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Calandrina

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shoofly
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Viandante Residente
Viandante Residente

CALANDRINA

La signorina aveva sempre freddo. Usciva di casa di soppiatto, con quella sua faccia bianca e livida dai contorni sfuggenti... pareva incipriata con polvere d’elitropia.
Così la soprannominai Calandrina.
Era arrivata a novembre, Calandrina, insieme al brutto tempo, alla pioggia, alla noia. Avevo cominciato ad interessarmene forse proprio per il suo aspetto vago, indefinito, opaco come la nebbia. Cosa faceva in quell’appartamento quando vi si chiudeva dentro? Cosa faceva quando ne usciva?
Tutte le notti la vedevo sola e assorta, restava immobile, per ore, dietro ai vetri della finestra, l’unica che dava sul cortile, accanto a quella dello studio Peletti. Erano odiosi i Peletti. Più la moglie o più il marito? Forse lui, col suo cane lardoso che abbaiava per niente e non sentiva mai ragione di starsene un po’ zitto.
Calandrina era diversa da tutte le creature che avevo visto prima di lei. La notte, dicevo, se ne stava alla finestra per un tempo interminabile, alle sue spalle il buio più completo. Ne intuivo la presenza perché quel suo volto impossibile sembrava illuminato dai suoi stessi occhi bianchi. Mi appariva come un corpo stranamente sospeso nella sostanza di quel riquadro scuro, un corpo sfuggente, piatto, che niente sembrava collegare al mondo in cui mi trovavo io. Ad un certo punto piegava la testa, sembrava volesse sporgersi un poco in avanti, poi portava le mani alla bocca come per pregare. Era il solito gesto che le vedevo fare da settimane, quello con cui scaldiamo dita e naso infreddoliti soffiando calore tra le mani giunte. A volte avevo l’impressione che mi guardasse. Restava così per altri tre o quattro minuti ad annusare la notte, poi si ritirava con calma nel silenzio della sua stanza.
Durante il giorno non usciva quasi mai, la vedevo piuttosto dopo il tramonto. Ma stava fuori poco. Ogni tanto qualcuno veniva a farle visita. Erano persone sempre diverse, di tutte le età, e nessuno arrivava mai in compagnia bambini. Stavano dentro un’oretta circa, talvolta anche di più. Molti di loro, quando uscivano, avevano il volto contratto, qualcuno si copriva gli occhi lucidi e arrossati come se volesse mascherare il fatto di aver appena pianto. Si allontanavano lenti e ingobbiti, sembravano frenati da forze sotterranee o da pesi opprimenti, difficili da trascinare.
Solo una donna vidi sorridere mentre si chiudeva alle spalle il portone di Calandrina. Aveva un’espressione sognante e imbambolata, era giovane, biondina, e continuava a baciare una medaglietta che portava appesa al collo.


