La via del “30”
Piazza del Gesù
via Trinità maggiore
via Medina
piazza Municipio
via Verdi
piazza Trieste e Trento
piazza del Plebiscito
via S.Lucia
via Chiatamone
via Arcoleo
piazza Vittoria
riviera di chiaja
via torrette
piazza Sannazzaro
galleria 4 giornate
via delle legioni
via cumana.
Variante per il 30 sbarrato:
porto
via Acton
galleria della Vittoria.
E’ indispensabile, all’inizio di questo racconto dettagliare tutto l’itinerario del “30”, perché anche quello è importante ai fini della ricostruzione storica di “una corsa” di quella mitica linea tranviaria.
Infatti, all’epoca in cui si collocano i fatti che vado a raccontare, Napoli non era ancora la metropoli tumultuosa ma anonima che è oggi, era ancora solo una città, con i suoi quartieri dalle fisionomie ben distinte, le sue popolazioni, gli atteggiamenti specifici delle persone, il loro parlare quasi lingue diverse.
E se piazza del Gesù, capolinea di partenza del nostro tram è al centro del più storico ed antico dei quartieri, piazza Municipio è zona di banche e d’affari, dove “Napule ce pare Milano”, perché la gente s’affretta operosa tutta intenta in mille faccende. La “riviera di chiaja” è zona residenziale chic e silenziosa mentre la confinante “Torretta” palpita di mercatini e venditori ambulanti, negozi con pretese di eleganza e negozi “d’affare”... Insomma un pò come piazza Maggiore e dintorni a Bologna, dove si vende alla fantesca e si cerca di vendere anche alla Signora che scende di persona “per vezzo” a far la spesa, o forse perché, di questi tempi!, la fantesca non può permettersela più.
E poi c’è piazza Sannazzaro, l’allora ultima meraviglia della “città che conta”, rigorosamente separata per presenza della “Grotta”, sprezzante nomignolo del tunnel delle “Quattro giornate”, dalla periferia.
Già, perché all’epoca, lo splendido Viale Augusto, la imperiale Mostra d’Oltremare e lo stadio degli Scudetti e di Maradona, erano periferia. All’epoca, per sottolineare l’infimità di qualcheduno, e per invitarlo a tacere lo si apostrofava come “l’ultimo lampione di Fuorigrotta”.
Si, Fuorigrotta era l’ultima periferia.
Voglio fare ancora una precisazione, prima che il bigliettaio del “30” soffi nel fischietto per autorizzare il manovratore alla partenza. Quelle che racconto non sono storielle inventate da me: sono sprazzi di “vita tranviaria” veramente accaduti o almeno... raccontati per veri; e non necessariamente accaduti in un’unica corsa. Ne riferisco qui perché non se ne perda memoria.
Ed a proposito, lo dico come informazione per i più giovani, nei tram, il capo-vettura era il bigliettaio, non il manovratore, a Napoli chiamato semplicemente “o trambijere.”. E ciò per un motivo semplice: questi doveva solo districarsi nel traffico ed aveva la responsabilità della guida della macchina e della vita dei passeggeri ma quello, il bigliettaio, doveva vedersela con gli umori ed i capricci della gente! Compito questo evidentemente più arduo e delicato.
Finalmente, dopo un “jamm’ncenne và!” di incoraggiamento, si parte. Solo con pochi minuti di ritardo. Ma in verità saremmo stati pronti anche all’orario esatto della tabella.
Un signore anziano dall’aria forestiera lo fa garbatamente notare al bigliettaio: io credo più che altro per fare conversazione. Infatti l’uffiziale dell’ATAN, lungi dal mostrarsi turbato per essere stato scoperto in difetto, pianamente spiega:
«Mio caro Signore, qui ci vuole finezza!... e chi li vuole sentire domani quelli che stamattina hanno perso la corsa se non li aspettiamo almeno per qualche minuto di “crianza”!...».
Infatti, a Napoli, già a quel tempo, quando c’era il “30”, si aveva la sensibilità di aspettare un pò i ritardatari, finezza che poi sappiamo essersi estesa a tutti i mezzi pubblici d’Italia, segno inequivocabile di sorridente Democrazia, visibilmente contrapposta all’arcigna ottusa puntualità del buio ventennio!
La vettura è piena solo a metà, nel senso che le persone rimaste in piedi sono ancora relativamente poche, il bigliettaio si è sistemato sul tronetto (lo scomodo sediolino alto che gli permette di vedere l’intera carrozza anche in caso di folla) e comincia la sua litania: «Biglietti, signori... biglietti!» mentre un gruppetto di scolari della Pimmentell fa il solito chiasso sul belvedere.
Tutto normale, ma forse i ragazzetti esagerano un pò, ed un signore (non quello di prima) disturbato nella lettura del suo giornale invita il vetturino a farli smettere, irritandone la sensibilità:
«E che ci devo fare, io? i’ faccio ‘o trambijére, mica ‘o carabbiniere!!...»
«Ma pecché mo nui carabbinieri avess’m ’a fa’ pure ‘e maest’ ‘e scole?...»
la voce risentita proviene dai primi posti, forse lì “in borghese” c’è seduto qualche esponente dell’Arma.
«Su, adesso non cominciamo!... – la voce è chiaramente femminile – tanto si sa: quando si tratta di lavorare, a Napoli sono tutti uguali a non volere fare mai niente!...».
Pian piano (si fa per dire, al massimo in due fermate) la vettura si riempie di gente e la compagnia si anima. Già i ragazzetti della Pimmentell agitandosi hanno pestato qualche piede e ricevuto qualche scoppolotto, si intrecciano conversazioni e pettegolezzi fra i viaggiatori e le battute spiritose o caustiche non mancano certo.
A Napoli, non è prevista affatto la possibilità di leggere il giornale, in tram, non c’è assolutamente lo spazio!; ed allora quei minuti (talvolta tanti!) che si è costretti a passare insieme servono per socializzare, per farsi compagnia, per dare sfogo a quell’abbondanza di vitalità che caratterizza i popoli mediterranei ed i partenopei in particolare. E per esempio:
«Ué ué, giuvinò!... e che state facendo, là dietro?!... ».
La Signora imbellettata si sente in dovere di redarguire a voce ben alta il soldatino imberbe che, sia chiaro del tutto involontariamente, le ha sfiorato il deretano.
«Niente!... signò,... quella, la folla...».
Il povero militare è arrossito fin alla radice dei capelli e vorrebbe scomparire. Ma pronto, un passeggero più smaliziato interviene a sciogliere tanto imbarazzo:
«La Signora voleva dire che se non ti spicci... è meglio che fai posto ad un altro, là dietro a quel bel monumento!».
