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Il racconto ci testimonia di una certa difficoltà, da parte dei sinedriti, a formulare un preciso capo d'accusa cui potesse seguire un verdetto di morte. Sarebbero stati chiamati testimoni diversi che non avrebbero raggiunto lo scopo; nemmeno le domande rivolte a Gesù avrebbero portato a qualche risultato, dal momento che l'accusato si era rifugiato nel silenzio.
Ad un certo punto lo stesso Caifa sarebbe intervenuto, col preciso scopo di sbloccare la situazione:
- Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio?
- avrebbe chiesto al prigioniero.
Caifa sapeva che il titolo attribuito all'imputato dai suoi seguaci era mashiah Jeshu bar Abbà, che in greco è reso dall'espressione Ιησους Χριστος υιος του Θεου, in latino da Iesus Christus, filius Patri, e in italiano da Gesù Cristo, figlio del Padre (o di Dio).
Penso che sia interessante sapere che l'espressione Figlio di Dio corrisponde all'aramaico bar Abbà (letteralmente figlio del Padre), così straordinariamente somigliante, per non dire identico, al nome Barabba. In effetti, come tutti sanno, gli ebrei non possono pronunciare il nome del Signore, reso per scritto dal tetragramma JHWH, e che tale tabù è talmente tassativo che nessuno conosce quale fosse anticamente la corretta pronuncia di quel nome. E' per questo motivo che i sostitutivi erano numerosi e necessari, cosicché Dio veniva chiamato Eloah, Adonai, Abbà...
In particolare la parola Abbà sembra essere stata la preferita da Gesù e dai suoi seguaci, dal momento che la parola Padre ricorre nella narrazione evangelica più spesso della parola Dio: "Abbà, Padre! Tutto è possibile per te.".
Gli evangelisti hanno sicuramente giocato in maniera equivoca sull'espressione bar Abbà, proponendola nella forma Βαραββας (= Barabba),così come altre volte hanno giocato sulle espressioni barjona, nazoraios, cananites, o sui nomi Tommaso, Taddeo, ecc...
Stando a quanto ci dicono i Vangeli sinottici, Gesù, alla domanda rivoltagli da Caifa, cessando finalmente il suo silenzio avrebbe risposto affermativamente:
- Tu stesso lo dici, io sono il Cristo, il bar Abbà (cioè il Figlio di Dio) -
continuando con una citazione dalle scritture. E, con questo, si sarebbe giocato la vita.
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Il ballottaggio: o Cristo o Barabba.
Allorchè Gesù fu ricondotto al pretorio, il dibattimento riprese ma con una importante caratteristica: praticamente fu trasformato nel ballottaggio fra due prigionieri, Gesù e Barabba.
Dobbiamo riflettere attentamente su questo fatto: improvvisamente, accanto a Gesù, comparve sul banco degli imputati un altro personaggio, un uomo che la tradizione ci ha abituato a considerare come un brigante, un criminale che aveva commesso un omicidio.
Per quale motivo quest'uomo avrebbe dovuto comparire insieme al Cristo, nello stesso processo istruito con urgenza e in condizioni di irregolarità, durante la festa (sinottici) o la preparazione della festa (quarto Vangelo)?
Gesù era stato catturato con una procedura di grave emergenza, mobilitando in piena notte una coorte di soldati sul monte degli ulivi; dunque egli era un prigioniero di grande importanza che, evidentemente, meritava questo genere di attenzione.
E Barabba? Chi era questo personaggio? E per quale motivo, fra i prigionieri che in quel momento si trovavano a languire nelle carceri di Gerusalemme, era stato scelto per affiancare Gesù in quel processo?
Normalmente si risponde dicendo che Pilato era "obbligato" a rilasciare un prigioniero in occasione della festa ebraica; per questo motivo Barabba, dal più totale anonimato, è salito agli onori della storia.
La spiegazione ha la stessa aria di quella secondo la quale gli ebrei avrebbero dovuto consegnare Gesù a Pilato perché impossibilitati ad eseguire le sentenze di morte; uno stratagemma escogitato per sostenere la tesi della non responsabilità del procuratore romano; anzi, come vedremo, per ricoprire gli ebrei di colpa e di vergogna. Infatti nessuno storico ha mai testimoniato l'esistenza di una usanza del genere.
L'amnistia, come istituto giuridico, esisteva, ma non aveva certo i caratteri descritti nel caso di Barabba. Si praticavano le amnistie in occasione delle feste romane, non delle feste religiose degli altri popoli; i beneficiati erano scelti dalle autorità e non acclamati dal popolo; e infine le amnistie riguardavano i reati minori, non quelli di ribellione ed omicidio. Inoltre, al di là di ogni considerazione di legittimità del fatto, ci sono le considerazioni di verosimiglianza: se Pilato non avesse voluto condannare Gesù, ma Barabba, avrebbe forse dovuto chiedere il permesso al popolo? Avrebbe dovuto cedere alle sue insistenze, facendo condannare un innocente pur di evitare l'insurrezione di coloro che volevano vedere Gesù crocifisso? Ma da quale parte stava la gente? Non si era dovuto arrestare Gesù di notte, sul monte degli ulivi, proprio per il motivo opposto, cioè perché, secondo l'interpretazione tradizionale, non si volevano provocare disordini da parte del popolo?