***


“Chi c’è?”
“Sono io.”
“Io chi?”
“...”
“Come ti chiami?”
“Alberto”.
“Alberto, perché sei qui?”
“Non lo so.... Vorrei parlarti.”
“Posso sedermi?” Calandrina m’indicò una poltrona di vimini che si trovava in mezzo alla stanza, proprio accanto al suo letto. Intorno un’atmosfera cupa e verdognola rendeva ogni cosa faticosamente percettibile. Era come se mi fossi immerso ad occhi aperti in una piscina torbida di alghe ed acqua salata. Indovinavo solo il profilo di lei, in piedi, illuminata dalla luce traballante di una candela gialla accesa su un tavolinetto. Solo lei respirava in quella stanza. Molto sommessamente, sì, respirava quell’aria spessa di incubi: li vedevo mentre volteggiavano filamentosi attorno alla sua figura esile e chiara. Sembrava volessero strapparle i capelli con le loro lunghe zanne.
Calandrina restava immobile con il braccio teso verso la poltrona. Continuava a fissarmi muta, le sue labbra erano ridotte ad un puntino nero e sfocato.
“Certo. Siedi pure.”
“Quanti anni hai?”
“Tredici e mezzo.” Mi piaceva essere preciso.
“Non sai perché sei qui?”
“Voglio parlare.”
“Va bene. Parliamo.”
Era calma, ma un velo stridente e sottile inframezzava fastidiosamente il suono delle sue parole, indicandomi che in un angolo del suo essere c’era allarme.
“Alberto, lo sai che non dovresti essere qui vero?”
“N...no, non ci vedo niente di strano. Ti osservo da mesi ormai. Sei strana.”
Mi fece un sorriso benevolo.
“Eh sì... questo lo so anch’io... so bene di essere strana. E non solo per quelli come te.”
Che dialogo... Mi sentivo agitato come un pesciolino in olio che frigge.
“Il tuo posto è altrove. Io posso aiutarti, ma prima devi seguire le mie indicazioni.”
“Spiegami allora.” M’inventai un sorriso, il migliore che mi venne in mente.
“Cosa facevi prima di incontrare me?”
Oh, noo... Quella domanda mi ferì il cervello come una lama. Mi sentii dolorante, da capo a piedi. Ebbi voglia di sdraiarmi a terra, rotolare, allungarmi, gridare, graffiare, urlare....
Lei restava seduta e ferma, mi guardava, si scaldava le mani soffiandoci sopra e stringendosi nel pesante maglione color... non so di che colore fosse. Ad un tratto si alzò e mi venne vicino. L’aria intorno aveva assunto una consistenza lanosa e soffocante.
“Come è successo?”
“Sono stato rapito.”
“Cosa ricordi?”
“Mi ha preso. Stavo tornando a casa dopo la lezione di pianoforte. Ero stato dal maestro Diego. Tu lo conosci?”
“Sì, lo vedo spesso.” Accennò un sorriso dolcemente triste e guardò in alto come se aspettasse di vedere la figura del mio maestro comparire sul soffitto. “Abita a due isolati da qui. Chi ti ha rapito?”
“Un uomo. Non so chi fosse. Si è fermato per chiedermi informazioni su.... non so, non ricordo più.”
Improvvisamente cominciai a piangere. Senza rumore nè lacrime da nessuna parte. Più mi sforzavo di ricordare più il buio soffocava e stringeva la mia mente impedendomelo.
Poi un dolore al collo, profondo, opprimente... mi sentii sbattuto contro la parete da una forza invisibile. Mi accasciai a terra come un palloncino sgonfio, premendomi la pancia dove mi sentivo colpito come da una raffica di calci potentissimi e incessanti.
“Aiuto....”
“Non preoccuparti. Sono i tuoi ultimi ricordi. Abbandonali. Lascia che se ne vadano. Tu sei oltre, adesso.”
“Come?? Sto malissimo.... aiutami...”
“Ti sto già aiutando. Vieni verso di me... perché mi chiami Calandrina?” Pronunciò quel nome in modo dolce e piano, come una mamma che racconta al suo bambino fiabe inventate sul momento.
Come faceva a sapere che io la chiamavo in quel modo?
“Perché sei così sottile e bianca da sembrare quasi invisibile. Come un’ombra. Come se ti fossi nascosta grazie ai poteri di una pietra magica. E’ una storiella che ci ha letto la professoressa Pavini a scuola.”
“Alberto, vieni verso di me. Lo vedi questo?”
Sì, vedevo... era una sfera gialla e luminosa, con una nocciolina più chiara al suo interno che pulsava debolmente al centro del suo petto. Sentii all’improvviso che aveva un potere attrattivo fortissimo.
Mi mossi verso di lei.
“Non fermarti e non avere paura di ciò che potrebbe accadere toccandola...”
Procedevo. Tutta l’angoscia, il dolore, la paura che mi aveva pervaso in quegli ultimi momenti stava prendendo una direzione nuova, si allontanava da me. Quella nocciolina inquieta mi stava dando un impercettibile saluto, guidandomi verso un puntino remoto, una nota senza colore, assolutamente amichevole.


...


“Ciao Alberto... la tua mamma e il tuo papà ti vogliono bene. E anche io.”
Ilvia appoggiò un mazzetto di margherite accanto all’enorme vaso di pietra pieno di garofani bianchi.
“Lo hanno preso ieri. Ne ha uccisi altri tre. Tu ed io sappiamo che non è vero. Sono otto. Gli altri cinque li ha gettati nel recinto. Uno dopo l’altro, nell’arco di due anni. Sarà difficile farmi credere dagli investigatori, ma se riuscirò a convincerli ad ispezionare a fondo l’allevamento di Colleluco troveranno le prove necessarie. Tra poco dovrò andare.”
Indietreggiò di pochi passi, sbirciando l’orologino che aveva al polso. Poi sorrise, puntando lo sguardo altrove. C’era un’atmosfera rarefatta intorno, di una luminosità sfumata e a tratti accecante, come il dolore trattenuto a stento. C’erano uccelli muti che frusciavano tra i rami di pino bagnati, c’erano i passi di una vedova, il risolino lontano di una bimba, il gelo delle ombre in attesa dietro alle siepi di pitosporo.
“Alle tre ho un appuntamento con il tuo maestro di pianoforte: ora viene tutti i giorni a farsi leggere le carte per sapere se presto troverà un’altra fidanzata.” Scosse leggermente la testa, pensando a lui non poté impedirsi di arrossire. Era bello, un po’ strambo, camminava con un passetto bizzarro ed aveva una voce buffa, inconfondibile. “Hai una voce.... da prete!” Gli aveva detto Ilvia sorridendo mentre lui aveva tentato malamente di attaccarle bottone davanti al bar vicino casa. Lui ne era rimasto un po’ offeso all’inizio ma aveva continuato ad esibirsi in arguzie innocenti e maldestre, tanto che Ilvia aveva finito con l’accettare l’invito per un caffé.
“Io so che non crede per niente a queste cose. A volte mi fissa con aria di sufficienza come se avesse a che fare con una matta da assecondare. Viene soltanto perché ora da me si sente di nuovo bene. Non sa che la prossima sarò io. Non glielo dirò. Lo scoprirà da solo, stasera, prima di tornare a casa, durante uno dei suoi giri in macchina in cerca di un piacevole nulla. Poi domani tornerà da me, portandomi in dono “Semplicità insormontabili”, uno dei suoi libri preferiti. Sopra ci troverò una dedica scherzosa con la quale vorrà farmi capire di essere mio, senza condizioni.” Gli occhi di Ilvia si muovevano intorno come per seguire quella scena girata in anteprima, solo per lei.
“Sarò la prossima ed ultima.” Il sorriso le si spense miseramente sulle labbra mentre si piegavano all’ingiù.
“Come vorrei sottrarmi all’inevitabile, nascondermi dietro una pietra magica che mi renda invisibile ai dispiaceri. Il lato peggiore della mia condizione è proprio nell’esser destinata a soffrire in largo anticipo le sventure che mi toccheranno. Tra undici mesi lo perderò.” Si coprì gli occhi con una mano, come per schermare qualcosa di troppo brutto da mostrare al mondo, qualcosa che solo lei poteva già vedere.
“Alberto, vorrei che mi facessi un regalo speciale: verrai tu a prenderlo quando sarà il momento? Io non potrò aiutarlo come ho fatto con te. Prometti... ti prego. ”
In quell’istante iniziò a nevicare. Alcuni coriandoli di brina presero a volteggiare allegramente intorno alla sua testa, come agitati da un frullo di ali invisibili. Ilvia si portò le mani al viso, l’una contro l’altra, per riscaldarle soffiandoci in mezzo.
“Promesso”.