La risata generale pietosamente copre la risposta della “Signora”.
Ancora una fermata e siamo nel quartiere degli affari. Via Verdi e, come dicevo, piazza Municipio. Gente affaccendata che corre, si affretta ai taxi, attraversa sconsideratamente la strada. Il nostro manovratore deve effettuare una frenata brusca con inevitabili spintonamenti e commenti dei passeggeri della carrozza:
«Ma addò vanno!!... ma dove vanno, dove galoppano tutti questi invasati! – l’elegante giovanotto sembra una replica del celeberrimo Gegè delle farse di Peppino de Filippo – corrono, corrono, e non combinano niente!... solo per “guadambiarsi” quei quattro “pitocchi” da investire nelle industrie “Esse-pi-A” del Nord... che schifo!».
Il mio vicino mi stringe per il braccio come se fossimo compagni da sempre:
«Guarda a questo, gua’ mi fa pensare allo studentello del prato!...- mi fissa con aria interrogativa -
non la sapete?... mò ve la racconto, tanto a via Verdi almeno un quarto d’ora ci fermiamo. Ma che traffico, stamattina!...»
Traffico quotidiano, mi sembra, ma per il napoletano lamentarsi e poi lasciar correre è una specie di dovere. Si sistema sullo scomodo sediolino:
«Dunque, è accaduto proprio qui, a piazza Castello sul prato davanti al Maschio Angioino; me l’ha detto un amico che stava proprio lì, alla “pensilina”.
C’era un milanese, un uomo d’affari con la cartella nera e tutto che stava aspettando il tram alla fermata e quello (il tram) non passava.
Sdraiato sul prato dell’aiuola, vicino al tabellone, uno studente pigliava il sole coi libri sotto la testa come fosse un cuscino.
Il milanese, incazzato per via del tram e che non aveva che fare comincia col ragazzo:
“ma tu a scuola non ci vai?” –
“no, oggi mi scoccio!”-
“ma come!...- con tanti sacrifici che fanno i tuoi genitori!... almeno vai a lavorare!” -
“e perché devo andare a lavorare?...” –
“perché così cominci a fare qualcosa nella vita, a guadagnarti qualcosa, ad essere qualcuno!”
“e poi?...” –
“e poi, imparato il mestiere, cerchi di metterti in proprio, tiri su una fabbrichetta!...”
“si... e poi?” –
“come, e poi?,.... poi cerchi di consolidarti, avere dei dipendenti, fare fortuna...”
“va bene... e poi?... – il milanese è ora visibilmente irritato:
“e poi ti sdrai al sole e guardi gli altri che lavorano per te, diamine!...”
“embè?... ma pecché, io,… che sto facendo?...”
Avete capito la filosofia napoletana dello sudentello?...»
Si, l’ho capita, e ne sono incantato. Come sempre.
Il “30” ha ripreso il suo lento andare nel caotico traffico cittadino, ed il bigliettaio la sua nenia:
«Signori, il biglietto... bisogna fare il biglietto!... è obbligatorio fare il biglietto!... chi non fa ‘o biglietto tène ‘e ccorna!...».
Non c’è malizia nel suo dire, è solo una variante dell’usuale intercalare, ma anche lui arrossisce un po´ ora che un elegante canuto signore in “loden” verde oliva gli si avvicina per pagare la corsa:
«Scusate... signore... io non mi riferivo certo a Lei... E’ che qui mi fanno perdere la pazienza, e qua nessuno vuole pagare...».
«No...no, non si preoccupi» la voce baritonale del gentiluomo è lenta e calma «sono cose che capitano... e poi visto che è vero...»
«Per carità... volete scherzare!...»
«No, no,... pur troppo vero!... inequivocabilmente, tragicamente, io sono un cornuto... nel senso che mia moglie, e più di una volta, mi ha tradito. Preferendo a me altri uomini...»
Il signore in loden sembra restio a proseguire, mentre metà tram si è fatto attento alla storia:
«E per di più, mi ha dato anche un figlio, frutto del peccato. Due figli miei, del mio sangue, ed uno figlio della NATO, come diciamo qui a Napoli. Negro.»
Ora imbarazzati lo siamo tutti; la presenza della base NATO, la più grossa del Mediterraneo, è una minaccia continua per tutti i mariti ed i fidanzati della città. Si sa, i “marines” non si fanno tanti scrupoli e si sentono autorizzati a tutto, certi dell´immunità del piú forte…
«Ma io ho lottato, ed ho superato. Non bisogna farsi abbattere dalle controversie della vita, ed i miei figli sono stati uguali per me. Tutti e tre, e ad ognuno ho dato gli stessi spassionati, opportuni consigli.
E’ venuto il primo, che voleva fare il generale. “No, gli ho detto, figlio mio: tu sei insofferente alla disciplina, non puoi fare il militare. Sei bravo in matematica, farai l’ingegnere. Così è stato, ed ha fatto fortuna.”
E’ venuto il secondo che voleva fare il vescovo. “No, gli ho detto, figlio mio: tu hai il dono della parola, devi fare il politico, per emergere. E così è stato.”
Ed anche quando è venuto il terzo, il l’ho ascoltato; voleva fare l’artista. “No, gli ho detto, figlio mio: tu sei figlio di zoccola e devi fare il capo di tutti i tranvieri. Ora è il presidente dell’ATAN!”
Il tram si è affollato parecchio ormai, e fa caldo. Qualcuno comincia a sentire la stanchezza e la noia del lento andare. I ragazzetti della Pimmentell si sono stufati e sono scesi per proseguire a piedi. Meno uno, che lesto è riuscito a sedersi. In piedi, accanto a lui, una giovane donna impaziente che presto inizia a lagnare come fra sé, ma con voce abbastanza chiara da essere sentita intorno:
«Certo, io non so dove andremo a finire con queste nuove generazioni!... non c’è più alcun rispetto!... nemmeno per le donne incinte!.... mio Padre, anche coi dolori e l’età che ha si sarebbe subito alzato a cedere il posto! ed anche mio marito!.... ma questi ragazzi senza madre!...».
Il bigliettaio recepisce l’implicito invito e s’indigna:
«Guagliò! e ti vuoi sòsere e far sedere la Signora?... e che scostumatezza!...»
