NinfaEco ha scritto:
Sei molto perspicace e sai quello che dici.
Grazie.
Per quanto riguarda me, hai intuito bene la mia situazione. Quello che vorrei capire è come si arrivi a sentirsi così, nel momento in cui si è vivi e quindi si ha sempre di fronte a se un ventaglio di possibilità e perchè anche avendo delle possibilità di fronte a se certi sentimenti restano. Come si educano questi sentimenti in modo da trasformare l'angoscia? Come si supera una nevrosi da adattamento? Non è forse essa una prova del potere dell'ambiente nel formare una persona?
E la domanda a cui cercano di rispondere filosofi e psicologi.
Il tema esistenzialista dell'angoscia come reazione all'oppressione adattativa si presenta in Kierkegaard e poi nell'esistenzialismo di Sartre, in modo vistoso.
Se vogliamo è anche il fine implicito di tutte le religioni, e delle filosofie orientali, come il buddismo.
Personalmente penso che tutto sia da giocare fra quello che sei come individuo, col tuo bagaglio genetico ed esperenziale, e l'ambiente in cui sei inserita.
Tu abiti sia in te stessa che nell'ambiente in cui vivi e operi e cio' che si dovrebbe cercare è un equilibrio, un compromesso, fra le spinte pulsionali e le censure genitoriali e ambientali.
Ma non è detto che questo funzioni, perchè questo presuppone la possibilità e la capacità di poter gestire tutti gli elementi in gioco.
Ma se uno e' ammalato? Ecco che tutti i meccanismi saltano, perchè non c'è la forza fisica per mentenerli in ordine.
Oppure se ha ereditato un'indole e un temperamento claudicanti e fragili, incapaci di reggere qualsiasi stress?
Ecco che allora anche se la persona conosce i meccanismo per non farsi del male, e si pone in un ambiente povero di stimoli, dove può sentirsi al sicuro, continuerà a percepire dolore e insofferenza, da cui nasceranno malinconia e regressione [depressione] nell'atto istintivo di ritornare nell'utero materno, dove era il paradiso.
Ma il corpo, se non è fortemente avariato, continua a vivere lo stesso, e questo permette perfino di abituarsi a questa condizione fino a considerarla l'unica e irrinunciabile per poter sopravvivere. Come i due nomi citati sopra, o altri come Weil e Arend per citare due donne, hanno fatto della loro debolezza un motivo per vivere e raccontarsi.
Il nostro essere ha sette vite, come i gatti, e prima di gettare la spugna lotta con i denti, anche contro se stesso.
Magonzo ha scritto:torniamo al dibattito sull'ereditarietà ?
; anche l'"indole" non mi sembra qualcosa di identificabile in modo univoco e comparable, e rischia di essere un contenitore di attribuzione di sigificati a posteriori;
Infatti. Indole e' una parola arcaica, che usavano i nostri avi per dire intuitivamente quale era la sintesi del soggetto:- Sei coraggioso, sei un vile, sei astuto, sei temerario, sei idiota,- ecc.
In quella parola si riassumeva la descizione.
Tempreamento ha una valenza piu' fine e filosofica. Si riferisce a teorie ancestrali, come la ricerca degli elementi costitutivi dell'esistente. Ecco che allora spuntano i 4 elementi [5 per gli speculatori]che portano con se anche la descrizione della individualità biologica, fisica e psicologica. Ma tutto restava nel vago, cosi come vaghe oggi me medicine alternative ed esotiche fondate su questi concetti.
Ma ora ne sappiamo di più. Sappiamo dei cromosomi, dei geni, della nostra natura evolutica e adattativa.
Sappiamo che quello che i nonni avevano intuto era vero. Non nasciamo dal nulla, ma da due cellule che si incontrano e si portano dietro la loro storia biologica. Cosi noi nasciamo già in gran parte determinati. Abbiamo gli occhi di mamma, le orecchie di nonno, lo scheletro della linea paterna e l'intelligenza della linea materna, con tutto un corredo di tare famigliari che ci portiamo appresso, e con le quali dovremo fare i conti.
L'ambiente riuscirà a modificarci e noi riusciremo ad adattarci, in una certa misura, ma non oltre un certo limite già fissato. Per esempio nessun uomo attuale può superare i 120 anni di età. Se le condizioni genetiche sono buone e l'ambiente clemente possiamo magari arrivarci vicino, ma poi basta. Se l'ambiente non è clemente e abbiamo un bagaglio genetico debole, soccomberemo molto prima.
Aleister ha scritto:Perchè la psicologia opera partendo da "prescrizioni", cioè da una sorta di pregiudizi o preconcetti, dati per scontati dallo psicologo, ovvero presi come "dati di fatto" senza una esplicita ammissione, diversi tra le diverse "scuole" psicologiche (funzionalismo, comportamentismo, teoria della Gestalt, psicoanalisi).
Prescrizioni come idee guida sulla cui base lo psicologo sceglie il problema, lo formula e lo elabora.
Esatto. Ecco perchè sono molto prudente nel parlare di psicoterapie. Si sa di cosa si parla?
in questo senso, l'approccio transazionale appare spesso convincente nello spiegare molte dinamiche, ovviamente anche in modo non esauriente o lacunoso, ma pur sempre con un approccio più solido all'osservazione a partir da manifestazioni critiche o patologiche, e un impianto teorico più robusto rispetto ad altri approcci.
Concordo. Non fosse altro perchè si mostra ciò che si spiega nel momento in cui si spiega, e lo si vede nel momento in cui ci si pone attenzione. Non c'è astrazione, se non si cercano elaborazioni raffinate e astratte.
Aleister ha scritto:
è molto facile che ... lo psicologo assuma così ruolo di un moderno sofista
Già...ovvero un venditore di fumo, come il politico, che ha la stessa origine filosofica.