buoni sentimenti tanto dei ministri che dei convertiti erano più apparenti che reali; poiché ne seguì una scena di grande confusione e di animosità: ministro lottava contro ministro e convertito contro convertito; cosicché tutti i loro buoni sentimenti reciproci, se mai ve ne furono, rimasero interamente sommersi da una querela di parole e da una discussione di opinioni.
7. A quel tempo io ero nel mio quindicesimo anno. La famiglia di mio padre si affiliò alla comunità Presbiteriana, e quattro di essi si unirono a quella chiesa, cioè, mia madre Lucy, i miei fratelli Hyrum e Samuel Harrison e mia sorella Sophronia.
8. Durante questo periodo di grande agitazione, la mia mente fu indotta a serie riflessioni e fu provata da una grande inquietudine; ma benché i miei sentimenti fossero profondi e spesso pungenti, mi tenni tuttavia in disparte da tutti questi partiti, benché assistessi alle loro numerose riunioni ogni volta che l’occasione me lo permetteva; coll’andar del tempo, la mia mente pendé piuttosto verso la comunità Metodista, ed io provai qualche desiderio di unirmi a loro; ma così grandi erano la confusione e le lotte fra le diverse confessioni, che era impossibile, per una persona giovane come me e così inesperta di uomini e di cose, di giungere ad una sicura conclusione su chi avesse ragione e chi avesse torto.
9. La mia mente era talvolta eccitatissima, talmente le grida e il tumulto erano grandi e incessanti. I Presbiteriani erano i più accaniti avversari dei Battisti e dei Metodisti, ed usavano tutti i poteri sia del ragionamento che della sofistica per dimostrare i loro errori, o almeno per far credere al popolo che essi erano nell’errore. D’altro canto, i Battisti e i Metodisti a loro volta erano egualmente zelanti nello sforzo di far prevalere i propri princìpi e di dimostrare la falsità di tutti gli altri.
10. In mezzo a questa guerra di parole e a questo tumulto di opinioni, io mi dicevo spesso: Che si deve fare? Quale di tutti questi partiti ha ragione? O sono tutti quanti nell’errore? E se uno di essi è giusto, qual è e come saperlo?
11. Mentre ero travagliato dalle estreme difficoltà causate dal conflitto di questi partiti religiosi, stavo un giorno leggendo l’Epistola di Giacomo, primo capitolo, versetto quinto, che dice: “Se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata.”
12. Giammai alcun passo delle Scritture non penetrò con più potenza nel cuore di un uomo, che questo non penetrasse allora nel mio. Sembrava penetrare con grande forza in ogni sentimento del mio cuore. Vi riflettevo continuamente, ben sapendo che se qualcuno aveva bisogno di sapienza da Dio, quello ero io, poiché non sapevo come agire e a meno di ottenere maggior sapienza che non avessi allora, non lo avrei mai saputo; poiché gli insegnanti di religione delle diverse sette interpretavano gli stessi passi delle Scritture in modo così differente che distruggevano ogni fiducia di appianare la questione con un appello alla Bibbia.
13. Alla fine giunsi alla conclusione che dovevo o rimanere nelle tenebre e nella confusione o altrimenti avrei dovuto fare come insegna Giacomo, cioè chiedere a Dio. Infine giunsi alla determinazione di chiedere a Dio, concludendo che se Egli dava la sapienza a coloro che ne mancavano e che dava liberalmente senza rinfacciare, potevo tentare.
14. Così, in accordo con questa mia determinazione di chiedere a Dio, mi ritirai nei boschi per fare il tentativo. Era il mattino di una bella giornata serena dell’inizio della primavera del 1820. Era la prima volta in vita mia che facevo un simile tentativo, poiché in mezzo a tutte le mie ansietà, non avevo mai provato a pregare ad alta voce.