(ho pubblicato questo racconto con lo pseudonimo Elvio Bongorino. Spero che vi sia piaciuto) nonvolevo

2
falansterio
falansterio
Viandante Affezionato
Viandante Affezionato
La trama è molto cerebrale, ma ben vivacizzata dai dialoghi. Niente male l'idea di anteporre la descrizione del personaggio alla sequenza degli scambi verbali.
Complimenti!

3
shoofly
shoofly
Viandante Residente
Viandante Residente
Grazie! Gentile il tuo commento e molto benevolo sorriso



...allora ti regalo un altro raccontino. :-----------:


La Casa ha deciso.


“Dobbiamo intervenire noi.”
“Sì, sono d’accordo, ma che cosa potremmo fare?”
Pennarello fece un giretto su se stesso e tracciò un piccolo punto interrogativo tra gli scarabocchi che Linda seminava sulle cartacce di appunti accanto al Telefono.
Matita lo guardò sconsolata. “Proviamo a lasciarle un messaggio”.
“Sì, poi magari le viene il sospetto che ha in Casa qualche fantasma e scappa via lasciandoci tutti qui. Sai che voglio bene a Linda e non farei mai nulla che possa spaventarla. E poi nelle condizioni in cui si trova...”
Matita agitò pian piano la punta in direzione della donna che stava entrando nella stanza. I due oggetti rimasero immobili sul Tavolo osservando zitti zitti i movimenti veloci delle grandi mani di Linda sulla Scrivania. Ad un certo punto Pennarello si sentì afferrare. Trattenne il fiato e chiuse gli occhi. Era stato sollevato in alto, pronto per essere scaraventato lontano.
Linda non si era mai comportata in modo violento. Fino a quel momento. Pennarello fu lanciato contro Matrioska che colta di sorpresa cadde dalla Mensola, si aprì e gettò fuori un paio delle sue figliole che stavano riposando.
Chisda mati!” Matrioska, furente, cercò di rotolare verso le sue bambine per tranquillizzarle: una di loro aveva perso una crosticina di colore sulla fronte e stava per iniziare a piangere. Fortunatamente riuscì a rimanere in silenzio mentre la metà superiore di sua madre la sfiorava amorevolmente con piccole oscillazioni appena percettibili.
Pennarello era finito sotto il Letto e non fu raccolto. Linda nel frattempo uscì di Casa sbattendo la Porta.
Sulla Stanza scese un silenzio sbigottito e inconsueto.

