Vanno proprio in tale direzione certe intuizioni della prima ora che sono
tuttora a fondamento del metodo psicoanalitico, dalle libere associazioni al racconto
dei sogni, al racconto anamnestico fino all'eloquio libero, in cui è si può dire quel che viene in mente, senza censure e senza ordine.
La psicoterapia non può certo cancellare il trauma che ha determinato la patologia ma mira a modificare il modo di raccontarlo (e di raccontarsi) da parte del paziente. Con questo cambierà il significato attribuito al fatto e con esso i suoi effetti.
La narrazione potrà essere ri propositiva o significativa.
Il primo tipo di narrazione coglie il senso già presente, quello che emerge con una certa evidenza dalla realtà dei fatti, quasi identificandosi con essi; un senso già presente, da «leggere» e basta (si legge quel che è già scritto o presente) o solo da scoprire-riconoscere. Ad esempio, la morte di una persona cara o una ingiustizia è di per sé un fatto negativo, né può essere cambiato; così come l’affetto ricevuto è un dato gratificante che rimanda immediatamente a un senso positivo della vita. In forza di questo senso già dato, la forma narrativa è spesso parziale, perché non si ricordano né volentieri si raccontano gli episodi negativi della vita. In questa forma narrativa non c’è nessuna novità. Tutt’al più, se il fatto è negativo, vi sarà un percorso che va dall’accettazione (a volte solo rassegnazione) verso la riconciliazione con il passato, ma prevalentemente di tipo solo buonista moralista, come uno sforzo della persona, ma che non giunge a modificare il sensodi ciò che è avvenuto, che resta una macchia nera.
Invece la narrazione significativa con il racconto attribuisce un nuovo significato all’evento stesso raccontato. Si tratta di un significato nuovo, scoperto dalla persona a partire dalle sue convinzioni che si sono confrontate col fatto stesso, che forse si sono lasciate purificare ed essenzializzare, dando luogo proprio per questo a una sintesi inedita che è appunto questo significato nuovo.
Per questo, tale forma narrativa tende a estendersi a tutta la vita, ivi compresi i fatti negativi, poiché crede che sia possibile dare senso a tutto, anche all’asimmetria della vita.
Già questa piccola distinzione palesa un aspetto: non tutte le narrazioni fanno bene. Se è vero infatti che l'incapacità di raccontare se stessi è sempre un brutto segno, è anche vero che ogni racconto che auto celebra la propria sofferenza o che è costruito sulla sua negazione, immobilizza la vita.
Detto questo, mi rivolgo a voi.
Credete che raccontarsi faccia bene?
A quali condizioni fa bene?
In quali forme?
Sapete raccontarvi?
Che cosa ne ricavate?
Che difficoltà incontrate?
Avete esperienza del racconto in un rapporto terapeutico?
Se si, qual'è stata la vostra esperienza?