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Può uno psicologo essere amico di un paziente?

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1
RevolutionHope
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Viandante Residente
Viandante Residente
Può uno "psicoterapeuta" essere amico/a di un paziente?
Può esserlo di un ex paziente, cioè quando è finita la terapia?

2
Yale
Yale
Viandante Mitico
Viandante Mitico
Così, sempre per essere precisi, psicologo non è sinonimo di psicoterapeuta.

3
nextlife
nextlife
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
@ Revolution
Perché hai virgolettato il sostantivo «psicoterapeuta»?
Lo intendevi figurativamente? Non è in realtà tale (intendo titolato ed abilitato)?
Esercita attività limitrofe?

4
laura18
avatar
Viandante Mitico
Viandante Mitico
Se non sbaglio una volta finita la terapia si..potrebbe...ma non so se sia molto etico.

5
Yale
Yale
Viandante Mitico
Viandante Mitico
A me, in realtà, verrebbe da girare la domanda: perché un paziente dovrebbe essere amico di uno psicoterapeuta?

@ Nextlife: io le penso, tu le scrivi. A me l'ossessione, a te la compulsione. KleanaOcchiolino 

6
NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
Io non ho mai voluto averci a che fare come persona. Avevo circa 20 anni ma questo è ciò gli dissi "Sono ben consapevole che il nostro è un rapporto mercenario e  non mi illudo nemmeno  che mi voglia bene a differenza di molti pazienti." Posso dire che è stato vero e questo mi ha permesso di non provare ingiusti rancori quando da essere umano qual'era non si rivelava una perfetta macchina d'ascolto e non mi ha impedito di essergli grata per i cambiamenti che ha prodotto in me. Mai ho cercato di sapere di lui e addirittura quando mi dissero di sue pubblicazioni stoppai chi stava parlando per non saperne nulla. Idem con le tracce dei suoi interessi sparse ovunque.
Il rapporto terapeutico non è un rapporto normale. In un rapporto normale nessuno è solo contenitore o solo contenuto. Se il vomitatore può usufruire di un vomitatoio è perchè il rapporto tra i due è contestuale ad un setting all'interno di una relazione specifica di un certo tipo in cui le regole della realtà vengono trasformate in virtù della rispondenza ad un'impostazione teorica e grazie ad un pagamento in denaro .
Non può sussistere amicizia o altro e il solo pensiero mi fa venire i brividi.

P.s.
Il discorso del rapporto denaro terapia sì che sarebbe un bel discorso.
Appena ho testa ci provo.

7
Diego
Diego
Viandante Residente
Viandante Residente
A parer mio fino a quando l'uno lavora per l'altro non è possibile che accada ciò.

8
nextlife
nextlife
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
Yale ha scritto:A me, in realtà, verrebbe da girare la domanda: perché un paziente dovrebbe essere amico di uno psicoterapeuta?

@ Nextlife: io le penso, tu le scrivi. A me l'ossessione, a te la compulsione. KleanaOcchiolino 
E viceversa, Yale, e viceversa.
La domanda successiva sarebbe proprio stata quella che hai espresso, invitando l’autore/trice del thread a fornire – se possibile – qualche chiarimento per inquadrare un quesito che evidentemente non nasce dalla semplice curiosità.


@ Ninfa
Un bel discorso sì, ma complicato e delicato; molti auguri.
Vorrei poi insistere un attimo – riprendendola – su di una puntualizzazione che avevo già proposto nel post che ha sancito il mio ritorno su questo forum: il concetto di «terapia».
Ora: è pur vero che la contestualizzazione può favorire la declinazione psicoterapeutica, ma è anche vero che il tuo intento, ben – e maggiormente – si può applicare al concetto generale.
Io credo invece sia sempre il caso di specificare, allo scopo di favorire quella piena comprensione o - se vogliamo - evitare il fraintendimento, da parte dell'uomo comune prima ancora che del paziente.
Del resto, proprio in ambito clinico, esistono interazioni tra gli aspetti terapeutici di discipline che concorrono alla risoluzione (o mitigazione) di uno o più problemi, di uno o più disturbi.

Quando realizzerai il tuo proposito, vorrei nuovamente indirizzarti un sincero «in bocca al lupo», per saper richiamare e ben collocare – relativamente al discorso psicoterapeutico – quella tua affermazione: «la terapia è un percorso personale molto lungo», che nell’occasione sopra illustrata, ho contestato.
L’augurio, è proprio quello di saper/poter cogliere un aspetto focale, in relazione alla tematica trattata.

9
NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
nextlife ha scritto:
Vorrei poi insistere un attimo – riprendendola – su di una puntualizzazione che avevo già proposto nel post che ha sancito il mio ritorno su questo forum: il concetto di «terapia».
Ora: è pur vero che la contestualizzazione può favorire la declinazione psicoterapeutica, ma è anche vero che il tuo intento, ben – e maggiormente – si può applicare al concetto generale.
Non ho capito cosa intendi, scusami.
Mi potresti spiegare ?