Dunque gli ebrei, gli stessi che erano accorsi ad osannarlo come Messia di Israele, erano con Gesù, non contro Gesù. Eppure, nella scenografia del processo, noi vediamo il procuratore romano che difende l'accusato dichiarando pubblicamente di non riconoscere alcuna colpa nel suo operato, mentre a questa clemenza si oppone il furore di una folla imbestialita che urla:
- Crocifiggilo! A morte costui! -,
e così gli ebrei acquistano definitivamente l'immagine di una banda di bruti su cui ricade la totale e infame responsabiltà della morte di Gesù.
Ma torniamo ai due imputati del processo, Gesù e Barabba. Chi era, dunque, il fortunato a cui sarebbe stato indirizzato il grande favore della folla?
L'autore del Vangelo secondo Marco scrive:
"Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio".
Due cose vogliamo notare: la prima è che c'era stato un tumulto ed anche dei ribelli, la seconda è che Barabba, per come viene presentato, non sembra essere l'autore dell'omicidio, altrimenti il testo avrebbe detto "aveva commesso" e non "avevano commesso".
L'autore del Vangelo di Matteo scrive:
"Avevano in quel tempo un prigioniero famoso [...], detto Barabba [...]".
Ho inserito delle parentesi quadre che corrispondono ad importanti omissioni di testo nelle versioni e nelle traduzioni moderne. Infatti, in alcune versioni più antiche del Vangelo di Matteo, il passo in questione può essere letto come segue:
"ειχον δε τοτε δεσμον επισεμον Іεσουν Βαραββαν, οστις ην δια στασιν τινα γενομενην εν τη πολει και φονον βεβλημενος εις φυλακην"
che si traduce così:
"Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, Gesù Barabba, il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio".
Il passo del Vangelo secondo Matteo, tratto dal "Novum Testamentum Graece et Latine", in cui Barabba è chiamato Gesù Barabba
E' semplicemente sorprendente! Abbiamo scoperto una vera e propria bomba capace di far saltare in aria tutta l'interpretazione tradizionale della vicenda di Gesù Cristo.
L'espressione Jeshu bar Abbà, come già sappiamo, significa Gesù il Figlio di Dio. Chi era dunque l'uomo che le versioni moderne del Vangelo chiamano Barabba, censurandone il nome proprio e cercando di presentarlo come un brigante?
In realtà, così come il Vangelo di Marco non dice affatto che Barabba fosse un brigante, neanche quello di Matteo lo dice; anzi, affermando che costui era stato arrestato in occasione di quel tumulto e di quell'omicidio a cui fa cenno anche Marco, non dà affatto l'impressione che Barabba fosse uno degli insorti né, tantomeno, l'omicida.
Il Vangelo di Luca contiene una frase identica a quella omessa dal testo di Matteo, ma essa viene tradotta comunemente in modo assai scorretto; per esempio una versione assai comune del Nuovo Testamento, che si definisce "traduzione interconfessionale in lingua corrente", la riporta nei seguenti termini:
"...era in prigione perché aveva preso parte ad una sommossa del popolo in città ed aveva ucciso un uomo...".
Ora le parole grece "dia stasin tina" possono essere tradotte con "in occasione di una sommossa", "poiché c'era stata una sommossa", "nel luogo della sommossa", ma non si potrà mai dire che egli aveva preso parte alla sommossa, e neanche che aveva ucciso un uomo. I Vangeli sinottici non hanno mai affermato che Barabba fosse un brigante; al contrario, ci danno tanti buoni motivi per credere che non lo fosse. Ci dicono, tra l'altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso, e ci permettono di sapere il suo vero nome: Gesù.
Che significa tutto ciò?
E' possibile che ci fossero due uomini sotto processo, protagonisti di uno strano ballottaggio per la scarcerazione, che avevano lo stesso nome, Gesù, ed anche lo stesso titolo, Figlio di Dio?
Dobbiamo assolutamente riconoscere che queste omonimie e queste incongruenze rivelano l'esistenza di un trucco finalizzato a nascondere alcuni importanti aspetti del processo a Gesù che, evidentemente, i redattori dei Vangeli e i successivi ritoccatori non volevano trasmettere.
Non dimentichiamo la preoccupazione principale dei redattori evangelici, cioè l'intento di spoliticizzazione: il Cristo dei cristiani (non il messia dei giudei) non doveva avere niente a che fare con la lotta politica degli ebrei contro il dominio imperiale di Roma. Doveva apparire come un personaggio assolutamente innocente, che i perfidi ebrei avevano voluto morto, e che i romani avevano anche cercato di salvare.
Su queste poche righe del racconto della passione siamo costretti a soffermarci a lungo, dal momento che esse contengono la principale operazione di contraffazione storica effettuata dagli evangelisti.
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Possiamo allora sospettare ragionevolmente che i redattori del racconto della passione di Cristo, pressati dalle esigenze ideologiche e dottrinarie di cui abbiamo già parlato, abbiano operato degli scambi di ruoli e di personaggi, affinché la figura di Gesù Cristo risultasse completamente innocente, i romani non responsabili della sua morte e gli ebrei totalmente responsabili. Anzi, vista la censura sul nome proprio di quello che era chiamato bar Abbà, siamo anche pienamente autorizzati a credere che tale operazione di scambio sia da estendere ai nomi,
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attribuendo il nome Gesù non a quello che, durante il processo romano, era stato definito in greco λεγομενος Χριστος (chiamato Cristo), ma a quello che era stato definito λεγομενος Βαραββας (chiamato bar Abbà), come del resto ci è esplicitamente testimoniato dalla variante che abbiamo trovato sul Novum Testamentum Graece et Latine.
questo spiegherebbe le due diverse genealogie e un sacco di incongruenze per parlare di un uomo di carta, costruito sulla carta e nel mito