Sinceramente io dubito. Non dubito dei libri ma dei lettori. Parlo in nome della mia esperienza e quindi non sto dando giudizi su nessuno, però una cosa mi sento di dirla. Una volta -per studio o per curiosità- leggevo tantissimo, ora invece leggo molto meno, ma ascolto molto di più. Ascolto dibattiti su libri, ascolto parole di commento ai libri, ascolto elogi ad autori, ascolto dietrologie e apprezzamenti su vari tipi di letteratura ecc, ascolto e mi chiedo: Quale enorme, incolmabile distanza c'è tra ciò che si legge e ciò che si vive? E' poi lecita tutta questa enorme differenza? Cioran diceva che un libro deve costituire un pericolo, una ferita, un cambiamento in chi lo legge, io ci credo molto a questo, ma attorno a me -specie in ambito universitario- vedo solo persone che parlano di parole che nulla hanno a che vedere con la loro vita, con la loro esistenza, coi loro pensieri e con la loro personalità. Inutile dirvi che con costoro non riesco proprio a trovare un dialogo, al massimo posso dire loro "parlami DI quel libro" ma giammai "parla la lingua di quel libro" o "fai parlare quel libro in te", ma è proprio questo che a volte vorrei vedere. Tra le parole e chi le legge -ormai- non c'è più sintonia e non è solo la saggistica ad aver inciso negativamente, con le sue masturbazioni verbali attorno a parole dette da altri, ma anche un certo tipo di lettore, quello che legge perché è bello leggere e perché si deve leggere, non quello che legge perché serve. Io ad oggi ricordo dei libri che hanno inciso tantissimo nella mia vita, più che altro autori, Cioran, Baudelaire, Rimbaud su tutti. E voi? avete avuto degli autori che vi hanno "scritto"?
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