Quando realizzerai il tuo proposito, vorrei nuovamente indirizzarti un sincero «in bocca al lupo», per saper richiamare e ben collocare – relativamente al discorso psicoterapeutico – quella tua affermazione: «la terapia è un percorso personale molto lungo», che nell’occasione sopra illustrata, ho contestato.
Quale proposito?

Io credo che la terapia sia un percorso personale molto lungo perchè giungere in profondità non è semplice e ancora di meno lo è cambiare.

10
nextlife
nextlife
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
NinfaEco ha scritto:
nextlife ha scritto:
Vorrei poi insistere un attimo – riprendendola – su di una puntualizzazione che avevo già proposto nel post che ha sancito il mio ritorno su questo forum: il concetto di «terapia».
Ora: è pur vero che la contestualizzazione può favorire la declinazione psicoterapeutica, ma è anche vero che il tuo intento, ben – e maggiormente – si può applicare al concetto generale.
Non ho capito cosa intendi, scusami.
Mi potresti spiegare ?
Ma certamente.
Da una serie di elementi, mi perviene la considerazione che tu, relativamente all’attività psicoterapeutica, assegni un ruolo preminente alla psicoanalisi.
Questo, secondo me, a questo livello descrittivo – ma magari anche dopo – è un errore.
La scuola/indirizzo psicoanalitica ha avanzato tutta una serie di pesanti opzioni su identità terminologiche che in realtà conservano una loro accezione primaria che non è personalizzabile in tal modo e che, anzi, deve essere recuperata alla sua integrità.
È il caso – ad esempio - del termine «analisi». Secondo la percezione e l’intendimento comune, affermare: «sono in analisi, vado dall’analista», ha un preciso significato.
Il termine invece ha ben altra caratura, utilizzabile in modo ben più esteso e lo stesso può ovviamente dirsi per il concetto di «terapia».
Il mio quindi – ora come allora – è un invito a specificare sempre e quindi quel termine deve, se del caso, divenire: «psicoterapia», anche quando la contestualizzazione  – come in questo frangente – aiuta il corretto inquadramento.
Inoltre, visto il tuo proposito (come sarebbe: «quale proposito?». Ma quello di provare a formulare quel bel discorso),  l’aspetto: terapia/denaro a livello potenziale è tanto e ben più riferibile al rapporto farmacoterapia/denaro.

Io ammetto che quella di cui sopra possa sembrare, ad un occhio poco attento, una puntualizzazione di poco conto, ma penso che in realtà non sia così.
A parte che il tendere alla puntualità non può portare che benefici, trovo che sia proprio opportuno evidenziare e contrastare tutte quelle manifestazioni che sottintendono un concetto – anch’esso espresso in quel mio intervento che ho citato.
Mi riferisco al fatto che è il paziente, con i suoi problemi – anche severi – che deve essere al centro dell’attenzione e che gli interventi, su di essi devono plasmarsi, adattarsi e non il contrario.
In tale ottica, relativamente ai professionisti che offrono questo tipo di aiuto, certamente si potrà trovare chi mette in campo comportamenti limite come -ad esempio -  quelli che hai evidenziato nel racconto della tua esperienza personale, ma se hai modo di ben osservare, troverai anche rifiuti; troverai anche «perché non prende in considerazione l’ipotesi di rivolgersi a quel collega, che applica una tecnica terapeutica estremamente valida per la sua situazione, per le sue esigenze»?



NinfaEco ha scritto:
nextlife ha scritto: Quando realizzerai il tuo proposito, vorrei nuovamente indirizzarti un sincero «in bocca al lupo», per saper richiamare e ben collocare – relativamente al discorso psicoterapeutico – quella tua affermazione: «la terapia è un percorso personale molto lungo», che nell’occasione sopra illustrata, ho contestato.
Quale proposito?
NinfaEco ha scritto:
Io credo che la terapia sia un percorso personale molto lungo perchè giungere in profondità non è semplice e ancora di meno lo è cambiare.
Ho capito che lo pensi, ma torno ad evidenziarlo come errore poiché - in realtà - dipende da alcuni variabili (ad esempio, per dirne una: ti saranno noti i successi di alcune psicoterapie brevi, no?).
Tra le altre cose:  terapia eccessivamente lunga, quindi eccessivamente costosa, nonché l’autoreferenzialità e caratteristiche intrinseche dell’indirizzo (per le quali ad esempio: l’operatore  non fallisce mai), sono precisamente alcune delle critiche più pressanti che vengono proprio avanzate alla psicoanalisi.
Anche (e forse in maggior misura) questo, era uno degli aspetti da approcciare in quel «bel discorso».