***


Era passato un mese da quell’esordio e il carattere di Linda era andato peggiorando in maniera davvero allarmante.
Matita era stata presa a morsi e gettata nella spazzatura: si era salvata solo grazie all’aiuto dei suoi amici di Scrivania che, tutti insieme, avevano rovesciato il Cestino, tirandola fuori e nascondendola dietro l’Armadio.
Ma la sorte più triste toccò a Tazza a Pois e Piatto Blu che furono frantumati l’una contro l’altro, mentre Cornice d’Ottone fu addirittura calpestata sotto i piedi e la Foto di Mario (il marito che Linda aveva lasciato da sei mesi) strappata via e fatta in mille pezzettini.
Gli altri oggetti avevano iniziato a subire a turno vessazioni di ogni tipo: Scendiletto veniva calciato nervosamente ogni mattina, una Giacca di Mario rimasta nell’Armadio fu ridotta a brandelli col Trinciapollo, Block Notes torturato sistematicamente con profonde e dolorose incisioni fatte abusando crudelmente di Penna Biro, per non parlare dell’Orsetto Toby che dopo essere stato ripetutamente lanciato contro le pareti si scucì e cominciò a perdere imbottitura da una spalla e dal popò.
La pazienza della Casa perdurò ancora per due mesi finché, dopo l’ennesimo efferato assassinio – al Puntaspilli Torquato era stata strappata la testa a unghiate – tutti decisero che era arrivato il momento di risolvere la questione, una volta per tutte.
La data dell’assemblea fu fissata a martedì 25 febbraio, ore 3.30 in punto, nello Studio.
Dal Bagno sarebbero arrivati la signorina Spazzolino col suo Dentifricio di turno, la Cucina avrebbe mandato Tovagliolo e Forchetta, mentre Sveglia e Cuscino impossibilitati ad intervenire - per ovvi motivi - avevano incaricato una delegazione composta dai gemelli Lacci di Scarponcino e Cellulare. Dal Terrazzo erano stati convocati Molletta da Bucato e il cugino Mocio.