15. Dopo che mi fui ritirato nel luogo dove avevo precedentemente risoluto di recarmi, essendomi guardato attorno e trovandomi solo, mi inginocchiai e cominciai ad aprire i desideri del mio cuore a Dio. Lo avevo appena fatto, che fui immediatamente sopraffatto da un certo potere che mi immobilizzò completamente ed ebbe su di me un effetto così sorprendente da legare la mia lingua, tanto che non potevo più parlare. Folte tenebre si addensarono attorno a me e mi sembrò per un momento che fossi condannato ad una improvvisa distruzione.
16. Ma, facendo tutti i miei sforzi per invocare Iddio di liberarmi dal potere di questo nemico che mi aveva afferrato, e nel momento stesso in cui ero pronto a sprofondare nella disperazione e ad abbandonarmi alla distruzione - non ad una rovina immaginaria, ma al potere di qualche essere reale del mondo invisibile, che aveva un potere così prodigioso come mai prima lo avevo sentito in nessun essere -, proprio in questo istante di grande allarme vidi esattamente sopra la mia testa una colonna di luce più brillante del sole, che discese gradualmente fino a che cadde su di me.
17. Era appena apparsa, che mi trovai liberato dal nemico che mi teneva legato. Quando la luce si fermò su di me, io vidi due Personaggi il cui splendore e la cui gloria sfidano ogni descrizione, ritti sopra di me, a mezz’aria. Uno di essi mi parlò, chiamandomi per nome e disse, indicando l’altro: - Questo è il mio Beneamato Figliolo. Ascoltalo! -
18. Il mio scopo, nell’andare a chiedere al Signore, era di conoscere quale di tutte le sette fosse quella giusta, per sapere a quale dovevo unirmi. Non appena, dunque, ebbi ripreso abbastanza possesso di me per poter parlare, chiesi ai Personaggi che stavano sopra di me nella luce, quale di tutte le sette fosse nella verità ed a quale dovevo unirmi.
19. Mi fu risposto che non dovevo unirmi ad alcuna di esse, poiché erano tutte nell’errore; e il Personaggio che si rivolse a me disse che tutte le loro professioni di fede erano un’abominazione ai Suoi occhi; che quei maestri erano tutti corrotti; che “essi si avvicinano a me con le loro labbra, ma i loro cuori sono lungi da me, poiché insegnano per dottrine i comandamenti degli uomini ed hanno una forma di religiosità, ma ne rinnegano la potenza.”
20. Mi proibì nuovamente di unirmi ad alcuna di esse e molte altre cose aggiunse, che non posso scrivere a questo tempo. Quando rinvenni, mi trovai steso sulla schiena, rivolto verso il cielo. Quando la luce scomparve, non avevo alcuna forza, ma, riavutomi presto in parte, ritornai a casa. E mentre mi appoggiavo al camino, mia madre mi chiese che cosa c’era. Risposi: - Non è nulla; va tutto bene; ora sto abbastanza bene. - Dissi poi a mia madre: - Ho appreso da me stesso che la fede dei Presbiteriani non è quella giusta. - L’avversario deve aver saputo fin dai primi anni della mia vita che io ero destinato a scuotere e a minacciare il suo regno, altrimenti, perché l’opposizione e la persecuzione si sarebbero accanite su di me fin dall’infanzia?
21. Alcuni giorni dopo aver avuto questa visione, mi trovai in compagnia di uno dei predicanti metodisti che era assai attivo nella precitata agitazione religiosa; e conversando con lui di religione, colsi l’occasione per fargli un racconto della visione che avevo avuto. Fui grandemente sorpreso del suo atteggiamento: egli trattò la mia comunicazione non solo con leggerezza, ma con grande disprezzo, dicendo che era tutta opera del diavolo, che ai nostri giorni non v’erano più visioni o rivelazioni, che tutte queste cose erano cessate cogli apostoli e che non ve ne sarebbero mai più state.