11
NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
@ Next
Immagino che non sia una puntualizzazione di poco conto anche se non riesco ad intuirne tutte le implicazioni. So che in questi ambiti i distinguo da fare sono molti e l'attaccamento alla terminologia non è immotivato.
Io quando parlo di certe cose mi muovo sempre nell'ottica della psicoanalisi perchè questa è la mia esperienza. Ora lo sai. Anche quando mi stavo riferendo al percorso lungo mi muovevo in quest'ottica.

Ho capito che lo pensi, ma torno ad evidenziarlo come errore poiché - in realtà - dipende da alcuni variabili (ad esempio, per dirne una: ti saranno noti i successi di alcune psicoterapie brevi, no?).
Tra le altre cose: terapia eccessivamente lunga, quindi eccessivamente costosa, nonché l’autoreferenzialità e caratteristiche intrinseche dell’indirizzo (per le quali ad esempio: l’operatore non fallisce mai), sono precisamente alcune delle critiche più pressanti che vengono proprio avanzate alla psicoanalisi.
Anche (e forse in maggior misura) questo, era uno degli aspetti da approcciare in quel «bel discorso»
Ci mancherebbe ...ti ho fatto una testa così rotolarsi dal ridere 
Quali sarebbero le variabili?

Purtroppo a certe cose non avevo mica pensato.
Ti rispondo di là per le critiche all'analisi? o di qua?
Nel dubbio agisco.
Non si può rimproverare alla psicoanalisi di prevedere un percorso lungo perchè il suo obiettivo è l'accesso al profondo, non il contenimento dei sintomi. Non mi sembra che la psicoanalisi si circondi di una aura di infallibilità visto che non promette una guarigione. I costi sì, sono alti e questo ( parere di Ninfa) dipende più che da i costi di formazione degli psicoanalisti dal suo essere nata in ambiente borghese. Una persona una volta mi disse che solo chi vive discretamente può permettersi una nevrosi, i poveri in genere diventano direttamente psicotici.

Le ho sparate grosse. Ma caro, posso spiegarti Può uno psicologo essere amico di un paziente? 214252 

12
nextlife
nextlife
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
NinfaEco ha scritto:@ Next
Immagino che non sia una puntualizzazione di poco conto anche se non riesco ad intuirne tutte le implicazioni. So che in questi ambiti i distinguo da fare sono molti e l'attaccamento alla terminologia non è immotivato.
Io quando parlo di certe cose mi muovo sempre nell'ottica della psicoanalisi perchè questa è la mia esperienza. Ora lo sai. Anche quando mi stavo riferendo al percorso lungo mi muovevo in quest'ottica.
L’ho capito perfettamente già molto tempo fa e permettimi: per me  è un errore a qualsiasi livello, ma maggiormente in relazione ad uno spazio descrittivo, ove l’intero arco possibilistico e il fatto che si stia optando, che si stia rappresentando una delle direzioni possibili, deve essere accuratamente illustrato.
Anche a tale scopo – e non per diletto argomentativo – è utile la distinzione terminologica.
Con un fugace occhio proprio a questo aspetto, così: proprio riferendosi al termine in questione, che  senza ulteriori specifiche può rimandare ad un’accezione generale oppure  ortodossa, sto chiedendo a me stesso, quanti siano gli indirizzi psicoanalitici all’interno del paradigma psicodinamico (ricordiamolo: uno dei possibili della proposta psicoterapeutica totale). Sai cosa mi rispondo, senza neppure enumerarli mentalmente? Quattro/Cinque.

NinfaEco ha scritto:
Ci mancherebbe ...ti ho fatto una testa così rotolarsi dal ridere 
Quali sarebbero le variabili?
NinfaEco ha scritto:
Purtroppo a certe cose non avevo mica pensato.
Ti rispondo di là per le critiche all'analisi? o di qua?
Nel dubbio agisco.
Non si può rimproverare alla psicoanalisi di prevedere un percorso lungo perchè il suo obiettivo è l'accesso al profondo, non il contenimento dei sintomi. Non mi sembra che la psicoanalisi si circondi di una aura di infallibilità visto che non promette una guarigione. I costi sì, sono alti e questo ( parere di Ninfa) dipende più che da i costi di formazione degli psicoanalisti dal suo essere nata in ambiente borghese. Una persona una volta mi disse che solo chi vive discretamente può permettersi una nevrosi, i poveri in genere diventano direttamente psicotici.
Le ho sparate grosse. Ma caro,  posso spiegarti Può uno psicologo essere amico di un paziente? 214252 
Ma come sarebbe a dire: «non si può»?
Certo che si può e di più: sì deve ed infatti è stato fatto.
Da quanto scrivi, sembra che tu non abbia preso atto del lavoro meta-critico che ha interessato negli ultimi decenni le tecniche psicoterapeutiche, ovviamente quelle esistenti, fornendo una mole impressionante di dati  che riguardano i concetti di efficienza ed efficacia, attendibilità e controllabilità, che messi in relazione alla tipologia di problema, disagio, disturbo, costituiscono (dovrebbero) proprio le variabili grazie alle quali applicare un determinato modello psicoterapeutico o meno, con il proposito non di conclamare nuovamente l’indirizzo di appartenenza, e di farlo a tutti i costi, bensì di assumere come elemento primario di attenzione, il problema del paziente, e quindi essere in grado di effettuare le scelte più idonee (ma su questo aspetto vi ritornerò).