***

“Forza gente, andiamo....sssssttt..... fate piano... fate piano, non vorrete mica svegliarla?!” I due Lacci serpeggiavano nel buio dei corridoi chiamando a raccolta i compagni.
Gli oggetti convocati cominciarono a dirigersi verso lo studio, ordinatamente suddivisi in scaglioni che procedevano stando ben attenti a passare sui Tappeti per attutire ogni fruscìo prodotto dal movimento.
Il piccolo drappello si arrestò davanti alla Porta chiusa dello Studio.
“Ossignùr! È chiusa a Chiave! Quella stupida s’è dimenticata della riunione e sta ancora dormendo.” Cellulare si voltò verso i compagni preoccupato. “Bisogna salire a svegliarla”.
“Ci pensiamo noi!” I gemelli si sollevarono all’unisono e con una serie di girali sinuosi si mossero verso la Porta e iniziarono a scalarne la parete fino alla Chiave.
“Sveglia Chiave! Su.... sveglia dormigliona! Scattare... scattare!” Le sussurrarono all’orecchio. Avevano il fiatone per l’arrampicata.
“Che c’è? Ma vi pare l’ora questa di venire a rompere...... Oh passepartout!! Scusate...”
Clackt.
“Ffffff...finalmente...” sussurò Porta aprendosi adagio.
Le delegazioni sfilarono in quasi totale silenzio fino ad arrivare ai piedi della Scrivania dove era già in attesa impaziente la rediviva e smangiucchiata Matita, insieme a Pennarello e Taglierino. Lampada da Lettura – che tutti chiamavano confidenzialmente Lucciola – si accese e indirizzò un raggio pallido e discreto sul gruppetto di colleghi.
“Grazie a tutti, amici. Questa riunione straordinaria è stata convocata per discutere un problema della massima importanza. Credo che voi tutti sappiate cosa intendo...” Matita si guardò in giro: tutti annuivano.
A quel punto Cellulare prese la parola per fare agli altri il punto della situazione.
“Ho ascoltato l’ultima conversazione fra Linda e il suo medico. Era molto preoccupato. Le sue reazioni violente sarebbero legate ad un sentimento di rabbia ancora molto potente nei confronti di Mario. E’ a lui che Linda sente di addebitare il fallimento del loro matrimonio e della sua carriera di disegnatrice. Quel dolore le ha fatto perdere il lavoro, gli affetti, tutto quanto... E’ sola ormai, a pezzi, e per rivalsa fa a pezzi quelli che le sono rimasti accanto. Noi.”
“Ammazziamola”. Tagliò corto – come era abituato a fare – Taglierino.
“Oh noo! Io e Matita vogliamo troppo bene a Linda. Noi l’abbiamo perdonata. E’ in una situazione tremenda, dobbiamo aiutarla invece!” Pennarello non riusciva a credere che fosse stata avanzata una simile proposta.
“Guavda come ha vidotto il mio Dentifvicio” rispose acidamente la Spazzolino. Il tubetto le stava a fianco, sorreggendosi sbilenco e tentando malamente di sorridere. Il suo corpo era segnato da impronte di denti e mostrava le ripetute torsioni subite che avevano provocato gravi ferite, suppuranti pasta azzurra al mentolo.
“Non si fevmevà, state tvanquilli! Io sono d’accovdo con Taglievino. Ammazziamola.” Spazzolino era al parossismo. Dentifricio guardò la sua amichetta con tristezza rassegnata ed annuì silenziosamente.
“Ma insomma, cara, non vogliamo darle un’ultima possibilità? In fondo la condizione di Linda è difficile... e... e... il suo comportamento non è deliberato. Ecco.” Pennarello cercava di avviare la conversazione su un fronte meno drastico.
“Ha ragione”, rispose Molletta, “dobbiamo cercare di aiutarla, dobbiamo: in fondo siamo gli unici amici che le sono rimasti dopo la sua totale chiusura al mondo. Io non capisco come possa essere accaduto, come possa.”
“Era una ragazza cofì dolce e affettuofa e bella e fimpatica” sospirò Mocio, arricciando le striscine lise.
“Basta, basta. Ammazziamola. Se non lo facciamo presto sarà lei ad ammazzare noi. Ci farà fuori uno dopo l’altro. Ve lo ricordate Puntaspilli? E Toby? Non riesce più neanche a trascinarsi sulle zampe per quanta imbottitura ha perso. Il suo Toby! Erano inseparabili. L’Orsacchiotto di quando era bambina. E adesso? D’oh! Ma avete visto come lo riempie di botte? Oggi pomeriggio gli ha fatto persino saltare un occhio. Eccolo qui! Guardate...”
Uno dei due Lacci, che aveva appena parlato, avvicinò con un colpetto di coda un bottoncino nero e lucido, portandolo all’attenzione dei convenuti.
Tutti si ritrassero orripilati.
“Lo abbiamo pescato sotto Tappetino. Così non può funzionare.”
“Io sono d’accovdo con i Lacci e con Taglievino, ecco!” ribadì Spazzolino seguita dal suo muto compagno.
Tovagliolo e Forchetta nicchiavano. Il dibattito era ben lungi da una qualsiasi decisione.
All’improvviso la Porta si spalancò. Lampadario fu acceso violentemente e proiettò tutta la sua luce spaventata sul gruppetto di oggetti riuniti alla base della Scrivania e impietritisi all’istante. Lucciola fu presa da un inarrestabile tremolio.
Linda era lì a sovrastarli, incredula e sempre più arrabbiata.
“Maledetti!” gridò prendendo a calci quelli che le si trovarono più a tiro.
Mocio e Forchetta volarono in aria. Poi Linda afferrò Forchetta: “Come diavolo sei finita qui? E questi?”
Altro calcione sferrato a Dentifricio poi, impugnando Taglierino, si mise a stracciare Tovagliolo con veemenza inaudita.
Il tubetto le era ricaduto accanto alla Pantofola. Linda ci mise meno di un secondo a schiacciarlo con tutta la forza che aveva, sotto i piedi, saltando e saltando. Dentifricio scoppiò miseramente, schizzando il suo contenuto sul Tappeto.
Dopo quell’esplosione di violenza, durata pochi minuti, la donna si fermò, trafelata e sorrise. Aveva scaricato tutta la rabbia montatale alla vista di quelle cose che aveva trovato inaspettatamente raccolte nel suo Studio.
“Sto impazzendo” si disse sghignazzando “Oppure è ora che cominci a tenere questo porcile di casa un poco più in ordine”.
Con uno sbadiglio sgarbato uscì dalla stanza, spegnendo l’Interruttore con una manata.
Gli oggetti giacevano sparpagliati, qualcuno era atterrato sul Pavimento, qualcun altro sul Tavolo. Dentifricio, ormai morto, era steso in mezzo alle sue stesse viscere azzurrine, sotto gli occhi disperati della povera Spazzolino, mentre i pezzi di Tovagliolo erano finiti ovunque, persino sui ripiani più alti della Libreria.
“Facciamola fuori.” Ringhiò Taglierino, rizzandosi di scatto e battendo con la lama un colpo a terra.
“Sì. Dicci cosa dobbiamo fare.” Risposero gli altri rivoltosi all’unisono. Matita e Pennarello si unirono a malincuore, sperando ancora di poter evitare la tragedia.


***

“Hai sentito?? La uccideranno stasera!” Matita si muoveva intorno, rotolando nervosamente sulla scrivania, ora da un lato ora dall’altro.
“La Casa ha deciso.” Rispose con un sospiro mesto Pennarello.
“Ma come la Casa ha deciso? Deciso cosa? Questa non è la soluzione! Non abbiamo voluto trovarla una soluzione! Queste sono le soluzioni degli umani non le nostre! Ci stiamo comportando come loro. Invece di aiutarla abbiamo deciso di eliminarla, ti rendi conto? Non è la nostra natura! La nostra natura è quella di aiutare. Siamo stati creati per questo. Aiutare! Io non ci sto!”
“La Casa ha deciso, mia cara Matita. Ha deciso.”
Pennarello le si avvicinò piano piano e la toccò per calmarla. “Chissà, forse all’ultimo momento qualcuno dei più agguerriti si tirerà indietro e non se ne farà nulla. Ma io obbedisco alle decisioni comuni. Che altro possiamo fare?”
“Già. Che altro possiamo fare?”

