I cristiani non avevano ritenuto possibile raffigurare il viso di Dio incarnatosi nel Messia. Era vietato anche da altre religioni, dall’Ebraismo, innanzi tutto, in cui il Cristianesimo affonda le radici.
La prima immagine di Cristo rinvenuta è quella sconcertante, a primo acchito, di un uomo con la testa d’asino sulla croce. Tale insolito simbolismo è così spiegato dagli studiosi: nella «letteratura dei primi secoli parecchie attestazioni ci dicono che i pagani deridono i cristiani come adoratori di un asino, e che fanno spesso riferimento al mulo (come capita d’altronde anche per il Dio dei Giudei). Secondo un'antica leggenda, infatti, il Dio dei Giudei era un asino oppure aveva una testa d'asino. Scrive il pensatore cristiano Tertulliano, alla fine del I secolo, nell'Apologetico: “Voi pagani avete fantasticato che una testa d’asino è il nostro Dio. Tale sospetto l’ha introdotto Cornelio Tacito. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, raccontando la guerra giudaica fin dall'origine, dopo aver congetturato quello che ha voluto, tanto sull'origine quanto sul nome e sulla religione di quel popolo, narra che i Giudei, liberati dall'Egitto, o, come lui crede, cacciati via, trovandosi nelle vaste località dall’Arabia, quanto mai povere d'acqua, tormentati dalla sete, seguendo gli asini selvatici, che si credeva si recassero a bere dopo il pasto, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio consacrarono la figura di questa bestia. Così, da qui si presunse, penso, che anche noi cristiani, come discendenti della religione giudaica, venissimo iniziati all'adorazione della medesima immagine».
La raffigurazione rozzamente graffiata nel II secolo si vede ancora sulla parete di una casa sul Palatino a Roma. Raffigura un crocifisso con la testa d’animale e una persona in atto di adorazione con l’iscrizione in greco: «Alessameno adora il suo dio». La testa dell'animale è, appunto, quella di un asino o di un mulo.
Che cosa pensassero gli antichi romani dei cristiani in quell'epoca lontana è stato tramandato da Tacito, il grande storico d’ideologia imperiale. Egli accenna, infatti, «a coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il mondo chiama cristiani. Il nome deriva da Cristo, il quale, sotto l'imperatore Tiberio, è stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; soffocata, per il momento, quella rovinosa superstizione dilaga di nuovo non solo attraverso la Giudea , dove quel male è nato, ma anche in Roma, dove tutto ciò che c'è nel modo di atroce e di vergognoso da ogni parte confluisce e trova seguito».
Questo il giudizio negativo sul cristianesimo dell’illustre senatore, console e governatore di province, su una setta ancora circoscritta cui aderivano soprattutto esponenti delle classi meno privilegiate: bottegai, artigiani, piccoli commercianti. A Tacito, protagonista della società imperiale, quella umanità parve del tutto simile a quella che praticava i culti misterici orientali che offrivano speranze e promesse di una vita nell’aldilà.
«Quel Cristo mezzo uomo e mezzo somaro è dunque l’atto nascente dalla grandiosa epopea immaginativa che per due millenni ha tentato di raffigurare il volto di Gesù. La partenza è lenta perché i primi cristiani esitano a rappresentare direttamente Cristo fino alla fine del III o all’inizio del IV secolo. La dottrina dell'incarnazione, cioè l'idea, fondamentale per il cristianesimo, che Dio si incarni nel Messia, agita immensi interrogativi intorno all’opportunità, o addirittura alla liceità di rappresentare Cristo medesimo», problema dibattuto con crescente veemenza per tutto il primo millennio.
da Flavio Caroli, «Il volto di Cristo. Storia di un’immagine dall’antichità all’arte contemporanea»