Già solo i dati di cui sopra, hanno consegnato una situazione non troppo rosea per la psicoanalisi, e anche l’aspetto – che non è una novità – dell’evidenziazione di ricadute sintomatiche a fronte di psicoterapie brevi, non è così scontato.
Oltre a questa tipologia di dati,  è proprio l’impianto generale che ha subito profonde critiche.
Ti chiedo: le Neuroscienze, con i loro progressi: quale tipo di inconscio hanno contribuito ad evidenziare? Più simile a quale rappresentazione paradigmatica?
Ma ancora: tutta la struttura non vacilla forse dinnanzi a quelle situazioni nelle quali l’individuo presenta una valida forma d’insight, senza che questo comporti la capacità di arginare, risolvere i propri problemi? Per dirne una: nelle fobie, pensi che questa sia una rara eventualità?
Ma di nuovo: il problema metodologico della ricerca delle cause del disagio/../.. del paziente nel passato, ti dice nulla? Si è scritto molto su tale questione, evidenziando obiezioni non di poco conto.

E poi guarda, mi fermo qua poiché – contesto a parte – si rischia di trascendere gli scopi e far passare l’intendimento che tutto sia da rottamare.
Voglio però abbozzare il mio pensiero, che immagino in qualche modo si sia già intuito.
Non è tanto importante conclamare questa o quell’identità terapeutica a priori (tu ben capirai come ciò abbia a che fare con il concetto di identità personale anche per il terapeuta), è (sarebbe*) importante il paziente e il suo problema, disagio, disturbo, quellochevuoi avendo ben presente che una psicoterapia che non funziona non è una psicoterapia al di là di ogni pretesa di rapportarsi alle resistenze ad oltranza che diventano il fulcro per 5-7 anni del lavoro psicoterapeutico.

In tale ottica bisognerebbe trovarsi nelle condizioni di strutturare interventi che abbiano costi esistenziali minimi per l’individuo e quindi, considerando i concetti di efficacia ed efficienza, privilegiare le terapie brevi, per poi passare a soluzioni diverse.
Ovvio che per fare ciò, serve un professionista duttile, elastico, aggiornato ed informato sulle varie proposte e magari in grado – a fronte di un determinato iter formativo – di optare per una pluralità di opzioni  o più semplicemente: avvezzo a saggiarne i limiti e a non esporre il paziente ad inutili accanimenti.
Diciamo poi, che molti di questi aspetti non sono ignorati dai codici deontologici di riferimento.

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NinfaEco
NinfaEco
Viandante Ad Honorem
Viandante Ad Honorem
nextlife ha scritto:Ma come sarebbe a dire: «non si può»?
Certo che si può e di più: sì deve ed infatti è stato fatto.
Da quanto scrivi, sembra che tu non abbia preso atto del lavoro meta-critico che ha interessato negli ultimi decenni le tecniche psicoterapeutiche, ovviamente quelle esistenti, fornendo una mole impressionante di dati  che riguardano i concetti di efficienza ed efficacia, attendibilità e controllabilità, che messi in relazione alla tipologia di problema, disagio, disturbo, costituiscono (dovrebbero) proprio le variabili grazie alle quali applicare un determinato modello psicoterapeutico o meno, con il proposito non di conclamare nuovamente l’indirizzo di appartenenza, e di farlo a tutti i costi, bensì di assumere come elemento primario di attenzione, il problema del paziente, e quindi essere in grado di effettuare le scelte più idonee (ma su questo aspetto vi ritornerò).

Già solo i dati di cui sopra, hanno consegnato una situazione non troppo rosea per la psicoanalisi, e anche l’aspetto – che non è una novità – dell’evidenziazione di ricadute sintomatiche a fronte di psicoterapie brevi, non è così scontato.
Oltre a questa tipologia di dati,  è proprio l’impianto generale che ha subito profonde critiche.
Ti chiedo: le Neuroscienze, con i loro progressi: quale tipo di inconscio hanno contribuito ad evidenziare? Più simile a quale rappresentazione paradigmatica?
Ma ancora: tutta la struttura non vacilla forse dinnanzi a quelle situazioni nelle quali l’individuo presenta una valida forma d’insight, senza che questo comporti la capacità di arginare, risolvere i propri problemi? Per dirne una: nelle fobie, pensi che questa sia una rara eventualità?
Ma di nuovo: il problema metodologico della ricerca delle cause del disagio/../.. del paziente nel passato, ti dice nulla? Si è scritto molto su tale questione, evidenziando obiezioni non di poco conto.