Il piano era stato architettato nei minimi particolari. Sarebbe sembrato un suicidio. Lacci, Forchetta e Taglierino furono nominati come esecutori materiali.
Ad un segnale convenuto i Lacci si sarebbero annodati per far cadere Linda a terra: Forchetta le sarebbe saltata in faccia penetrandole in un occhio poi Taglierino l’avrebbe finita, tagliandole la gola di netto.
Matita scarabocchiò nervosamente per tutto il pomeriggio, pensando e ripensando ad un colpo di mano, ad una possibile alternativa. Le venne in mente persino di scrivere tutto su un foglio perché Linda poi lo leggesse. Ma Linda era ormai talmente “oltre” da non riuscire a capire nemmeno di esser viva, figuriamoci leggere un messaggio simile e ricordarselo.
Nelle ultime settimane viveva in completo abbandono e fingeva di non essere in casa per non rispondere al telefono e per non ricevere visite da amici e parenti. Molti di loro avevano ormai rinunciato ad andare a trovarla: ogni volta era la stessa storia, pianti, urla, discorsi insensati e crudeli, un’infuriata disperazione che rendeva vano ogni sforzo di riconquistarne almeno un sorriso.
Diego, il suo ex, ci provò una volta sola portando con se un’agendina nera e sottile.
“Guarda Linda!” Le aveva detto con la sua solita aria svagata e giocherellona.
“L’ho trovata pochi giorni fa dentro una cabina telefonica, ci sono tutti numeri di sacerdoti ed esorcisti, c’è pure quello di Padre Amorth, che dici te lo chiamo?”.
Per tutta risposta Linda lo aveva buttato fuori di casa, spintonandolo in modo assai poco aggraziato.
“Le stiamo facendo un favore” mormorarono i Lacci mentre si disponevano all’attacco. Taglierino e Forchetta erano arrivati da un pezzo e mantenevano guardinghi la posizione sopra il Tavolo.
Linda diede un’occhiata all’Orologio e si alzò ciondolando per andare ad accendersi l’ennesima Sigaretta.
I Lacci dei suoi Scarponcini cominciarono ad annodarsi tra loro e – come previsto – la donna rovinò a terra. Forchetta si gettò dal Tavolo ma invece di colpirla si conficcò sul Tappeto e rimase in piedi vibrando.
Nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa Linda aveva afferrato la Fodera del Divano e l’Orsetto Toby che si trovava lì sopra le cadde addosso, fermandosi sulla sua faccia.
Fu allora che qualcosa in lei saltò via. Come un ingorgo improvvisamente rimosso.
Iniziò a piangere. Toby la fissava con l’unico occhietto rimasto e un malloppo di bambagia che usciva dallo strappo dell’altro.
“Perdonami Toby. Perdonatemi tutti. Aiutooooo.... vi prego aiutoooo”. Piangeva rimanendo immobile con l’orsetto in faccia, incapace di alzarsi.
“Sono stanca... stanca... stanca... aiutatemi, aiutatemi voi, tutti voi”.
Toby lentamente scivolò da un lato e le si appoggiò sulla spalla parandole la gola con il suo testone.
Dall’alto Taglierino, che era rimasto sul Tavolo a seguire la scena, si ritrasse e scomparve.
Cellulare compose il numero della mamma di Linda e tutti restarono in attesa, stringendosi in cerchio attorno a lei.

4
Dudù
Dudù
Viandante Mitico
Viandante Mitico
shoofly ha scritto:Grazie! Gentile il tuo commento e molto benevolo sorriso



...allora ti regalo un altro raccontino. :-----------:


La Casa ha deciso.


“Dobbiamo intervenire noi.”
“Sì, sono d’accordo, ma che cosa potremmo fare?”
Pennarello fece un giretto su se stesso e tracciò un piccolo punto interrogativo tra gli scarabocchi che Linda seminava sulle cartacce di appunti accanto al Telefono.
Matita lo guardò sconsolata. “Proviamo a lasciarle un messaggio”.
“Sì, poi magari le viene il sospetto che ha in Casa qualche fantasma e scappa via lasciandoci tutti qui. Sai che voglio bene a Linda e non farei mai nulla che possa spaventarla. E poi nelle condizioni in cui si trova...”
Matita agitò pian piano la punta in direzione della donna che stava entrando nella stanza. I due oggetti rimasero immobili sul Tavolo osservando zitti zitti i movimenti veloci delle grandi mani di Linda sulla Scrivania. Ad un certo punto Pennarello si sentì afferrare. Trattenne il fiato e chiuse gli occhi. Era stato sollevato in alto, pronto per essere scaraventato lontano.
Linda non si era mai comportata in modo violento. Fino a quel momento. Pennarello fu lanciato contro Matrioska che colta di sorpresa cadde dalla Mensola, si aprì e gettò fuori un paio delle sue figliole che stavano riposando.
Chisda mati!” Matrioska, furente, cercò di rotolare verso le sue bambine per tranquillizzarle: una di loro aveva perso una crosticina di colore sulla fronte e stava per iniziare a piangere. Fortunatamente riuscì a rimanere in silenzio mentre la metà superiore di sua madre la sfiorava amorevolmente con piccole oscillazioni appena percettibili.
Pennarello era finito sotto il Letto e non fu raccolto. Linda nel frattempo uscì di Casa sbattendo la Porta.
Sulla Stanza scese un silenzio sbigottito e inconsueto.