“Rusecando nucelle” il monello cede il posto, ma solo per un attimo, poi ci ripensa ed accenna a sedersi di nuovo: “e che ci azzecco io? i’ nun aggio fatto niente!...”; un sonoro scapaccione e l’epiteto “scugnizzo screanzato” lo fanno desistere mentre qualche commento è mormorato all’intorno. In particolare la vicina di scranno (ho già detto che nei tram di Napoli è d’uso socializzare e fare nuove conoscenze?) s’informa:
«Ah!... ma è in “stato interessante” la signora?... che bella cosa!... e come se la porta bene la gravidanza... fresca come una rosa!... e... da quando?... da quanto tempo?... perché... non si vede proprio!...».
La signora incinta guarda un pò stizzita la sua un pò invadente vicina:
«Sono in attesa da... da... circa quattro ore!... perché?...»
Ci si apre davanti l’ingresso monumentale della Galleria della Vittoria, grigio di vetustà e per i residui fumosi dei tubi di scappamento d’infiniti veicoli. Naturalmente il tram ha la sua “corsia privilegiata”, ma questa termina giusto all’uscita del traforo: e lì ci aspetta l’eterno ingorgo del Chiatamone. La coda di altre vetture tranviarie sarà inevitabile.
La signora diciamo così “neo-gravida” alza la sua bella voce di contralto sul chiacchiericcio generale e si rivolge direttamente al manovratore:
«Mò mi raccomando “bellu giovine”, cercate i mezzi e il sistema di non rimanerci sotto, che quello il bambino con la puzza delle macchine mi si disgusta tutto!...»
«Non si preoccupi la Signora – la risposta è istantanea – che io ci sto attento a non farmi “mettere sotto”!... e poi proprio stanotte mi hanno fatto un buco nuovo apposta per le signore “interessanti” e mi ci hanno messo l’aria condizzionata che sfiata che è un piacere!... col permesso della Signora ci “impizziamo” (ci infiliamo) tutti là dentro!...».
La risata alle pesanti allusioni è generale, ed anche la Signora ride, bonariamente scandalizzata:
«Ma che scrjanziate, ‘stì trambijeri!...».
Pazientando e soffrendo siamo finalmente arrivati alla riviera di chiaja superando (quasi) indenni piazza Vittoria, altro punto infuocato del caldo percorso del “30”. Qui la corsia privilegiata per il tram c’è davvero perché è a massicciata scoperta di tipo ferroviario.
Approfitto per precisare che uso il termine “privilegiata” anziché “preferenziale” per non creare confusioni. Infatti quando a Napoli furono istaurate, le corsie “preferenziali” furono fraintese. Nel senso che tutti pensammo che utilizzarle per le nostre autovetture fosse un discorso di cortesia. Chi “preferiva”, poteva prenderle, chi no, se ne poteva tener fuori.
Ma siamo di nuovo fermi, nonostante il lungo rettilineo sgombro davanti a noi. E dietro di noi la coda di altre vetture si sta rapidamente allungando.
L’inghippo è dovuto ad una fascetta rossa che non c’è. Mi spiego. Nei tram di Napoli c’era, e forse c’è ancora, una fascetta rossa di metallo avvitata al montante del tronetto, il seggionino del bigliettaio. La sua funzione è chiara: i bambini più bassi di quell’indice, non pagano, quelli alti uguale o più, pagano. Nella nostra vettura, chissapperché, la fascetta non c’era più: qualchuno l’aveva asportata lasciando solo i forellini delle due viti a testimonianza della sua presenza ed un vago alone chiaro di minor ossidazione sul montante.
Orbene era ora in corso una diatriba senza sbocco fra una signora preoccupata di difendere il suo diritto a non pagare il pedaggio per il figliuolo ed il buon impiegato deciso a fare gli interessi dell’Azienda:
«Il bambino è piccolo, non ha mai pagato e non paga»
«Cara Signora il bambino è cresciuto anche troppo ed avrebbe dovuto cominciare a pagare da un bel pò»
«”Cara” non sono io, ma voi con questi continui aumenti del biglietto, e poi la misura qui non c’è»
«Ma ci sono le viti e il segno della fascetta».
«Ma non la fascetta che a termini di regolamento è quella che vale... e se i buchi li avete fatti voi?»
«Ma che ci guadagno io a fare i buchi? e che colpa ne ho se hanno tolto la fascetta?».
«E che volete, che la fascetta ve la paghi io, per caso?... io sono una donna onesta!...».
«Signora, fate come volete:o pagate due biglietti, o scendete».
«Ma nemmeno per sogno! pago il mio biglietto e resto qui con mio figlio!».
«E questo tram non si muove da qui!».
E’ evidente per tutti che non c’è via di uscita:
«Trambijé! arape ‘ste pporte, che ccà facimme matina!».
Il “30” è fermo. C’è chi sale, chi scende. Tutti commentano e danno consigli, parteggiando per l’una o l’altra parte . Passa il tempo, ma l’empasse non si supera.
Infine vediamo salire in vettura un signore brizzolato che dopo averci informato di essere un viaggiatore del “23” in coda dietro di noi, chiede spiegazioni, come tutti gli altri. Soddisfatto, avanza la sua proposta:
«Scusate, ma io tengo fretta di arrivare a Bagnoli . Non lo so se ha ragione l’ATAN o la signora. Facciamo che il biglietto del ragazzo lo pago io, e così ce ne andiamo. Va bene?»
Sono tutti d’accordo, al bigliettaio non importa chi paghi, alla signora importa non pagare. Sbrigata la formalità:
«Trambijé, sciogli ‘a martellina e jamm’n cenne!”
Si sta per ripartire, ma da più parti:
«Ferma! ferma!... che dobbiamo scendere!...»
«Ma come! siamo stati fermi mezz’ora e voi “adesso” dovete scendere?...”
«E che c’entra!?... noi eravamo saliti pe’ sentì comme ferneva l’appiccico!”
Come Dio vuole si riparte. Ma alla fermata seguente, salgono i controllori. E qui occorre fermarsi un attimo e fare alcune considerazioni.
I controllori sono, a Napoli, personaggi affatto particolari. Metà poliziotti, metà giudici, metà carnefici e metà catechisti, hanno ovviamente problemi a svolgere il quotidiano lavoro in questo polimorfico loro status professionale. Ove a questa difficoltà si aggiunga la precipua natura camaleontica del “napoletano senza biglietto” ora vittima ignara e sconsolata di atroci angherie o di congenita smemoratezza, ora nobile offeso dalla pretestuosa richiesta di danaro in cambio di un indegno servizio, ora infine altre mille cose di altrettante sfumature diverse, ci si farà un quadro abbastanza preciso del “cosa sia” la salita dei controllori sul tram. E dico solo “abbastanza preciso” perché è ancora da definire: “chi siano i Controllori, che vogliano e chi mai li abbia creati e perché”.
