A Lidda, in Palestina, l’apostolo Pietro guarisce un paralitico.
“E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Pietro gli disse: ‘Enea, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto’. E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore”.
A Giaffa Pietro risuscita una donna.
“A Giaffa c'era una discepola chiamata Tabità (nome che in aramaico significa "Gazzella"ma l'evangelista Luca lo tradusse "Dorcas" in lingua greca) la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro. Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse: ‘Tabità, àlzati!’. Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore” (Atti degli Apostoli 9, 32 – 42).
Luca descrive i miracoli del discepolo Pietro ad imitazione di quelli di Gesù, per far comprendere che fu la volontà di Dio la vera sorgente della guarigione o della vita ridonata a Tabità. Infatti questo evangelista narra che Pietro fece uscire tutti dalla stanza e si inginocchiò a pregare, imitando Gesù quando ridiede la vita alla figlia di Giairo e al figlio della vedova di Nain. Nel primo caso il Messia, “giunto nella casa, non lasciò entrare nessuno”, mentre fuori “tutti piangevano e facevano lamento”. Poi “prendendole la mano, disse ad alta voce: Fanciulla, alzati!” (Luca 8,51-54). Anche al giovane morto di Nain il Signore dice: “Giovinetto, dico a te: Alzati!” (7,14). Pietro, dunque, ripete gesti e parole di Cristo.
La scena della guarigione del paralitico e la scena della risurrezione di Tabità furono rappresentate in affresco da Masolino da Panicale nel 1425 nella Cappella gentilizia Brancacci, ubicata nella chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine a Firenze. Oltre che da Masolino, questa Cappella nel transetto destro fu decorata da Masaccio e Filippino Lippi.
Firenze: facciata incompiuta della chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine.
L’edificio fu fondato nel 1268 da un gruppo di frati giunti da Pisa. Per i lavori di costruzione furono finanziariamente aiutati dal Comune di Firenze e da facoltose famiglie fiorentine, ma la facciata della chiesa rimase incompiuta; ancora oggi si presenta con un grezzo paramento in pietra e laterizi.
La progressiva acquisizione di terreni circostanti permise in seguito l’ampliamento della struttura religiosa, con la costruzione degli ambienti conventuali: il primo chiostro, il dormitorio, il refettorio, la sala capitolare, l'infermeria. Fra il Tre ed il Quattrocento ci furono interventi di decorazione dei nuovi locali, come attestano gli affreschi ancora presenti o staccati.
Attualmente la chiesa appartiene all'Ordine delle Suore Carmelitane.
La navata
la Cappella Brancacci, sul lato destro del transetto
Masolino da Panicale: La guarigione del paralitico (sulla sinistra) e la resurrezione di Tabità (sulla destra), due dei miracoli compiuti dall’apostolo Pietro.
L’affresco è in alto sulla parete destra della Cappella Brancacci, affrescata tra il 1424 ed il 1428.
“E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Pietro gli disse: ‘Enea, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto’. E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore”.
A Giaffa Pietro risuscita una donna.
“A Giaffa c'era una discepola chiamata Tabità (nome che in aramaico significa "Gazzella"ma l'evangelista Luca lo tradusse "Dorcas" in lingua greca) la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro. Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse: ‘Tabità, àlzati!’. Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore” (Atti degli Apostoli 9, 32 – 42).
Luca descrive i miracoli del discepolo Pietro ad imitazione di quelli di Gesù, per far comprendere che fu la volontà di Dio la vera sorgente della guarigione o della vita ridonata a Tabità. Infatti questo evangelista narra che Pietro fece uscire tutti dalla stanza e si inginocchiò a pregare, imitando Gesù quando ridiede la vita alla figlia di Giairo e al figlio della vedova di Nain. Nel primo caso il Messia, “giunto nella casa, non lasciò entrare nessuno”, mentre fuori “tutti piangevano e facevano lamento”. Poi “prendendole la mano, disse ad alta voce: Fanciulla, alzati!” (Luca 8,51-54). Anche al giovane morto di Nain il Signore dice: “Giovinetto, dico a te: Alzati!” (7,14). Pietro, dunque, ripete gesti e parole di Cristo.
La scena della guarigione del paralitico e la scena della risurrezione di Tabità furono rappresentate in affresco da Masolino da Panicale nel 1425 nella Cappella gentilizia Brancacci, ubicata nella chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine a Firenze. Oltre che da Masolino, questa Cappella nel transetto destro fu decorata da Masaccio e Filippino Lippi.
Firenze: facciata incompiuta della chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine.
L’edificio fu fondato nel 1268 da un gruppo di frati giunti da Pisa. Per i lavori di costruzione furono finanziariamente aiutati dal Comune di Firenze e da facoltose famiglie fiorentine, ma la facciata della chiesa rimase incompiuta; ancora oggi si presenta con un grezzo paramento in pietra e laterizi.
La progressiva acquisizione di terreni circostanti permise in seguito l’ampliamento della struttura religiosa, con la costruzione degli ambienti conventuali: il primo chiostro, il dormitorio, il refettorio, la sala capitolare, l'infermeria. Fra il Tre ed il Quattrocento ci furono interventi di decorazione dei nuovi locali, come attestano gli affreschi ancora presenti o staccati.
Attualmente la chiesa appartiene all'Ordine delle Suore Carmelitane.
La navata
la Cappella Brancacci, sul lato destro del transetto
Masolino da Panicale: La guarigione del paralitico (sulla sinistra) e la resurrezione di Tabità (sulla destra), due dei miracoli compiuti dall’apostolo Pietro.
L’affresco è in alto sulla parete destra della Cappella Brancacci, affrescata tra il 1424 ed il 1428.