Che hai fatto, avant’ieri?
Avant’ieri ho guardato un grosso topo morire.
Forse era colpa mia, e dell’esca avvelenata che ho sparso tutt’intorno. O forse, può darsi, era vecchio ed è morto perché era giunto per lui, come accade a noi tutti, il Momento. Vecchio però, non mi sembrava.
M’è servito, guardarlo morire. Ammirare la sua dignità, il suo saper essere uomo.
Soffrire, soffriva. E si vedeva. Tremava e, a tratti, le zampe di dietro e la coda avevano spasmi inconsulti. Per muoversi invece, per il poco che riusciva a muoversi, era tutto sullo sforzo delle zampette davanti, con quelle manine rosee, perfette e minuscole. Piccole troppo per quel gran corpo inerte.
E affannava… davvero tanto affannava, di un rantolo irregolare.
Ma gli occhietti, i piccoli punti di buio nel viso furbetto erano fermi, spavaldi direi. Mi guardavano fisso e non mi parve esprimessero odio. O rancore. O giudizio. Attenti piuttosto ad ogni mio movimento, prudenti a scoprirlo aggressivo, o ostile, o cattivo; attenti e prudenti, ma nemmeno impauriti, nemmeno turbati del mostro che forse ha portato la morte.
Son rimasto a guardarlo. A lungo, ché lunga è stata la sua ultima ora. Pian piano le forze lo fanno lasciato, il fiato s’è fatto più lieve e negli occhi un po’ di coscienza di meno e un velo più spesso.
Un ultimo spasmo, ed è andato. Non un lamento, non un solo squttìo.
Lucio Musto 25.11.2000 parole 236