Comunque, alla riviera di chiaja, spesso “salgono” i Controllori.
Perché salgano lì e non altrove è cosa nota: perché alla riviera di chiaja salgono anche le Signore di piazza dei Martiri che vanno per spese, e se si riesce a trovare “’na cumbinazioncella” quelle sono le persone più indicate. Altrimenti è comunque il tratto migliore per esibirsi nella gestione del traffico tranviario e mostrare divise impeccabili e gradi lucenti.
Al tempo dei fatti che stiamo raccontando, quando c’era il “30”, i Controllori salivano dalla porta davanti, quella riservata alla discesa, per affermare subito il loro potere simil-militare, e conseguentemente il “fuja-fuja” avveniva dalla porta di dietro. Solo successivamente, all’epoca del “compromesso storico fra DC e PCI” divenuti più democratici pensarono di organizzarsi salendo uno dalla porta anteriore e l’altro da quella posteriore, anche per stringere gli inadempienti in una tenaglia e rendere piú efficace la loro opera, ma sfortunatamente anche le vetture tranviarie si erano evolute ed ora avevano tre porte: ed il “fuja-fuja” si spostò dalla posteriore alla porta centrale.
Le più note diatribe fra controllori e passeggeri già le ho raccontate in altro mio scritto e qui le ometterò, annotando solo che fu durissima la battaglia di tutti noi, bigliettaio compreso, contro i controllori per evitare la multa al signore brizzolato del “23” che ci aveva tolto dall´empasse della “riviera di chiaja”. Infatti il biglietto del “23” non è “regolamentarmente usufruibile” se non su quella linea.
Alla fine la vincemmo noi ed i controllori, umiliati, scesero dalla vettura. Il signore brizzolato, come ringraziamento, ci intrattenne con una sua avventura:
«Io coi tram ci vado poco d´accordo – inizió – e ogni volta che ne piglio uno, corro il rischio ´e passà nu guajo!... Voi l´avete capito, io sono di Bagnoli, e faccio l´ebanista… si, sarebbe come dire il falegname… ma un poco meglio!... più accunciatiello! …
Bene! Un giorno mi chiama una Signora. Tenéva nu problema col guardaroba della camera da letto, che ogni tanto gli s´aprivano le porte sole sole… quann´ passava ´o tram!
La Signora, una bella giovane da una trentina d´anni, stava sola in casa. Mi offre un bel café, come si usa, e poi mi fa vedere ó guardaroba. Io guardo, studio, misuro, ma non riesco a capire che guajo aveva passato!... passa nu tram, e zàcchete! S´arap´no ´e ddoje specchiere !...
Allora io dico: “Signò´, qua bisogna che io entri dentro all´armadio per vedere che c´è all´interno che non va; perché da fuori, mi sembra tutto a posto!”. E cosí mi chiusi nell´armadio aspettando che passasse un altro tram e vedere cosa succedeva.
Due minuti, e si scatenaje l´inferno. Allucch´e pazze! . Io non capii subito, ma era il marito, gelosissimo, che era rientrato improvvisamente e cercava l´amante della Signora… e più quella diceva no, e più alluccava, e si sbatteva, e sbatteva le porte delle stanze e cercava sott´o lietto!...
Po´ arapette l´armadio …
«E trovó a voi!...
«Già, truvaje a me!... e io me morivo d´a paura d´essere vattuto e acciso!... Riuscii solamente a mormorare: “Io lo so, che voi non mi potete credere… ma io stavo aspettando ´o tram!”
Il paradosso fa parte della realtà napoletana, e solo chi fra di noi non era napoletano verace scoppió a ridere; gli altri capirono la drammaticità della situazione.
Siamo ormai alla torretta e recepisco che un ragazzotto che già da un po’ sta salmodiando: “Io sono Francesco, faccio ´o tubbista, e fra due fermate devo scendere…” e dopo qualche minuto: “Io sono Francesco…, faccio ´o tubbista, e alla prossima devo scendere!...” . Mentre ora dice: “Io sono Francesco…, faccio ´o tubista, e alla fermata di prima dovevo scendere!...”
Mi sembra quasi ovvio intervenire: «Francesco, scusa, ma perché non scendi?
«Caro Signore, io scenderei pure, e sarei sceso pure prima, se i Signori m´o ffacessen´fa´!
E con uno sguardo eloquente mi indica il lungo tubo di ferro zincato che tiene ben alto sul capo ed al quale si sono attaccate le mani di molti passeggeri che l´hanno trovato più raggiungibile dell´apposito sostegno anticaduta in dotazione alla vettura.
Siamo a piazza Sannazzaro, ed il bigliettaio chiude “´o bancariello”. Non è nemmeno pensabile che nelle cinque fermate di Fuorigrotta, quelle che mancano al capolinea, qualcuno faccia il biglietto.
Al di là della “Grotta” c´è lo scambio: dritto, si va a Bagnoli, a destra, per via Cumana. Naturalmente la manovra è manuale. Il bigliettaio scende, con l´apposita asta metallica e sposta l´ago dello scambio. Risale, ma non torna al suo posto. Immediatamente una frotta di ragazzetti sbuca dai portoni e sposta il trollej sulla linea per Bagnoli. Il tram parte, ed ovviamente il trollej si sgancia perdendo contatto. E´ quasi un rituale: il bigliettaio riscende ed inveisce contro i monelli che fanno sberleffi. Ripristina il contatto elettrico e si può continuare la corsa.
I bambini di allora si divertivano anche cosí.
Siamo arrivati. La corsa è finita; chi deve andare oltre continuerà a piedi. C´è andata bene, stamattina: solo cinquanta minuti di viaggio, per questi sette chilometri.
Ed è il momento dei convenevoli, dello scambio di indirizzi, degli arrivederci.
Perché il viaggio non è stato come la normale corsa in tram delle altre città. Napoli è diversa: si sono strette nuove amicizie, ci si sono scambiati pareri, ci si è divertiti insieme, ci si è sfogati creando qualche piccola complicità, forse è nata qualche simpatia…
Una corsa in tram, a Napoli, è come una crociera su una nave.
Magari una crociera modesta, non lussuosa come quella che possono permettersi i ricchi, ma con le stesse attrazioni, gli stessi imprevisti, le stesse emozioni.
E´ il cuore dei napoletani, che comunque trabocca.
