aaron ha scritto:
l'esperienza è ricerca dell'essere;ma proprio perchè essa è ricerca,il suo rapporto con l'essere,oggetto della ricerca,è
un rapporto di mancanza,di trascendenza;
cio' che l'esistenza cerca è sempre al di la'del suo cercare come mostra il fatto che l'esito della ricerca è il conseguimento soltanto di una forma determinata dell'essere,non gia' dell'essere;
il tentativo della ricerca è volto a conseguire la totalita' dell'essere ed invece l'esito della ricerca è sempre il
conseguimento di una qualche determinazione di quella realta';sicchè nell'esistenza l'essere si rivela come impossibilita' di essere.Proprio perchè la possibilita' di cui va alla ricerca l'esistenza non appartiene al regno del finito.
Certo... se no non cercheresti.
La ricerca è protensione, cioè tensione verso qualcosa ed è intenzionale, cioè avviene a partire da noi seguendo la direzione di un nostro bisogno.
Il nostro bisogno primario è incontrare l'altro ( il mondo, le persone...) e orientarsi al suo interno. Ci riusciamo dando un senso all'altro per come la nostra ricerca ( Desiderio e intenzionalità)ci porta verso di esso.
La meta quindi è davvero altrove: non è in noi e non è nella cosa, ma nell'incontro. Non è il nostro spazio, e non è quello dell'altro... ma uno spazio terzo. Lo chiamiamo realtà condivisa in genere, e in qualche caso amore.
L'esistenza può stare in questo spazio o in noi, e nell'altro ma senza di noi.
Se però pensiamo a tutto questo, non sta da nessuna parte.
E allora immaginiamo la totalità dell'essere, l'infinito e tanti altri cristalli oltremondani.
l'esistenza piu' che essere comprensibile in se stessa e per se stessa ,è comprensibile nel suo rapporto con la trascendenza,con l'essere;dall'altro,pero',l'essere e la trascendenza non sono mai effettive possibilita'dell'esistenza;l'esistenza esperimenta l'essere e la trascendenza come cio' che essa non riesce a conseguire.
Ci sono delle situazioni che l'esistenza non riesce a superare;cosi' l'esistenza non riesce a evitare la morte,non riesce ad evitare il dolore,la lotta ed il contrasto,al modo stesso in cui non riesce ad evitare di trovarsi sempre in una situazione determinata e finita; il fallimento cui l'uomo va incontro quando tenta di superare queste situazioni sono la manifestazione della trascendenza,nel senso che qui l'uomo tocca con mano la sua finitezza;questa e la forma in cui la trascendenza si fa presente nell'uomo,il quale,proprio per mezzo del naufragio,giunge all'avvertimento genuino e autentico di se stesso.Rendersi conto di questa condizione di finitezza in cui si muove l'esistenza umana è la massima liberta' cui l'uomo possa aspirare; o, in altri termini,la nostra liberta' coincide con la scoperta della nacesita' in cui si muove il nostro essere finito;l'accettazione di questa necessita'è la nostra sola liberta'.Il destino umano è appunto chiuso fra la nacessita'che lo costituisce e l'impossibilita'in cui tale necessita'si trova di chiudersi in se stessa e di identificarsi con l'essere.
ecc.ecc.
Ecco... ho messo un spazio nel tuo postato,
perchè stavo per domandarti " Spiegami in che modo questo è un problema umano"... ma lo hai fato poco più sotto.
Vedi, ci sono persone che leggono e scrivono in grande, ma le stesse cose sono lette e scritte anche in piccolo.
La prima via dice di un problema che intenti a fissare l'orizzonte non vediamo, ed è sulla pounta del dito che lo indica.
Non è possibile "trascendere" certe cose siano esse la morte o i nostri limiti.
Si possono però accogliere senza volerli controllare e rinunciano a pensarli interamente. Naufragare infondo è vivere... almeno nel momento in cui non ci poniamo nemmeno il problema di come si tiene una barca.
E questa la chiamo anche io libertà.
Se parliamo di essere invece... mi viene un po' freddo e ho bisogno di un abbraccio... o di uno scialle di lana.
... e non mi annoio...
al massimo a volte non ci arrivo o
devo ossigenare il sistema centrale....