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Era passato un mese da quell’esordio e il carattere di Linda era andato peggiorando in maniera davvero allarmante.
Matita era stata presa a morsi e gettata nella spazzatura: si era salvata solo grazie all’aiuto dei suoi amici di Scrivania che, tutti insieme, avevano rovesciato il Cestino, tirandola fuori e nascondendola dietro l’Armadio.
Ma la sorte più triste toccò a Tazza a Pois e Piatto Blu che furono frantumati l’una contro l’altro, mentre Cornice d’Ottone fu addirittura calpestata sotto i piedi e la Foto di Mario (il marito che Linda aveva lasciato da sei mesi) strappata via e fatta in mille pezzettini.
Gli altri oggetti avevano iniziato a subire a turno vessazioni di ogni tipo: Scendiletto veniva calciato nervosamente ogni mattina, una Giacca di Mario rimasta nell’Armadio fu ridotta a brandelli col Trinciapollo, Block Notes torturato sistematicamente con profonde e dolorose incisioni fatte abusando crudelmente di Penna Biro, per non parlare dell’Orsetto Toby che dopo essere stato ripetutamente lanciato contro le pareti si scucì e cominciò a perdere imbottitura da una spalla e dal popò.
La pazienza della Casa perdurò ancora per due mesi finché, dopo l’ennesimo efferato assassinio – al Puntaspilli Torquato era stata strappata la testa a unghiate – tutti decisero che era arrivato il momento di risolvere la questione, una volta per tutte.
La data dell’assemblea fu fissata a martedì 25 febbraio, ore 3.30 in punto, nello Studio.
Dal Bagno sarebbero arrivati la signorina Spazzolino col suo Dentifricio di turno, la Cucina avrebbe mandato Tovagliolo e Forchetta, mentre Sveglia e Cuscino impossibilitati ad intervenire - per ovvi motivi - avevano incaricato una delegazione composta dai gemelli Lacci di Scarponcino e Cellulare. Dal Terrazzo erano stati convocati Molletta da Bucato e il cugino Mocio.