Lucio Musto 2 maggio 2005 parole 3783
Piazza del Gesù
via Trinità maggiore
via Medina
piazza Municipio
via Verdi
piazza Trieste e Trento
piazza del Plebiscito
via S.Lucia
via Chiatamone
via Arcoleo
piazza Vittoria
riviera di chiaja
via torrette
piazza Sannazzaro
galleria 4 giornate
via delle legioni
via cumana.
Variante per il 30 sbarrato:
porto
via Acton
galleria della Vittoria.
E’ indispensabile, all’inizio di questo racconto dettagliare tutto l’itinerario del “30”, perché anche quello è importante ai fini della ricostruzione storica di “una corsa” di quella mitica linea tranviaria.
Infatti, all’epoca in cui si collocano i fatti che vado a raccontare, Napoli non era ancora la metropoli tumultuosa ma anonima che è oggi, era ancora solo una città, con i suoi quartieri dalle fisionomie ben distinte, le sue popolazioni, gli atteggiamenti specifici delle persone, il loro parlare quasi lingue diverse.
E se piazza del Gesù, capolinea di partenza del nostro tram è al centro del più storico ed antico dei quartieri, piazza Municipio è zona di banche e d’affari, dove “Napule ce pare Milano”, perché la gente s’affretta operosa tutta intenta in mille faccende. La “riviera di chiaja” è zona residenziale chic e silenziosa mentre la confinante “Torretta” palpita di mercatini e venditori ambulanti, negozi con pretese di eleganza e negozi “d’affare”... Insomma un pò come piazza Maggiore e dintorni a Bologna, dove si vende alla fantesca e si cerca di vendere anche alla Signora che scende di persona “per vezzo” a far la spesa, o forse perché, di questi tempi!, la fantesca non può permettersela più.
E poi c’è piazza Sannazzaro, l’allora ultima meraviglia della “città che conta”, rigorosamente separata per presenza della “Grotta”, sprezzante nomignolo del tunnel delle “Quattro giornate”, dalla periferia.
Già, perché all’epoca, lo splendido Viale Augusto, la imperiale Mostra d’Oltremare e lo stadio degli Scudetti e di Maradona, erano periferia. All’epoca, per sottolineare l’infimità di qualcheduno, e per invitarlo a tacere lo si apostrofava come “l’ultimo lampione di Fuorigrotta”.
Si, Fuorigrotta era l’ultima periferia.
Voglio fare ancora una precisazione, prima che il bigliettaio del “30” soffi nel fischietto per autorizzare il manovratore alla partenza. Quelle che racconto non sono storielle inventate da me: sono sprazzi di “vita tranviaria” veramente accaduti o almeno... raccontati per veri; e non necessariamente accaduti in un’unica corsa. Ne riferisco qui perché non se ne perda memoria.
Ed a proposito, lo dico come informazione per i più giovani, nei tram, il capo-vettura era il bigliettaio, non il manovratore, a Napoli chiamato semplicemente “o trambijere.”. E ciò per un motivo semplice: questi doveva solo districarsi nel traffico ed aveva la responsabilità della guida della macchina e della vita dei passeggeri ma quello, il bigliettaio, doveva vedersela con gli umori ed i capricci della gente! Compito questo evidentemente più arduo e delicato.
Finalmente, dopo un “jamm’ncenne và!” di incoraggiamento, si parte. Solo con pochi minuti di ritardo. Ma in verità saremmo stati pronti anche all’orario esatto della tabella.
Un signore anziano dall’aria forestiera lo fa garbatamente notare al bigliettaio: io credo più che altro per fare conversazione. Infatti l’uffiziale dell’ATAN, lungi dal mostrarsi turbato per essere stato scoperto in difetto, pianamente spiega:
«Mio caro Signore, qui ci vuole finezza!... e chi li vuole sentire domani quelli che stamattina hanno perso la corsa se non li aspettiamo almeno per qualche minuto di “crianza”!...».
Infatti, a Napoli, già a quel tempo, quando c’era il “30”, si aveva la sensibilità di aspettare un pò i ritardatari, finezza che poi sappiamo essersi estesa a tutti i mezzi pubblici d’Italia, segno inequivocabile di sorridente Democrazia, visibilmente contrapposta all’arcigna ottusa puntualità del buio ventennio!
La vettura è piena solo a metà, nel senso che le persone rimaste in piedi sono ancora relativamente poche, il bigliettaio si è sistemato sul tronetto (lo scomodo sediolino alto che gli permette di vedere l’intera carrozza anche in caso di folla) e comincia la sua litania: «Biglietti, signori... biglietti!» mentre un gruppetto di scolari della Pimmentell fa il solito chiasso sul belvedere.
Tutto normale, ma forse i ragazzetti esagerano un pò, ed un signore (non quello di prima) disturbato nella lettura del suo giornale invita il vetturino a farli smettere, irritandone la sensibilità:
«E che ci devo fare, io? i’ faccio ‘o trambijére, mica ‘o carabbiniere!!...»
«Ma pecché mo nui carabbinieri avess’m ’a fa’ pure ‘e maest’ ‘e scole?...»
la voce risentita proviene dai primi posti, forse lì “in borghese” c’è seduto qualche esponente dell’Arma.
«Su, adesso non cominciamo!... – la voce è chiaramente femminile – tanto si sa: quando si tratta di lavorare, a Napoli sono tutti uguali a non volere fare mai niente!...».
Pian piano (si fa per dire, al massimo in due fermate) la vettura si riempie di gente e la compagnia si anima. Già i ragazzetti della Pimmentell agitandosi hanno pestato qualche piede e ricevuto qualche scoppolotto, si intrecciano conversazioni e pettegolezzi fra i viaggiatori e le battute spiritose o caustiche non mancano certo.
A Napoli, non è prevista affatto la possibilità di leggere il giornale, in tram, non c’è assolutamente lo spazio!; ed allora quei minuti (talvolta tanti!) che si è costretti a passare insieme servono per socializzare, per farsi compagnia, per dare sfogo a quell’abbondanza di vitalità che caratterizza i popoli mediterranei ed i partenopei in particolare. E per esempio:
«Ué ué, giuvinò!... e che state facendo, là dietro?!... ».
La Signora imbellettata si sente in dovere di redarguire a voce ben alta il soldatino imberbe che, sia chiaro del tutto involontariamente, le ha sfiorato il deretano.
«Niente!... signò,... quella, la folla...».
Il povero militare è arrossito fin alla radice dei capelli e vorrebbe scomparire. Ma pronto, un passeggero più smaliziato interviene a sciogliere tanto imbarazzo:
«La Signora voleva dire che se non ti spicci... è meglio che fai posto ad un altro, là dietro a quel bel monumento!».