E poi guarda, mi fermo qua poiché – contesto a parte – si rischia di trascendere gli scopi e far passare l’intendimento che tutto sia da rottamare.
Voglio però abbozzare il mio pensiero, che immagino in qualche modo si sia già intuito.
Non è tanto importante conclamare questa o quell’identità terapeutica a priori (tu ben capirai come ciò abbia a che fare con il concetto di identità personale anche per il terapeuta), è (sarebbe*) importante il paziente e il suo problema, disagio, disturbo, quellochevuoi avendo ben presente che una psicoterapia che non funziona non è una psicoterapia al di là di ogni pretesa di rapportarsi alle resistenze ad oltranza che diventano il fulcro per 5-7 anni del lavoro psicoterapeutico.

In tale ottica bisognerebbe trovarsi nelle condizioni di strutturare interventi che abbiano costi esistenziali minimi per l’individuo e quindi, considerando i concetti di efficacia ed efficienza, privilegiare le terapie brevi, per poi passare a soluzioni diverse.
Ovvio che per fare ciò, serve un professionista duttile, elastico, aggiornato ed informato sulle varie proposte e magari in grado – a fronte di un determinato iter formativo – di optare per una pluralità di opzioni  o più semplicemente: avvezzo a saggiarne i limiti e a non esporre il paziente ad inutili accanimenti.
Diciamo poi, che molti di questi aspetti non sono ignorati dai codici deontologici di riferimento.
Non ti preoccupare, non intendevo dire che ogni attacco alla psicoanalisi è un empio atto di blasfemia. Ho detto "non si può" perchè la ritengo un accusa fondata su un fraintendimento cosa che inficia le argomentazioni che ne conseguono. Non si arriva in profondità in modo rapido e questo non è dovuto ad un difetto dell'analisi, ma alle sue caratteristiche intriseche. Il tempo è qualcosa di necessario. Si può rimproverare all'analisi di rubarne troppo solo se si perseguono diversi obiettivi, ad esempio la "messa in efficienza" di una persona. Rispetto all'obiettivo di eliminare un comportamento patologico o una sofferenza per come si manifesta a livello di superficie, certamente l'analisi è troppo lunga ma non è nemmeno lo strumento giusto. In questo senso dico che l'analisi non cura. L'analisi non persegue un fine. Si fa e non si sa dove porterà. Quindi efficacia ed efficienza, se si misurano rispetto all'obiettivo di eliminare la sofferenza percepita o la forma in cui essa è visibile, non sono concetti molto calzanti. L'analisi semplicemente cambia le persone.
Discorso resistenze: in quale altro modo è possibile giungere a toccare certi nodi se non confrontandosi con le resistenze?
Discorso inconscio: mi tratteggeresti in poche parole le caratteristiche dell'inconscio tratteggiate dalle neuroscienze e il modo in cui queste metterebbero in crisi l'impianto psicoanalitico? Non sono certa di stare pensando alle tue stesse cose e di conoscerle così bene. Quindi affinchè ti segua è necessario.
Ti chiedo scusa per il mio costringerti a continue precisazioni, ma il mio bagaglio di teoria non è ampio e forte come il tuo. Il mio bagaglio è fatto sopratutto fatto di esperienza vissuta. Per questo lo ritengo degno di considerazione ( mai fare l'errore di imporre la teoria ai fatti), ma per lo stesso motivo mi sono necessari chiarimenti.

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nextlife
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Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
Leggendo il tuo intervento, Ninfa, mi sono soffermato sull’orario nel quale lo hai postato ed ho quindi pensato: «cavolo, io a notte fonda e lei alla mattina presto;  roba che se io rinunciassi all’abbraccio con Morfeo e tu da esso ti divincolassi ancor più precocemente, potremmo interagire in tempo reale».
No, meglio goderci il nostro meritato riposo, magari con annessa esperienza onirica; così poi  la vagliamo psico-analiticamente, eh?
NinfaEco ha scritto:
Discorso inconscio: mi tratteggeresti in poche parole le caratteristiche dell'inconscio tratteggiate dalle neuroscienze e il modo in cui queste metterebbero in crisi l'impianto psicoanalitico?
Accidenti Ninfa, mi rigiri la domanda che ti ho posto?
Non era una domanda retorica la mia: esprimeva un interesse reale, volto a comprendere la tua posizione in proposito.
Comprenderai quindi il mio intento di reiterarla, ma non mi sento di ignorare completamente la tua richiesta e quindi: qualche spunto lo fornirò, vedrai poi tu quale uso farne.