22. Trovai presto, però, che il mio racconto aveva destato molta ostilità contro di me fra i ministri di religione e che fu causa di una grande persecuzione che continuò ad accrescersi; e benché fossi un ragazzo sconosciuto, di appena quattordici o quindici anni, la cui posizione nella vita era quella di un fanciullo senza importanza nel mondo, pure uomini di alto ceto mi giudicarono abbastanza importante da eccitare contro di me l’opinione pubblica e provocare un’accanita persecuzione; e ciò fra tutte le sette: tutte si unirono per perseguitarmi.
23. Ciò mi fece riflettere assai sia allora che in seguito, quanto fosse strano che un fanciullo ignoto, di poco più di quattordici anni, condannato per necessità a procacciarsi una magra esistenza col suo lavoro quotidiano, fosse ritenuto tanto importante da attirare l’attenzione dei grandi delle sette più popolari del giorno, destando in loro uno spirito di acuta persecuzione e calunnia. Ma, strano o no, così era e mi fu spesso causa di grande tristezza.
3. Io nacqui nell’anno del Signore 1805, il 23 dicembre, nel comune di Sharon, Contea di Windsor, Stato del Vermont. Mio padre, Joseph Smith Senior, lasciò lo Stato del Vermont e si trasferì a Palmyra, Contea di Ontario [oggi Wayne], nello Stato di New York, quando io ero press’a poco nel mio decimo anno. Circa quattro anni dopo l’arrivo a Palmyra, mio padre si trasferì con la sua famiglia a Manchester, nella stessa Contea di Ontario.
4. La sua famiglia consisteva di undici anime, vale a dire mio padre, Joseph Smith, mia madre, Lucy Smith (il cui nome, prima del matrimonio era Mack, figlia di Salomon Mack), mio fratello Alvin (che morì il 19 novembre 1824, nel suo 27° anno d’età), Hyrum, io stesso, Samuel Harrison, William, Don Carlos e le mie sorelle Sophronia, Catherine e Lucy.
5. Nel corso del secondo anno dopo il nostro trasferimento a Manchester, nel luogo ove vivevamo vi fu un’insolita agitazione a proposito della religione. Furono i metodisti che iniziarono il movimento, ma esso divenne presto generale fra tutte le sette in quella regione. In realtà, tutta la regione ne sembrò affetta, e grandi moltitudini si unirono alle diverse comunità religiose che crearono non poco subbuglio e non poca divisione fra il popolo, gli uni gridando: - Vedete qui! - ed altri: - Vedete là! -.
Gli uni lottavano per la fede metodista, altri per i Presbiteriani ed altri ancora per i Battisti.
6. Poiché, nonostante il grande amore che i convertiti a queste diverse fedi esprimevano al tempo della loro conversione, e il grande zelo manifestato dal loro rispettivo clero, che era attivo nel creare e nel promuovere questa scena straordinaria di sentimento religioso al fine di convertire ognuno, come si compiacevano di affermare, qualunque fosse la setta alla quale si unissero, però, appena i convertiti cominciarono ad affiliarsi, gli uni ad un partito, gli altri ad un altro, si poté costatare che i buoni sentimenti tanto dei ministri che dei convertiti erano più apparenti che reali; poiché ne seguì una scena di grande confusione e di animosità: ministro lottava contro ministro e convertito contro convertito; cosicché tutti i loro buoni sentimenti reciproci, se mai ve ne furono, rimasero interamente sommersi da una querela di parole e da una discussione di opinioni.
7. A quel tempo io ero nel mio quindicesimo anno. La famiglia di mio padre si affiliò alla comunità Presbiteriana, e quattro di essi si unirono a quella chiesa, cioè, mia madre Lucy, i miei fratelli Hyrum e Samuel Harrison e mia sorella Sophronia.