La risata generale pietosamente copre la risposta della “Signora”.
Ancora una fermata e siamo nel quartiere degli affari. Via Verdi e, come dicevo, piazza Municipio. Gente affaccendata che corre, si affretta ai taxi, attraversa sconsideratamente la strada. Il nostro manovratore deve effettuare una frenata brusca con inevitabili spintonamenti e commenti dei passeggeri della carrozza:
«Ma addò vanno!!... ma dove vanno, dove galoppano tutti questi invasati! – l’elegante giovanotto sembra una replica del celeberrimo Gegè delle farse di Peppino de Filippo – corrono, corrono, e non combinano niente!... solo per “guadambiarsi” quei quattro “pitocchi” da investire nelle industrie “Esse-pi-A” del Nord... che schifo!».
Il mio vicino mi stringe per il braccio come se fossimo compagni da sempre:
«Guarda a questo, gua’ mi fa pensare allo studentello del prato!...- mi fissa con aria interrogativa -
non la sapete?... mò ve la racconto, tanto a via Verdi almeno un quarto d’ora ci fermiamo. Ma che traffico, stamattina!...»
Traffico quotidiano, mi sembra, ma per il napoletano lamentarsi e poi lasciar correre è una specie di dovere. Si sistema sullo scomodo sediolino:
«Dunque, è accaduto proprio qui, a piazza Castello sul prato davanti al Maschio Angioino; me l’ha detto un amico che stava proprio lì, alla “pensilina”.
C’era un milanese, un uomo d’affari con la cartella nera e tutto che stava aspettando il tram alla fermata e quello (il tram) non passava.
Sdraiato sul prato dell’aiuola, vicino al tabellone, uno studente pigliava il sole coi libri sotto la testa come fosse un cuscino.
Il milanese, incazzato per via del tram e che non aveva che fare comincia col ragazzo:
“ma tu a scuola non ci vai?” –
“no, oggi mi scoccio!”-
“ma come!...- con tanti sacrifici che fanno i tuoi genitori!... almeno vai a lavorare!” -
“e perché devo andare a lavorare?...” –
“perché così cominci a fare qualcosa nella vita, a guadagnarti qualcosa, ad essere qualcuno!”
“e poi?...” –
“e poi, imparato il mestiere, cerchi di metterti in proprio, tiri su una fabbrichetta!...”
“si... e poi?” –
“come, e poi?,.... poi cerchi di consolidarti, avere dei dipendenti, fare fortuna...”
“va bene... e poi?... – il milanese è ora visibilmente irritato:
“e poi ti sdrai al sole e guardi gli altri che lavorano per te, diamine!...”
“embè?... ma pecché, io,… che sto facendo?...”
Avete capito la filosofia napoletana dello sudentello?...»
Si, l’ho capita, e ne sono incantato. Come sempre.
Il “30” ha ripreso il suo lento andare nel caotico traffico cittadino, ed il bigliettaio la sua nenia:
«Signori, il biglietto... bisogna fare il biglietto!... è obbligatorio fare il biglietto!... chi non fa ‘o biglietto tène ‘e ccorna!...».
Non c’è malizia nel suo dire, è solo una variante dell’usuale intercalare, ma anche lui arrossisce un po´ ora che un elegante canuto signore in “loden” verde oliva gli si avvicina per pagare la corsa:
«Scusate... signore... io non mi riferivo certo a Lei... E’ che qui mi fanno perdere la pazienza, e qua nessuno vuole pagare...».
«No...no, non si preoccupi» la voce baritonale del gentiluomo è lenta e calma «sono cose che capitano... e poi visto che è vero...»
«Per carità... volete scherzare!...»
«No, no,... pur troppo vero!... inequivocabilmente, tragicamente, io sono un cornuto... nel senso che mia moglie, e più di una volta, mi ha tradito. Preferendo a me altri uomini...»
Il signore in loden sembra restio a proseguire, mentre metà tram si è fatto attento alla storia:
«E per di più, mi ha dato anche un figlio, frutto del peccato. Due figli miei, del mio sangue, ed uno figlio della NATO, come diciamo qui a Napoli. Negro.»
Ora imbarazzati lo siamo tutti; la presenza della base NATO, la più grossa del Mediterraneo, è una minaccia continua per tutti i mariti ed i fidanzati della città. Si sa, i “marines” non si fanno tanti scrupoli e si sentono autorizzati a tutto, certi dell´immunità del piú forte…
«Ma io ho lottato, ed ho superato. Non bisogna farsi abbattere dalle controversie della vita, ed i miei figli sono stati uguali per me. Tutti e tre, e ad ognuno ho dato gli stessi spassionati, opportuni consigli.
E’ venuto il primo, che voleva fare il generale. “No, gli ho detto, figlio mio: tu sei insofferente alla disciplina, non puoi fare il militare. Sei bravo in matematica, farai l’ingegnere. Così è stato, ed ha fatto fortuna.”
E’ venuto il secondo che voleva fare il vescovo. “No, gli ho detto, figlio mio: tu hai il dono della parola, devi fare il politico, per emergere. E così è stato.”
Ed anche quando è venuto il terzo, il l’ho ascoltato; voleva fare l’artista. “No, gli ho detto, figlio mio: tu sei figlio di zoccola e devi fare il capo di tutti i tranvieri. Ora è il presidente dell’ATAN!”
Il tram si è affollato parecchio ormai, e fa caldo. Qualcuno comincia a sentire la stanchezza e la noia del lento andare. I ragazzetti della Pimmentell si sono stufati e sono scesi per proseguire a piedi. Meno uno, che lesto è riuscito a sedersi. In piedi, accanto a lui, una giovane donna impaziente che presto inizia a lagnare come fra sé, ma con voce abbastanza chiara da essere sentita intorno:
«Certo, io non so dove andremo a finire con queste nuove generazioni!... non c’è più alcun rispetto!... nemmeno per le donne incinte!.... mio Padre, anche coi dolori e l’età che ha si sarebbe subito alzato a cedere il posto! ed anche mio marito!.... ma questi ragazzi senza madre!...».
Il bigliettaio recepisce l’implicito invito e s’indigna:
«Guagliò! e ti vuoi sòsere e far sedere la Signora?... e che scostumatezza!...»