Devo subito dire, che così come formulato, il quesito aveva lo scopo di favorire un certo tipo di approccio per arrivare solo in un secondo momento all’evidenziazione delle criticità (per la psicoanalisi intendo) che scaturiscono dal rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze.
Dico questo perché proprio alcune conferme giunte da quest’ultime, forniscono validazione alle iniziali considerazioni/intuizioni psicoanalitiche (Freudiane quindi), relativamente ad inconscio, memoria, etc., fornendo loro anche evidenziazione anatomo-funzionale.
È che poi ci è pervenuto il doppio sistema della memoria; è che poi ci è pervenuta una più articolata descrizione di cosa la memoria implicita ospiti, di cosa venga allocato in essa, di quanto sia importante per la vita relazionale ed emotiva futura, anche adulta.
È che poi ci è pervenuto il fatto che il meccanismo di rimozione, necessita di funzionalità della memoria esplicita che sono disponibili solo a partire dal secondo, terzo anno di vita poiché prima sono immature, ci è pervenuto cioè, per dirla in altri termini e tagliando le fronde: l’esistenza di elementi inconsci resi tali  non dalla rimozione.
Ecco, cosa questo comporti per le interpretazioni psicoanalitiche classiche, ortodosse, è il tema da sviluppare.
Kandel, Mancia e poi in realtà anche molti altri, potrebbero essere illuminanti in proposito, ma in verità  anche ciò che è stato prodotto dal gruppo di lavoro Psicoanalisi e Neuroscienze – in seno alla SPI – è ben degno di nota, con il merito ulteriore che la criticità di cui sopra trova buona evidenziazione.
Ecco, questo passaggio, invece, lo espongo.
La psicoanalisi, (più di altre scuole, poiché meno avvezza a certe contaminazioni), non può certo ignorare i risultati che pervengono dai progressi delle neuroscienze, poiché questo significherebbe davvero relegarsi al ruolo di corrente filosofica.
Il problema è che a parte la validazione di certi costrutti, questo rapporto comporta inesorabilmente una convergenza, un appiattimento sul modello cognitivo; non è roba di poco conto insomma…

NinfaEco ha scritto:
[…]
L'analisi non persegue un fine. Si fa e non si sa dove porterà. […]
Come sarebbe a dire: «non persegue un fine»?
Certo che persegue un fine, così come tutti gli indirizzi psicoterapeutici.
Poi è chiaro che non si può dare per scontata nessuna meta, nessun risultato, visto – tanto per cambiare – le variabili in gioco.
Ma se non vi è finalità, non si può parlare di psicoterapia e se non si può parlare di psicoterapia, ho un pochino di terrore a formulare ipotesi alternative ed anche la meno terribile di esse, potrebbe sovrapporsi alle prerogative dello psicologo, cosa che – ricordiamolo – non è scontato uno psicoterapeuta sia.

Sui concetti di efficienza, efficacia, controllabilità, etc, è vero che anche su questi aspetti vi è discussione, ma è la direzione in cui muoversi, bonificando gli errori, elaborando criteri condivisi, poiché l’autoreferenzialità, non serve a nessuno.
Non serve il terapeuta che non sbaglia mai, poiché il successo è il successo e l’insuccesso è dovuto alla resistenze che riscontra nel paziente.

Le resistenze sì, e se quei «nodi» non fossero in realtà disponibili? Come si accede ad aspetti inconsci non rimossi? Come si accede ai contenuti di quella memoria implicita? Come eventualmente si contribuisce a determinarne le modificazioni? Si può? Con una boutade: l’inconscio dinamico, ha ceduto – a fronte della ricerca -  qualcosa a quello cognitivo?
Nota poi che io ho scritto ad «oltranza» e se il concetto è ben più semplice di quelli sopra esposti, non è certo meno nobile, poiché come ho già evidenziato in tutti i modi possibili: è riferibile a quel bene primario che è il paziente e il suo benessere.

Infine, davvero: la critica, l’autocritica è un dovere, bisogna solo aderire ad essa.
Gli strumenti vi sono tutti, vi sono i dati, le meta-analisi, le comparazioni, vi è tutto.
Vi sono autori che hanno speso la loro vita solo in questo tipo di attività.
Non si tratta di un mero esercizio di stile, ma di un processo vitale all’incedere del progresso scientifico e quindi alle tecniche psicoterapeutiche e relativi paradigmi di riferimento.