8. Durante questo periodo di grande agitazione, la mia mente fu indotta a serie riflessioni e fu provata da una grande inquietudine; ma benché i miei sentimenti fossero profondi e spesso pungenti, mi tenni tuttavia in disparte da tutti questi partiti, benché assistessi alle loro numerose riunioni ogni volta che l’occasione me lo permetteva; coll’andar del tempo, la mia mente pendé piuttosto verso la comunità Metodista, ed io provai qualche desiderio di unirmi a loro; ma così grandi erano la confusione e le lotte fra le diverse confessioni, che era impossibile, per una persona giovane come me e così inesperta di uomini e di cose, di giungere ad una sicura conclusione su chi avesse ragione e chi avesse torto.
9. La mia mente era talvolta eccitatissima, talmente le grida e il tumulto erano grandi e incessanti. I Presbiteriani erano i più accaniti avversari dei Battisti e dei Metodisti, ed usavano tutti i poteri sia del ragionamento che della sofistica per dimostrare i loro errori, o almeno per far credere al popolo che essi erano nell’errore. D’altro canto, i Battisti e i Metodisti a loro volta erano egualmente zelanti nello sforzo di far prevalere i propri princìpi e di dimostrare la falsità di tutti gli altri.
10. In mezzo a questa guerra di parole e a questo tumulto di opinioni, io mi dicevo spesso: Che si deve fare? Quale di tutti questi partiti ha ragione? O sono tutti quanti nell’errore? E se uno di essi è giusto, qual è e come saperlo?
11. Mentre ero travagliato dalle estreme difficoltà causate dal conflitto di questi partiti religiosi, stavo un giorno leggendo l’Epistola di Giacomo, primo capitolo, versetto quinto, che dice: “Se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata.”
12. Giammai alcun passo delle Scritture non penetrò con più potenza nel cuore di un uomo, che questo non penetrasse allora nel mio. Sembrava penetrare con grande forza in ogni sentimento del mio cuore. Vi riflettevo continuamente, ben sapendo che se qualcuno aveva bisogno di sapienza da Dio, quello ero io, poiché non sapevo come agire e a meno di ottenere maggior sapienza che non avessi allora, non lo avrei mai saputo; poiché gli insegnanti di religione delle diverse sette interpretavano gli stessi passi delle Scritture in modo così differente che distruggevano ogni fiducia di appianare la questione con un appello alla Bibbia.
13. Alla fine giunsi alla conclusione che dovevo o rimanere nelle tenebre e nella confusione o altrimenti avrei dovuto fare come insegna Giacomo, cioè chiedere a Dio. Infine giunsi alla determinazione di chiedere a Dio, concludendo che se Egli dava la sapienza a coloro che ne mancavano e che dava liberalmente senza rinfacciare, potevo tentare.
14. Così, in accordo con questa mia determinazione di chiedere a Dio, mi ritirai nei boschi per fare il tentativo. Era il mattino di una bella giornata serena dell’inizio della primavera del 1820. Era la prima volta in vita mia che facevo un simile tentativo, poiché in mezzo a tutte le mie ansietà, non avevo mai provato a pregare ad alta voce.
15. Dopo che mi fui ritirato nel luogo dove avevo precedentemente risoluto di recarmi, essendomi guardato attorno e trovandomi solo, mi inginocchiai e cominciai ad aprire i desideri del mio cuore a Dio. Lo avevo appena fatto, che fui immediatamente sopraffatto da un certo potere che mi immobilizzò completamente ed ebbe su di me un effetto così sorprendente da legare la mia lingua, tanto che non potevo più parlare. Folte tenebre si addensarono attorno a me e mi sembrò per un momento che fossi condannato ad una improvvisa distruzione.
16. Ma, facendo tutti i miei sforzi per invocare Iddio di liberarmi dal potere di questo nemico che mi aveva afferrato, e nel momento stesso in cui ero pronto a sprofondare nella disperazione e ad abbandonarmi alla distruzione - non ad una rovina immaginaria, ma al potere di qualche essere reale del mondo invisibile, che aveva un potere così prodigioso come mai prima lo avevo sentito in nessun essere -, proprio in questo istante di grande allarme vidi esattamente sopra la mia testa una colonna di luce più brillante del sole, che discese gradualmente fino a che cadde su di me.