“Rusecando nucelle” il monello cede il posto, ma solo per un attimo, poi ci ripensa ed accenna a sedersi di nuovo: “e che ci azzecco io? i’ nun aggio fatto niente!...”; un sonoro scapaccione e l’epiteto “scugnizzo screanzato” lo fanno desistere mentre qualche commento è mormorato all’intorno. In particolare la vicina di scranno (ho già detto che nei tram di Napoli è d’uso socializzare e fare nuove conoscenze?) s’informa:
«Ah!... ma è in “stato interessante” la signora?... che bella cosa!... e come se la porta bene la gravidanza... fresca come una rosa!... e... da quando?... da quanto tempo?... perché... non si vede proprio!...».
La signora incinta guarda un pò stizzita la sua un pò invadente vicina:
«Sono in attesa da... da... circa quattro ore!... perché?...»
Ci si apre davanti l’ingresso monumentale della Galleria della Vittoria, grigio di vetustà e per i residui fumosi dei tubi di scappamento d’infiniti veicoli. Naturalmente il tram ha la sua “corsia privilegiata”, ma questa termina giusto all’uscita del traforo: e lì ci aspetta l’eterno ingorgo del Chiatamone. La coda di altre vetture tranviarie sarà inevitabile.
La signora diciamo così “neo-gravida” alza la sua bella voce di contralto sul chiacchiericcio generale e si rivolge direttamente al manovratore:
«Mò mi raccomando “bellu giovine”, cercate i mezzi e il sistema di non rimanerci sotto, che quello il bambino con la puzza delle macchine mi si disgusta tutto!...»
«Non si preoccupi la Signora – la risposta è istantanea – che io ci sto attento a non farmi “mettere sotto”!... e poi proprio stanotte mi hanno fatto un buco nuovo apposta per le signore “interessanti” e mi ci hanno messo l’aria condizzionata che sfiata che è un piacere!... col permesso della Signora ci “impizziamo” (ci infiliamo) tutti là dentro!...».
La risata alle pesanti allusioni è generale, ed anche la Signora ride, bonariamente scandalizzata:
«Ma che scrjanziate, ‘stì trambijeri!...».
Pazientando e soffrendo siamo finalmente arrivati alla riviera di chiaja superando (quasi) indenni piazza Vittoria, altro punto infuocato del caldo percorso del “30”. Qui la corsia privilegiata per il tram c’è davvero perché è a massicciata scoperta di tipo ferroviario.
Approfitto per precisare che uso il termine “privilegiata” anziché “preferenziale” per non creare confusioni. Infatti quando a Napoli furono istaurate, le corsie “preferenziali” furono fraintese. Nel senso che tutti pensammo che utilizzarle per le nostre autovetture fosse un discorso di cortesia. Chi “preferiva”, poteva prenderle, chi no, se ne poteva tener fuori.
Ma siamo di nuovo fermi, nonostante il lungo rettilineo sgombro davanti a noi. E dietro di noi la coda di altre vetture si sta rapidamente allungando.
L’inghippo è dovuto ad una fascetta rossa che non c’è. Mi spiego. Nei tram di Napoli c’era, e forse c’è ancora, una fascetta rossa di metallo avvitata al montante del tronetto, il seggionino del bigliettaio. La sua funzione è chiara: i bambini più bassi di quell’indice, non pagano, quelli alti uguale o più, pagano. Nella nostra vettura, chissapperché, la fascetta non c’era più: qualchuno l’aveva asportata lasciando solo i forellini delle due viti a testimonianza della sua presenza ed un vago alone chiaro di minor ossidazione sul montante.
Orbene era ora in corso una diatriba senza sbocco fra una signora preoccupata di difendere il suo diritto a non pagare il pedaggio per il figliuolo ed il buon impiegato deciso a fare gli interessi dell’Azienda:
«Il bambino è piccolo, non ha mai pagato e non paga»
«Cara Signora il bambino è cresciuto anche troppo ed avrebbe dovuto cominciare a pagare da un bel pò»
«”Cara” non sono io, ma voi con questi continui aumenti del biglietto, e poi la misura qui non c’è»
«Ma ci sono le viti e il segno della fascetta».
«Ma non la fascetta che a termini di regolamento è quella che vale... e se i buchi li avete fatti voi?»
«Ma che ci guadagno io a fare i buchi? e che colpa ne ho se hanno tolto la fascetta?».
«E che volete, che la fascetta ve la paghi io, per caso?... io sono una donna onesta!...».
«Signora, fate come volete:o pagate due biglietti, o scendete».
«Ma nemmeno per sogno! pago il mio biglietto e resto qui con mio figlio!».
«E questo tram non si muove da qui!».
E’ evidente per tutti che non c’è via di uscita:
«Trambijé! arape ‘ste pporte, che ccà facimme matina!».
Il “30” è fermo. C’è chi sale, chi scende. Tutti commentano e danno consigli, parteggiando per l’una o l’altra parte . Passa il tempo, ma l’empasse non si supera.
Infine vediamo salire in vettura un signore brizzolato che dopo averci informato di essere un viaggiatore del “23” in coda dietro di noi, chiede spiegazioni, come tutti gli altri. Soddisfatto, avanza la sua proposta:
«Scusate, ma io tengo fretta di arrivare a Bagnoli . Non lo so se ha ragione l’ATAN o la signora. Facciamo che il biglietto del ragazzo lo pago io, e così ce ne andiamo. Va bene?»
Sono tutti d’accordo, al bigliettaio non importa chi paghi, alla signora importa non pagare. Sbrigata la formalità:
«Trambijé, sciogli ‘a martellina e jamm’n cenne!”
Si sta per ripartire, ma da più parti:
«Ferma! ferma!... che dobbiamo scendere!...»
«Ma come! siamo stati fermi mezz’ora e voi “adesso” dovete scendere?...”
«E che c’entra!?... noi eravamo saliti pe’ sentì comme ferneva l’appiccico!”
Come Dio vuole si riparte. Ma alla fermata seguente, salgono i controllori. E qui occorre fermarsi un attimo e fare alcune considerazioni.
I controllori sono, a Napoli, personaggi affatto particolari. Metà poliziotti, metà giudici, metà carnefici e metà catechisti, hanno ovviamente problemi a svolgere il quotidiano lavoro in questo polimorfico loro status professionale. Ove a questa difficoltà si aggiunga la precipua natura camaleontica del “napoletano senza biglietto” ora vittima ignara e sconsolata di atroci angherie o di congenita smemoratezza, ora nobile offeso dalla pretestuosa richiesta di danaro in cambio di un indegno servizio, ora infine altre mille cose di altrettante sfumature diverse, ci si farà un quadro abbastanza preciso del “cosa sia” la salita dei controllori sul tram. E dico solo “abbastanza preciso” perché è ancora da definire: “chi siano i Controllori, che vogliano e chi mai li abbia creati e perché”.
