Candido ha scritto:Quanto male alla fine hanno fatto le religioni agli uomini...Oggi soprattutto perché impediscono la libera ricerca dell'Assoluto, in quanto si tende ad associare all'istante l'idea di Dio con quella di religione. Che per assai validi motivi si tende a rifiutare.
Allah al bar (è dappertutto, quindi anche lì)
Assolutamente innegabile.
Ma quanto bene hanno fatto le religioni agli uomini? Mi sembra palese che anche da questo lato della medaglia non se la cavino poi così male. Ad ogni modo non voglio assolutamente fare discorsi del tipo "le religioni hanno fatto più male che bene (o viceversa)": intendo solo invitare alla continua relativizzazione
Jeggi ha scritto:Nah, dio (è voluto i minuscolo) è storia passata, he's
too mainstream.Per me capire la sua inesistenza però non è chiudere gli occhi, ma aprirli.
Mi ha fatto proprio sorridere, si potrebbe fare una maglietta "God?… too mainstream!"
D'altra parte ci ho pensato un momento e mi viene però un'altra riflessione:
"Atheism?…too mainstream!"
ove all'ateismo possiamo sostituire probabilmente anche l'agnosticismo.
Dico questo perché negli ultimi anni ho visto un rilevante aumento e diffusione non solo tra i ceti culturalmente elevati e medio-elevati (passatemi l'espressione, è per capirci)* ma anche tra quelli più bassi di un imperante ateismo/agnosticismo, decisamente sufficientemente convinto, granitico, contrito da potersi definire dogmatico.
Ho però anche notato che qualcuno tra quelli del "ceto culturalmente più elevato" sta riscoprendo una spiritualità di stampo più religioso. E' fin troppo facile ipotizzare quali siano i rischi di una società di stampo marcatamente ateo, in termini di perdita di sentimento, umanità, reciprocità. E la posizione dell'agnostico, spesso, è solo una etichetta utile a proteggere coloro che si vergognano di ammettere un sostanziale ateismo, ovvero una schermo per deflettere discorsi analoghi a questo che sto facendo, o più forti ancora. Questo senza nulla togliere al vero agnosticismo, che però ritengo essere davvero di pochi, solo di una minima parte di coloro che si professano agnostici - e infatti anche io, in defintiva, mi colloco, anche se di sbieco, in questa classe (o così credo…).
Se le religioni hanno certamente provocato tanto male nel mondo, ciò nondimeno mi sembra opportuno non incorrere nel rischio opposto: il rischio una radicalizzazione dogmatica in favore non più dei "religiosi", come negli ultimi secoli, ma dei "non-religiosi". E questo è ai miei occhi già in atto: in qualsiasi classe liceale o universitaria (E quindi sicuramente anche in moltissimi altri luoghi e situazioni, collaborative o agonistiche, di potere o meno) è fin troppo facile trovare ragazzi ben felici di manifestare apertamente, con una convinzione del tutto veemente, le proprie posizione ateo-agnostiche; d'altra parte è assai più difficoltoso rintracciare un ragazzo che abbia il coraggio - perché ormai di questo si tratta - di definirsi credente (giusto per chiarire: neanche i ragazzi, pochi, che seguono l'ora di religione ammettono , o sono disposti ad ammattere, di essere credenti). Questo per dire che oggi, secondo me, è assai più facile mantenersi su posizioni ateo-agnostiche che su posizioni "di fede". E intendo "facile" in due modi: dal punto di vista sociale, e dal punto di vista della "fede" appunto. Mi spiego: da un lato il costume ormai impone di avere posizioni non-religiose, in nome di una qualche pretesa - o auspicata - "scientificizzazione sociale", vista come la retta via di sviluppo, che supera e sorpassa le retrive ed arcaiche idee religiose; dall'altro, oggi è decisamente più facile "convincere" qualcuno della non-esistenza di Dio, piuttosto che della sua esistenza. Ovviamente la logica, o ragione, chiamamola come vogliamo, imporrebbe che l'a-teismo e il teismo abbiano eguale valore, basandosi in defintiva su convinzioni del tutto soggettive. Ciò nonostante, affermare la propria religiosità equivale praticamente a farsi carico consenzientemente dell'appellativo di bigotto.
D'altra parte tempo fa vidi, non ricordo neanche più dove, alcune vignette e filmatini il cui succo era «Nessuna persona che possa ritenersi dotato di un qualche intelletto può scegliere una posizione diversa dall'agnosticismo». Questo ovviamente critica sia ateismo che teismo. Di fatto, però, finisce per costituire una forma di dogmatismo in tutto analoga alle posizioni più radicali che invece si propone di criticare.
In conclusione, tutto quello che è scritto è solo un per far riflettere sulla pericolosità del dogmatismo, fenomeno che oggi è decisamente più riscontrabile, a mio avviso, nelle posizioni "non-religiose", piuttosto che in quelle religiose (parlo locamente, a livello di mondo occidentale). E ciò nondimeno, non voglio adombrare le colpe e le idee retrive di una certa religiosità, o per meglio dire di una certa componente istituzionale, ufficiale, della religione (di tutte, non solo cristiana - e tutte vuol dire anche di quelle orientali, che spesso dagli occidentali sono invece viste come qualcosa di più dignitoso di cristianesimo e islamismo solo perché avvolte da un'aura per così dire "esotica").
Insomma, l'ondata ateistico-agnostica del Terzo Millennio mi sembra che stia rischiando (anche se a questo punto potrei evitare di un'sare un verbo eventualistico come "rischiare") di intaccare, erodere, anche l'ultima parte di spiritualità che ancora gli uomini mantenevano e trasmettevano ai propri figli. E la spiritualità (che non è la religiosità), io penso, è l'unica cosa che davvero permetta all'uomo di essere felice.
*
Nota: ovviamente "ceto culturale" è un'espressione quanto mai vaga, che rischia di farmi passare per discriminatore, classista, se non anche marxista. Specifico quindi che ho scelto questi termini solo perché ora come ora non me ne vengono di migliori, ovvero altrettanto "potenti semanticamente".