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Yale
Yale
Viandante Mitico
Viandante Mitico
nextlife ha scritto:
Devo subito dire, che così come formulato, il quesito aveva lo scopo di favorire un certo tipo di approccio per arrivare solo in un secondo momento all’evidenziazione delle criticità (per la psicoanalisi intendo) che scaturiscono dal rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze.
Dico questo perché proprio alcune conferme giunte da quest’ultime, forniscono validazione alle iniziali considerazioni/intuizioni psicoanalitiche (Freudiane quindi), relativamente ad inconscio, memoria, etc., fornendo loro anche evidenziazione anatomo-funzionale.
È che poi ci è pervenuto il doppio sistema della memoria; è che poi ci è pervenuta una più articolata descrizione di cosa la memoria implicita ospiti, di cosa venga allocato in essa, di quanto sia importante per la vita relazionale ed emotiva futura, anche adulta.
È che poi ci è pervenuto il fatto che il meccanismo di rimozione, necessita di funzionalità della memoria esplicita che sono disponibili solo a partire dal secondo, terzo anno di vita poiché prima sono immature, ci è pervenuto cioè, per dirla in altri termini e tagliando le fronde: l’esistenza di elementi inconsci resi tali  non dalla rimozione.
Ecco, cosa questo comporti per le interpretazioni psicoanalitiche classiche, ortodosse, è il tema da sviluppare.
Kandel, Mancia e poi in realtà anche molti altri, potrebbero essere illuminanti in proposito, ma in verità  anche ciò che è stato prodotto dal gruppo di lavoro Psicoanalisi e Neuroscienze – in seno alla SPI – è ben degno di nota, con il merito ulteriore che la criticità di cui sopra trova buona evidenziazione.
Ecco, questo passaggio, invece, lo espongo.
La psicoanalisi, (più di altre scuole, poiché meno avvezza a certe contaminazioni), non può certo ignorare i risultati che pervengono dai progressi delle neuroscienze, poiché questo significherebbe davvero relegarsi al ruolo di corrente filosofica.
Il problema è che a parte la validazione di certi costrutti, questo rapporto comporta inesorabilmente una convergenza, un appiattimento sul modello cognitivo; non è roba di poco conto insomma…

Domanda a Nextlife: ma leggerti...dà crediti?

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Lady Joan Marie
Lady Joan Marie
Viandante Storico
Viandante Storico
Secondo me si può essere amici del proprio psicologo, soprattutto se è una persona di fiducia a cui hai raccontato qualcosa di profondo del tuo io.

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nextlife
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Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
Yale ha scritto:
Domanda a Nextlife: ma leggerti...dà crediti?
Ma certamente… conio galattico però, con il quale – magari – finanziare un viaggetto fino ad Orione per contemplare i famigerati bastioni.
Dovendomene procurare dell’altro tipo, investirei più su di te.

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Viandante Residente
Viandante Residente
Facciamo un distinguo tra professionista e professionale. Sono un professionista perchè intervengo chirurgicamente sulle neoplasie al cervello. Sono professionale perchè con il paziente ho un rapporto umano. Parlo con lui di tutti gli argomenti, anche su alcuni riguardanti la mia sfera privata, ci scherzo assieme ma non violo con nessuno il segreto professionale, non gli nascondo la diagnosi, non lo dimetto in prognosi cattiva e se dovesse morire con un male incurabile, pur essendo umanamente sconfitto, debbo accettare con dignità e circostanza il fatto della sua morte. Se muore sotto intervento, a suo rischio, dopo aver valutato con lui ed i familiari le probabilità di insuccesso non posso astenermi dall'intervenire perchè rispetto la sua volontà. Ciò mi rende professionale. Il professionista può essere un/a cazzone/a qualsiasi. Professionista rimane ma non sarà mai professionale. Detto ciò vi può essere empatia ma non e mai amicizia.

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nextlife
nextlife
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
Ad ogni modo, tornando al quesito delll'autore/trice del thread, la situazione è sostanzialmente questa:

«Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.»

Nella fattispecie: l'articolo 28 del Codice Deontologico.

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Viandante Residente
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nextlife ha scritto:Ad ogni modo, tornando al quesito delll'autore/trice del thread, la situazione è sostanzialmente questa:

«Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.»

Nella fattispecie: l'articolo 28 del Codice Deontologico.

Scusami e tu credi che con un copia incolla da Wikipedia o altri similari la persona che ha rivolto la domanda ne esca dipanata da dubbi in merito alla formulazione della tua risposta?

Non stiamo parlando di una ricetta di cucina. O si?

Se io dicessi ad un paziente in tono professionale e distaccato, già molto preoccupato e psicologicamente fragilissimo,   lei ha un Glioblastoma multiforme eterogeneo , il paziente uscirebbe dal mio studio e penserebbe al suicidio. Se invece gli dico, con parole chiare e semplici,  Lei, purtroppo, ha una forma di tumore che si chiama Glioblastoma,  difficile da guarire, inoperabile. Però con i nuovi farmaci la sua aspettativa di vita può prolungarsi e migliorare nella quotidianità. Certo le posso preventivare quanto le resta da vivere, ma non sono Gesù Cristo, e in medicina 2+2 non fa mai 4; poi ovvio il discorso continua.