Comunque, alla riviera di chiaja, spesso “salgono” i Controllori.
Perché salgano lì e non altrove è cosa nota: perché alla riviera di chiaja salgono anche le Signore di piazza dei Martiri che vanno per spese, e se si riesce a trovare “’na cumbinazioncella” quelle sono le persone più indicate. Altrimenti è comunque il tratto migliore per esibirsi nella gestione del traffico tranviario e mostrare divise impeccabili e gradi lucenti.
Al tempo dei fatti che stiamo raccontando, quando c’era il “30”, i Controllori salivano dalla porta davanti, quella riservata alla discesa, per affermare subito il loro potere simil-militare, e conseguentemente il “fuja-fuja” avveniva dalla porta di dietro. Solo successivamente, all’epoca del “compromesso storico fra DC e PCI” divenuti più democratici pensarono di organizzarsi salendo uno dalla porta anteriore e l’altro da quella posteriore, anche per stringere gli inadempienti in una tenaglia e rendere piú efficace la loro opera, ma sfortunatamente anche le vetture tranviarie si erano evolute ed ora avevano tre porte: ed il “fuja-fuja” si spostò dalla posteriore alla porta centrale.
Le più note diatribe fra controllori e passeggeri già le ho raccontate in altro mio scritto e qui le ometterò, annotando solo che fu durissima la battaglia di tutti noi, bigliettaio compreso, contro i controllori per evitare la multa al signore brizzolato del “23” che ci aveva tolto dall´empasse della “riviera di chiaja”. Infatti il biglietto del “23” non è “regolamentarmente usufruibile” se non su quella linea.
Alla fine la vincemmo noi ed i controllori, umiliati, scesero dalla vettura. Il signore brizzolato, come ringraziamento, ci intrattenne con una sua avventura:
«Io coi tram ci vado poco d´accordo – inizió – e ogni volta che ne piglio uno, corro il rischio ´e passà nu guajo!... Voi l´avete capito, io sono di Bagnoli, e faccio l´ebanista… si, sarebbe come dire il falegname… ma un poco meglio!... più accunciatiello! …
Bene! Un giorno mi chiama una Signora. Tenéva nu problema col guardaroba della camera da letto, che ogni tanto gli s´aprivano le porte sole sole… quann´ passava ´o tram!
La Signora, una bella giovane da una trentina d´anni, stava sola in casa. Mi offre un bel café, come si usa, e poi mi fa vedere ó guardaroba. Io guardo, studio, misuro, ma non riesco a capire che guajo aveva passato!... passa nu tram, e zàcchete! S´arap´no ´e ddoje specchiere !...
Allora io dico: “Signò´, qua bisogna che io entri dentro all´armadio per vedere che c´è all´interno che non va; perché da fuori, mi sembra tutto a posto!”. E cosí mi chiusi nell´armadio aspettando che passasse un altro tram e vedere cosa succedeva.
Due minuti, e si scatenaje l´inferno. Allucch´e pazze! . Io non capii subito, ma era il marito, gelosissimo, che era rientrato improvvisamente e cercava l´amante della Signora… e più quella diceva no, e più alluccava, e si sbatteva, e sbatteva le porte delle stanze e cercava sott´o lietto!...
Po´ arapette l´armadio …
«E trovó a voi!...
«Già, truvaje a me!... e io me morivo d´a paura d´essere vattuto e acciso!... Riuscii solamente a mormorare: “Io lo so, che voi non mi potete credere… ma io stavo aspettando ´o tram!”
Il paradosso fa parte della realtà napoletana, e solo chi fra di noi non era napoletano verace scoppió a ridere; gli altri capirono la drammaticità della situazione.
Siamo ormai alla torretta e recepisco che un ragazzotto che già da un po’ sta salmodiando: “Io sono Francesco, faccio ´o tubbista, e fra due fermate devo scendere…” e dopo qualche minuto: “Io sono Francesco…, faccio ´o tubbista, e alla prossima devo scendere!...” . Mentre ora dice: “Io sono Francesco…, faccio ´o tubista, e alla fermata di prima dovevo scendere!...”
Mi sembra quasi ovvio intervenire: «Francesco, scusa, ma perché non scendi?
«Caro Signore, io scenderei pure, e sarei sceso pure prima, se i Signori m´o ffacessen´fa´!
E con uno sguardo eloquente mi indica il lungo tubo di ferro zincato che tiene ben alto sul capo ed al quale si sono attaccate le mani di molti passeggeri che l´hanno trovato più raggiungibile dell´apposito sostegno anticaduta in dotazione alla vettura.
Siamo a piazza Sannazzaro, ed il bigliettaio chiude “´o bancariello”. Non è nemmeno pensabile che nelle cinque fermate di Fuorigrotta, quelle che mancano al capolinea, qualcuno faccia il biglietto.
Al di là della “Grotta” c´è lo scambio: dritto, si va a Bagnoli, a destra, per via Cumana. Naturalmente la manovra è manuale. Il bigliettaio scende, con l´apposita asta metallica e sposta l´ago dello scambio. Risale, ma non torna al suo posto. Immediatamente una frotta di ragazzetti sbuca dai portoni e sposta il trollej sulla linea per Bagnoli. Il tram parte, ed ovviamente il trollej si sgancia perdendo contatto. E´ quasi un rituale: il bigliettaio riscende ed inveisce contro i monelli che fanno sberleffi. Ripristina il contatto elettrico e si può continuare la corsa.
I bambini di allora si divertivano anche cosí.
Siamo arrivati. La corsa è finita; chi deve andare oltre continuerà a piedi. C´è andata bene, stamattina: solo cinquanta minuti di viaggio, per questi sette chilometri.
Ed è il momento dei convenevoli, dello scambio di indirizzi, degli arrivederci.
Perché il viaggio non è stato come la normale corsa in tram delle altre città. Napoli è diversa: si sono strette nuove amicizie, ci si sono scambiati pareri, ci si è divertiti insieme, ci si è sfogati creando qualche piccola complicità, forse è nata qualche simpatia…
Una corsa in tram, a Napoli, è come una crociera su una nave.
Magari una crociera modesta, non lussuosa come quella che possono permettersi i ricchi, ma con le stesse attrazioni, gli stessi imprevisti, le stesse emozioni.
E´ il cuore dei napoletani, che comunque trabocca.
Lucio Musto 2 maggio 2005 parole 3783