Ma voi ci sareste andati?
IL REPORTAGE
Lusso, attentati e filo spinato
ecco il bunker dorato di Eto'o
Viaggio nella patria dell'Anzhi dove il calcio è un progetto politico. I giocatori vivono a Mosca, a 1.600 chilometri dallo stadio: arrivano il venerdì notte vanno in ritiro sulle limousine e dopo la partita ripartono
MAKHACHKALA (Daghestan) - Seguite le colonne di fumo che salgono dalle sterpaglie. Là, tra quelle baracche di legno marcio e i cumuli di rifiuti, dove si alzano due o tre nugoli di cavallette impazzite. Il resort dei campioni è quella specie di campo militare circondato da un muretto bianco e da rovi di filo spinato. Qui viene da mesi il grande Roberto Carlos, qui si aspetta da un giorno all'altro anche Samuel Eto'o per coronare un sogno che è nato tra questa steppa e le sale del Cremlino: dimenticare la guerra, il terrorismo, perfino la miseria del 98% della popolazione. Tutto grazie ai gol e alle imprese dell'Anzhi football club. Magliette gialloverdi, vent'anni di mediocrità e di epiche sconfitte, e uno slogan marziale che compare sui muri grigi di questa cupa repubblica, al confine con la Cecenia, sull'estremità meridionale del Caucaso ribelle: "Anzhi, la nuova Storia".
Progetto politico, prima che sportivo, fondato sulla regola più amata e ripetuta a ogni occasione dal proprietario della squadra, Suleyman Kerimov, daghestano, miliardario per cause imprecisate e mille sospetti mai provati: "Con i soldi si ottiene sempre tutto". E come dargli torto, guardando il villaggio che ospita campioni abituati ai lussi e agli eccessi dei calciatori di oggi, almeno per tutti i week end in cui l'Anzhi gioca una partita in casa? Arrivano il venerdì dalle loro ville moscovite o dal centro polifunzionale d'allenamento della capitale. Di notte. Anche per evitare la folla di tassisti abusivi e le mucche che pascolano libere sul piazzale dell'aeroporto. Su un convoglio di Suv e limousine attraversano la steppa tra catapecchie contadine, stabilimenti sovietici in disuso, una trivella che da qualche mese cerca petrolio a due passi dalla città. Il villaggio "Djami" è al di sotto degli standard del turista medio russo. Mobili dozzinali, muffa nelle docce, frigobar da riempire con quello che ti porti da casa. In fondo a un vialetto fatto di meli e peri di plastica e palme di materiale fluorescente, c'è la spiaggia sulle rive del Mar Caspio. Panorama balneare, pure gradevole. Bisogna solo concentrarsi bene e non guardare le garitte dei militari dei servizi segreti che hanno una caserma proprio a fianco, né gli sbarramenti da fortino assediato dislocati tutto attorno.
In questo bunker i calciatori miliardari dell'Anzhi passano il sabato e la domenica fino alla partita. Poi docce e partenza, sempre di notte. Nessuno li vede a Makhachkala. Compaiono solo al momento di sbucare in campo dal tunnel dello stadio dentro a una coreografia grandiosa. Bandiere e striscioni nuovi di zecca, la colonna sonora de "L'ultimo dei Mohicani" sparata al massimo dagli amplificatori, cori dei supporter "I ragazzi terribili", organizzati e foraggiati apertamente dal club. "Ne mandiamo sempre almeno 300 ogni trasferta con due charter", spiega German Chistyakov, giovane direttore generale, convinto sostenitore della "missione Anzhi".
Devastato da due guerre, sotto attacco costante del terrorismo integralista che sogna un Emirato che comprenda Daghestan, Cecenia, Kabardino-Balkaria e tutte le repubbliche islamiche del Caucaso, il Paese sa bene che il calcio è solo una strada per uscire dal tunnel. Ed è anche un'arma propagandistica poderosa per il governo Putin deciso a spacciare per pace una tregua armata e a certificare la russificazione definitiva di una ragnatela di popoli e di etnie eternamente in lotta contro il potere centrale. La stessa ricetta usata da Ramzan Kadyrov, autoritario governatore della Cecenia, che ha puntato sul lancio del Terek, squadra di Grozny. Un vero e proprio derby tra due capitali del terrorismo nazionale. Con una inevitabile rivalità tra i dirigenti. Chisytakov ci tiene a precisare la qualità manageriale superiore da parte del suo team: "Kadyrov ha puntato su Gullit, grande calciatore, mediocre allenatore. Noi invece puntiamo tutto sui grandi calciatori, Roberto Carlos, l'ungherese Dzsudsak, Yurij Zhirkov preso dal Chelsea. E speriamo anche in Eto'o. Non vogliamo competere subito con Real Madrid e Manchester United ma intanto scalare le gerarchie in Russia, diventare una squadra di livello europeo". Intanto dopo la vittoria di domenica è 3° in classifica per la prima volta nella sua storia.
Il sogno è ambizioso. Il presente ancora incerto. La squadra gioca nel piccolo stadio Dinamo, che fu del team sovietico della polizia. Dodicimila posti sempre occupati. Prezzi stracciati (due euro le curve, sei la tribuna centrale), pulizia affidata a un gruppo di contadine in foulard islamico, campo rizollato ogni settimana. Per arrivarci bisogna deviare dal viale centrale dedicato a Pietro il Grande, visto che la zona dei palazzi presidenziali e di governo è sigillata da soldati e blindati. Si deve percorrere una strada fatta di poveri negozi, venditori di kvas fatto in casa, pubblicità di cartone dipinto del bar Oasis e del ristorante Faraon. Ma il 45enne proprietario Kerimov ha le idee chiare e gli appoggi giusti. Prevede addirittura una città satellite da costruire tra il mare e la steppa. Alberghi a 5 stelle, uno stadio da 45mila spettatori, ville da calciatori e da dirigenti. Con la solita ricetta: un mare di soldi da spendere e da regalare alle persone giuste.
Inutile fare l'elenco degli ultimi episodi di terrorismo. Solo nelle ultime due settimane, l'addetto stampa di un ministro fatto fuori a fucilate, cinque poliziotti uccisi in due esplosioni, una bomba di cento chili disinnescata per caso nella vicina città di Khasavyurt. La missione dell'Anzhi non può fermarsi davanti a queste cose. Magomed Omarov, addetto alla sicurezza dei calciatori quando passano da qui, non si spaventa. "È vero, ci sono tanti morti ma non riguardano la popolazione. I terroristi mirano solo a militari e politici. Non ci riguarda".