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Squarci nel crepuscolo, di purplebunny
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Occhidimiele fu la prima a scorgere i colori che si esaurivano intorno alla figura sconosciuta. Come bruciati dalla presenza estranea, l'ocra intenso dei gladioli e l'azzurro marino della terra evaporavano in ondate tremanti. Lanciò un grido armonioso e cadde a terra, rotolando ai piedi di Manisottili. Lui si girò di scatto, pronto a contrastare un possibile scherzo. Rimase invece sorpreso a osservare lo sconosciuto, enorme e spaventoso, raggomitolato su un fianco, con gli occhi chiusi.
Per un istante l'unico rumore nell'aria rarefatta fu l'esaurirsi delle risa di Capellidifuoco. “E' già finito il divertimento?” mormorò deluso. Girandosi verso Manisottili e Occhidimiele, pronto a protestare, sgranò gli occhi e fece un balzo all'indietro, graffiandosi contro la corteccia del nespolo. Sollevò la mano e puntò il dito verso il gigante. “Uno Squarcio, proprio lì!” esclamò in un fischio.
Manisottili diede una gomitata a Occhidimiele: “Come non lo vedessimo”, bisbigliò complice. “Sempre a cianciare dell'ovvio”. Lei però non lo ascoltava. Oltre ai colori che svanivano, sentiva pensieri alieni, buffi, sconclusionati vorticare intorno al gigante. Senza accorgersene aveva fatto un balzo in avanti, per sentirli danzare sotto la lingua, avvolta in una nuvola vaporosa di curiosità. “No, aspetta!” Manisottili cercò di afferrarla, ma sfiorò solo le punte dei suoi capelli viola, ritrovandosi a stringere il vuoto. “E' pericoloso!” cercò di avvertirla. Lo sapevano tutti. Gli Squarci sono ferite nel crepuscolo. Improvvisi e irrazionali, distorcono la quiete del disegno e scompaiono in un cinguettare di cinciallegra, trascinando i colori con sé.
Colta da fremiti, Occhidimiele si girò verso i due amici. “Non sentite che pensieri strani e misteriosi? Non siete curiosi? Venite, proviamo ad assaporare il calore acceso di questo corpo...” e si voltò senza aspettare risposta, gli occhi splendenti fissi sulle curve dissonanti dello straniero. Manisottili e Capellidifuoco si guardarono. Non avevano bisogno di parole. Manisottili avrebbe voluto raggiungere Occhidimiele, prenderla per mano, danzare insieme nella furia tumultuosa di quei pensieri. Ma Capellidifuoco aveva paura. Non di perdersi nel piacere allegro della danza, non dello Squarcio, ma di quello che gli altri avrebbero detto se ne fossero venuti a conoscenza. Gli Squarci sono pericolosi. Agli Squarci non bisogna mai avvicinarsi. Mai. Questo lesse Manisottili negli occhi d'ambra di Capellidifuoco, ed esitò.
Così Occhidimiele raggiunse il gigante da sola. Sentiva le ossa vibrare di mille suoni nascosti. I pensieri erano così insinuanti e puri e assurdi e incontrollabili. Tra i ricordi che dardeggiavano, premendole sulla pelle, scorse un mondo strano e incredibile. Sentì una voce alta e melliflua, si ritrovò in un buio senza fine punteggiato di luci, un buio disteso su una natura immobile e placida fatta di alberi e prati oscuri. In quell'universo senza la luce del crepuscolo, il gigante sedeva per terra, accanto al guizzare ipnotico di un fuoco. Il fuoco. Occhidimiele si perse a guardare le fiamme. Avanzò sul gigante, cercando di toccare il ricordo del fuoco. Il fuoco disegnava contorni mutevoli sull'erba, un cerchio di luce traballante e misteriosa. Non c'era nulla di simile nel crepuscolo. Non poteva esserci. E lei era così curiosa. Il fuoco. Il fuoco la chiamava.
Lo Squarcio svanì. All'improvviso, come era arrivato. Nessun bagliore, nessuno scintillio. Prima c'era, ora non più. Capellidifuoco e Manisottili sbatterono le palpebre, ancora inebriati dalla danza selvaggia di Occhidimiele sul corpo del gigante. Era come posseduta, sprizzava gioia e nostalgia come niente che avessero mai visto. Ma ora non c'era più. Al posto del gigante, c'era il prato, c'erano i gladioli, eppure privi di colore, risucchiato via per sempre, insieme a Occhidimiele.
Andrea riaprì gli occhi. Si era addormentato sotto al nespolo, come faceva da piccolo, anni prima, quando veniva a trovare i nonni, ogni primavera. Ora i nonni non c'erano più, e neanche i genitori. Era solo, nella casa di campagna. E quando aveva visto il nespolo, solitario e curvo, non aveva saputo resistere. Si era sdraiato nella sua ombra e aveva chiuso gli occhi. Solo per dimenticare quanto ora fosse solo. E poi il sonno. Sogni strani, vividi. Una valle primordiale, di notte. Lui cantava alla luna, riscaldandosi davanti a un fuoco. Ma all'improvviso una visione si era intromessa nella valle. Una donna, un fantasma, una fata, o comunque un essere lucente e misterioso si era avvicinato. Si muoveva con grazia assoluta. Andrea aveva provato a parlarle, ma non c'era stata risposta. E quando aveva alzato gli occhi a guardarla negli occhi, si era svegliato, era finito tutto. Ora sentiva un senso di nausea, come qualcosa di reciso bruciasse ancora. Scosse la testa, poi si immobilizzò. Posata sul petto aveva una farfalla, le ali striate di viola. Restava quieta sulla sua cassa toracica che si alzava e abbassava. Solo quando le fissò le antenne, quella si riscosse e volò via. Aveva antenne color del miele. “Come la primavera” si trovò a sussurrare, stregato. Era il primo giorno di primavera, e Andrea era solo. Ma qualcosa sarebbe cambiato, lo faceva sempre. Si rialzò, cercando con lo sguardo la farfalla viola e miele. Era scomparsa dietro al nespolo, ma il fremito che aveva provato nel sogno gli ronzava ancora in testa. Solo una volta in piedi si rese conto di stare piangendo. Erano lacrime di rugiada. Lacrime per un nuovo inizio.
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