Se avete tempo leggetelo perchè sarebbe bello parlarne e anche tentare di capire le differenze tra stalking maschile e femminile.
I dati riguardanti questo aspetto sono piuttosto discordanti: uomini e donne risultano essere a volte autori in misura uguale di atti violenti (Harmon et al., 1998, Meloy & Boyd, 2003), altre volte risulta invece che le donne commettano più azioni violente di moderata gravità rispetto agli uomini (Sinclair and Frieze, 2002). La violenza fisica non costituisce un fattore aggiunto di gravità, ma ha un impatto psicologico decisamente invalidante (Thomas et al., 2008) e naturalmente aggiunge al malessere della vittima anche il danno provocato dalle lesioni fisiche (Brewster, 2002).
Occorre però sottolineare che spesso le ricerche fanno riferimento a casi di stalking comprovati, denunciati e gestiti per vie legali. I dati raccolti potrebbero quindi essere inficiati dal fatto che sono pochi gli uomini che ammettono di essere vittime di stalking, o comunque di subire minacce da parte di una donna. Ancora meno sono gli uomini che si rivolgono alle forze dell’ordine per questo motivo e pochissimi sono quelli che dichiarano di essere spaventati e preoccupati per la propria incolumità. Forse proprio per questo motivo è presente un’ampia asimmetria che vede la quasi totalità femminile tra le vittime di stalking, mentre i casi in cui è l’uomo ad essere bersaglio di stalker vengono spesso sottostimati e taciuti.
Indagando le ragioni di questa disparità, si può affermare che da una parte vi è la visione condivisa di una società su base patriarcale, come da (quasi) sempre è stato per l’occidente. Da questa prospettiva, l’uomo dovrebbe far valere la sua posizione e il potere che ha all’interno della famiglia, anche a costo di dover utilizzare la violenza. Anni di proteste e lotte per l’emancipazione hanno fatto sì che la violenza sulle donne venisse poi condannata, nonostante dati allarmanti dimostrino la necessità di nuovi provvedimenti in questo campo (solo in Italia, nel 2012 si contano cento donne decedute in seguito a violenze domestiche o da parte di partner, mariti o ex). La controparte di questa impostazione è la visione della donna come elemento debole e poco pericoloso. Da qui l’idea che la violenza perpetuata da una donna nei confronti di un uomo sia meno grave rispetto a quando è l’uomo ad agire in modo violento.
Uno studio australiano ha voluto approfondire queste tematiche, cercando di rispondere fondamentalmente a due questioni: se ci sia una differenza quantitativa e qualitativa tra le azioni violente di uomini o donne stalker e quali credenze socioculturali determinino i giudizi su questi agiti.
I risultati mostrano la maggior tendenza da parte delle donne a perpetuare azioni di violenza moderata, eseguita o tentata, mentre non si sono rilevate differenze relative a manifestazioni più gravi di violenza. Le credenze socioculturali indagate mostrano come l’aggressività da parte delle donne sia comunemente più accettata e tollerata: non desta preoccupazione, non allarma, non viene denunciata.
Inoltre, stalker violenti di sesso maschile si dimostrerebbero più consapevoli dei loro comportamenti violenti, messi in atto con lo scopo di ferire o intimidire la controparte. Al contrario, le donne non avrebbero un’idea così definita di scopi e conseguenze dei propri soprusi e agiti violenti.
Gli autori interpretano i dati raccolti sostenendo che le donne potrebbero essere più propense ad azioni violenti nei confronti della vittima perché consapevoli che i loro comportamenti potrebbero essere notevolmente sottovalutati dagli altri e difficilmente giungerebbero all’attenzione delle autorità.
Inoltre, le donne stalker sarebbero meno inibite a perpetuare atti di violenza perché convinte che questi comportamenti siano meno gravi quando messi in atto da loro, piuttosto che dalla controparte maschile. La violenza da parte delle donne contro gli uomini nella cultura occidentale risulta quindi essere considerata più giustificabile, meno dannosa, meno condannabile, anche dalle donne stesse.
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