17. Era appena apparsa, che mi trovai liberato dal nemico che mi teneva legato. Quando la luce si fermò su di me, io vidi due Personaggi il cui splendore e la cui gloria sfidano ogni descrizione, ritti sopra di me, a mezz’aria. Uno di essi mi parlò, chiamandomi per nome e disse, indicando l’altro: - Questo è il mio Beneamato Figliolo. Ascoltalo! -
18. Il mio scopo, nell’andare a chiedere al Signore, era di conoscere quale di tutte le sette fosse quella giusta, per sapere a quale dovevo unirmi. Non appena, dunque, ebbi ripreso abbastanza possesso di me per poter parlare, chiesi ai Personaggi che stavano sopra di me nella luce, quale di tutte le sette fosse nella verità ed a quale dovevo unirmi.
19. Mi fu risposto che non dovevo unirmi ad alcuna di esse, poiché erano tutte nell’errore; e il Personaggio che si rivolse a me disse che tutte le loro professioni di fede erano un’abominazione ai Suoi occhi; che quei maestri erano tutti corrotti; che “essi si avvicinano a me con le loro labbra, ma i loro cuori sono lungi da me, poiché insegnano per dottrine i comandamenti degli uomini ed hanno una forma di religiosità, ma ne rinnegano la potenza.”
20. Mi proibì nuovamente di unirmi ad alcuna di esse e molte altre cose aggiunse, che non posso scrivere a questo tempo. Quando rinvenni, mi trovai steso sulla schiena, rivolto verso il cielo. Quando la luce scomparve, non avevo alcuna forza, ma, riavutomi presto in parte, ritornai a casa. E mentre mi appoggiavo al camino, mia madre mi chiese che cosa c’era. Risposi: - Non è nulla; va tutto bene; ora sto abbastanza bene. - Dissi poi a mia madre: - Ho appreso da me stesso che la fede dei Presbiteriani non è quella giusta. - L’avversario deve aver saputo fin dai primi anni della mia vita che io ero destinato a scuotere e a minacciare il suo regno, altrimenti, perché l’opposizione e la persecuzione si sarebbero accanite su di me fin dall’infanzia?
21. Alcuni giorni dopo aver avuto questa visione, mi trovai in compagnia di uno dei predicanti metodisti che era assai attivo nella precitata agitazione religiosa; e conversando con lui di religione, colsi l’occasione per fargli un racconto della visione che avevo avuto. Fui grandemente sorpreso del suo atteggiamento: egli trattò la mia comunicazione non solo con leggerezza, ma con grande disprezzo, dicendo che era tutta opera del diavolo, che ai nostri giorni non v’erano più visioni o rivelazioni, che tutte queste cose erano cessate cogli apostoli e che non ve ne sarebbero mai più state.
22. Trovai presto, però, che il mio racconto aveva destato molta ostilità contro di me fra i ministri di religione e che fu causa di una grande persecuzione che continuò ad accrescersi; e benché fossi un ragazzo sconosciuto, di appena quattordici o quindici anni, la cui posizione nella vita era quella di un fanciullo senza importanza nel mondo, pure uomini di alto ceto mi giudicarono abbastanza importante da eccitare contro di me l’opinione pubblica e provocare un’accanita persecuzione; e ciò fra tutte le sette: tutte si unirono per perseguitarmi.
23. Ciò mi fece riflettere assai sia allora che in seguito, quanto fosse strano che un fanciullo ignoto, di poco più di quattordici anni, condannato per necessità a procacciarsi una magra esistenza col suo lavoro quotidiano, fosse ritenuto tanto importante da attirare l’attenzione dei grandi delle sette più popolari del giorno, destando in loro uno spirito di acuta persecuzione e calunnia. Ma, strano o no, così era e mi fu spesso causa di grande tristezza.