Il paziente sa cosa ha , non gli ho nascosto la marmellata, tuttavia gli ho conferito una giusta speranza, nonchè se è religioso o credente un esempio ( anche se molto velato) di cosa significa sofferenza e di affrontarla anche nella preghiera.  pietra

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nextlife
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Viandante Affezionato
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robertwilliamchoose@gmail ha scritto:
nextlife ha scritto:Ad ogni modo, tornando al quesito delll'autore/trice del thread, la situazione è sostanzialmente questa:

«Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.»

Nella fattispecie: l'articolo 28 del Codice Deontologico.

Scusami e tu credi che con un copia incolla da Wikipedia o altri similari la persona che ha rivolto la domanda ne esca dipanata da dubbi in merito alla formulazione della tua risposta?

Non stiamo parlando di una ricetta di cucina. O si?

Se io dicessi ad un paziente in tono professionale e distaccato, già molto preoccupato e psicologicamente fragilissimo,   lei ha un Glioblastoma multiforme eterogeneo , il paziente uscirebbe dal mio studio e penserebbe al suicidio. Se invece gli dico, con parole chiare e semplici,  Lei, purtroppo, ha una forma di tumore che si chiama Glioblastoma,  difficile da guarire, inoperabile. Però con i nuovi farmaci la sua aspettativa di vita può prolungarsi e migliorare nella quotidianità. Certo le posso preventivare quanto le resta da vivere, ma non sono Gesù Cristo, e in medicina 2+2 non fa mai 4; poi ovvio il discorso continua.

Il paziente sa cosa ha , non gli ho nascosto la marmellata, tuttavia gli ho conferito una giusta speranza, nonchè se è religioso o credente un esempio ( anche se molto velato) di cosa significa sofferenza e di affrontarla anche nella preghiera.  pietra

Intento comprensibile il tuo, ovviamente ego-sintonico, ma scomposto.
Più che affannarti a citare Wikipedia – alla quale ovviamente non ho attinto – converrebbe tu recuperassi il senso del thread ed il quesito in esso contenuto.
Al netto di ogni tuo desiderio, quell’articolo del Codice Deontologico dello Psicologo costituisce la fonte primaria ove attingere risposte.
Rimangono in verità alcuni aspetti da approfondire, che aspettano la partecipazione del/della suddetto/suddetta, anche rapportandosi ad alcuni quesiti sorti.

Bisogna poi dire, che non sei solo nell’aver proposto una certa deriva; ecco: magari non edificherei alcunché su di essa.
Più cauto quindi? Indubbiamente.

22
Yale
Yale
Viandante Mitico
Viandante Mitico
robertwilliamchoose@gmail ha scritto:
Se io dicessi ad un paziente in tono professionale e distaccato, già molto preoccupato e psicologicamente fragilissimo,   lei ha un Glioblastoma multiforme eterogeneo , il paziente uscirebbe dal mio studio e penserebbe al suicidio. Se invece gli dico, con parole chiare e semplici,  Lei, purtroppo, ha una forma di tumore che si chiama Glioblastoma,  difficile da guarire, inoperabile. Però con i nuovi farmaci la sua aspettativa di vita può prolungarsi e migliorare nella quotidianità. Certo le posso preventivare quanto le resta da vivere, ma non sono Gesù Cristo, e in medicina 2+2 non fa mai 4; poi ovvio il discorso continua.


Questa cosa del "2+2 non fa mai quattro" i medici la dicono spesso.
L'ultima volta che l'ho sentita, io nei panni della parente di una paziente, ho insultato il medico che l'ha pronunciata.

Curiosità: ma nell'avatar c'è l'attestato del tuo dottorato?

23
laura18
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Viandante Mitico
Viandante Mitico
bingo...volevo chiedere la stessa cosa..ma lei Yale legge nel pensiero della gente comune?  sorriso 

24
laura18
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Viandante Mitico
Viandante Mitico
Per quello che riguarda lei signor robertwilliamchoose@gmail ..il fatto di postare in un forum pubblico la foto dell suo attestato(se si tratta di quello)la fa stare meglio?E un modo per marchiare il suo territorio?Mi scusi se glielo chiedo ma vorrei capire il significato,perchè, per adesso non mi sembra che ci sia stato qualcuno che abbia messo in dubbio il fatto che lei sia un neurochirurgo(se non sbaglio,se mi ricordo bene).Mi intriga questa sua scelta..  scratch 

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laura18
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Viandante Mitico
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Per quello che riguarda lei signor robertwilliamchoose@gmail ..il fatto di postare in un forum pubblico la foto dell suo attestato(se si tratta di quello)la fa stare meglio?E un modo per marchiare il suo territorio?Mi scusi se glielo chiedo ma vorrei capire il significato,perchè, per adesso non mi sembra che ci sia stato qualcuno che abbia messo in dubbio il fatto che lei sia un neurochirurgo(se non sbaglio,se mi ricordo bene).Mi intriga questa sua scelta..  scratch 

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