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“Forza gente, andiamo....sssssttt..... fate piano... fate piano, non vorrete mica svegliarla?!” I due Lacci serpeggiavano nel buio dei corridoi chiamando a raccolta i compagni.
Gli oggetti convocati cominciarono a dirigersi verso lo studio, ordinatamente suddivisi in scaglioni che procedevano stando ben attenti a passare sui Tappeti per attutire ogni fruscìo prodotto dal movimento.
Il piccolo drappello si arrestò davanti alla Porta chiusa dello Studio.
“Ossignùr! È chiusa a Chiave! Quella stupida s’è dimenticata della riunione e sta ancora dormendo.” Cellulare si voltò verso i compagni preoccupato. “Bisogna salire a svegliarla”.
“Ci pensiamo noi!” I gemelli si sollevarono all’unisono e con una serie di girali sinuosi si mossero verso la Porta e iniziarono a scalarne la parete fino alla Chiave.
“Sveglia Chiave! Su.... sveglia dormigliona! Scattare... scattare!” Le sussurrarono all’orecchio. Avevano il fiatone per l’arrampicata.
“Che c’è? Ma vi pare l’ora questa di venire a rompere...... Oh passepartout!! Scusate...”
Clackt.
“Ffffff...finalmente...” sussurò Porta aprendosi adagio.
Le delegazioni sfilarono in quasi totale silenzio fino ad arrivare ai piedi della Scrivania dove era già in attesa impaziente la rediviva e smangiucchiata Matita, insieme a Pennarello e Taglierino. Lampada da Lettura – che tutti chiamavano confidenzialmente Lucciola – si accese e indirizzò un raggio pallido e discreto sul gruppetto di colleghi.
“Grazie a tutti, amici. Questa riunione straordinaria è stata convocata per discutere un problema della massima importanza. Credo che voi tutti sappiate cosa intendo...” Matita si guardò in giro: tutti annuivano.
A quel punto Cellulare prese la parola per fare agli altri il punto della situazione.
“Ho ascoltato l’ultima conversazione fra Linda e il suo medico. Era molto preoccupato. Le sue reazioni violente sarebbero legate ad un sentimento di rabbia ancora molto potente nei confronti di Mario. E’ a lui che Linda sente di addebitare il fallimento del loro matrimonio e della sua carriera di disegnatrice. Quel dolore le ha fatto perdere il lavoro, gli affetti, tutto quanto... E’ sola ormai, a pezzi, e per rivalsa fa a pezzi quelli che le sono rimasti accanto. Noi.”
“Ammazziamola”. Tagliò corto – come era abituato a fare – Taglierino.
“Oh noo! Io e Matita vogliamo troppo bene a Linda. Noi l’abbiamo perdonata. E’ in una situazione tremenda, dobbiamo aiutarla invece!” Pennarello non riusciva a credere che fosse stata avanzata una simile proposta.
“Guavda come ha vidotto il mio Dentifvicio” rispose acidamente la Spazzolino. Il tubetto le stava a fianco, sorreggendosi sbilenco e tentando malamente di sorridere. Il suo corpo era segnato da impronte di denti e mostrava le ripetute torsioni subite che avevano provocato gravi ferite, suppuranti pasta azzurra al mentolo.
“Non si fevmevà, state tvanquilli! Io sono d’accovdo con Taglievino. Ammazziamola.” Spazzolino era al parossismo. Dentifricio guardò la sua amichetta con tristezza rassegnata ed annuì silenziosamente.
“Ma insomma, cara, non vogliamo darle un’ultima possibilità? In fondo la condizione di Linda è difficile... e... e... il suo comportamento non è deliberato. Ecco.” Pennarello cercava di avviare la conversazione su un fronte meno drastico.
“Ha ragione”, rispose Molletta, “dobbiamo cercare di aiutarla, dobbiamo: in fondo siamo gli unici amici che le sono rimasti dopo la sua totale chiusura al mondo. Io non capisco come possa essere accaduto, come possa.”
“Era una ragazza cofì dolce e affettuofa e bella e fimpatica” sospirò Mocio, arricciando le striscine lise.
“Basta, basta. Ammazziamola. Se non lo facciamo presto sarà lei ad ammazzare noi. Ci farà fuori uno dopo l’altro. Ve lo ricordate Puntaspilli? E Toby? Non riesce più neanche a trascinarsi sulle zampe per quanta imbottitura ha perso. Il suo Toby! Erano inseparabili. L’Orsacchiotto di quando era bambina. E adesso? D’oh! Ma avete visto come lo riempie di botte? Oggi pomeriggio gli ha fatto persino saltare un occhio. Eccolo qui! Guardate...”
Uno dei due Lacci, che aveva appena parlato, avvicinò con un colpetto di coda un bottoncino nero e lucido, portandolo all’attenzione dei convenuti.
Tutti si ritrassero orripilati.
“Lo abbiamo pescato sotto Tappetino. Così non può funzionare.”
“Io sono d’accovdo con i Lacci e con Taglievino, ecco!” ribadì Spazzolino seguita dal suo muto compagno.
Tovagliolo e Forchetta nicchiavano. Il dibattito era ben lungi da una qualsiasi decisione.
All’improvviso la Porta si spalancò. Lampadario fu acceso violentemente e proiettò tutta la sua luce spaventata sul gruppetto di oggetti riuniti alla base della Scrivania e impietritisi all’istante. Lucciola fu presa da un inarrestabile tremolio.
Linda era lì a sovrastarli, incredula e sempre più arrabbiata.
“Maledetti!” gridò prendendo a calci quelli che le si trovarono più a tiro.
Mocio e Forchetta volarono in aria. Poi Linda afferrò Forchetta: “Come diavolo sei finita qui? E questi?”
Altro calcione sferrato a Dentifricio poi, impugnando Taglierino, si mise a stracciare Tovagliolo con veemenza inaudita.
Il tubetto le era ricaduto accanto alla Pantofola. Linda ci mise meno di un secondo a schiacciarlo con tutta la forza che aveva, sotto i piedi, saltando e saltando. Dentifricio scoppiò miseramente, schizzando il suo contenuto sul Tappeto.
Dopo quell’esplosione di violenza, durata pochi minuti, la donna si fermò, trafelata e sorrise. Aveva scaricato tutta la rabbia montatale alla vista di quelle cose che aveva trovato inaspettatamente raccolte nel suo Studio.
“Sto impazzendo” si disse sghignazzando “Oppure è ora che cominci a tenere questo porcile di casa un poco più in ordine”.
Con uno sbadiglio sgarbato uscì dalla stanza, spegnendo l’Interruttore con una manata.
Gli oggetti giacevano sparpagliati, qualcuno era atterrato sul Pavimento, qualcun altro sul Tavolo. Dentifricio, ormai morto, era steso in mezzo alle sue stesse viscere azzurrine, sotto gli occhi disperati della povera Spazzolino, mentre i pezzi di Tovagliolo erano finiti ovunque, persino sui ripiani più alti della Libreria.
“Facciamola fuori.” Ringhiò Taglierino, rizzandosi di scatto e battendo con la lama un colpo a terra.
“Sì. Dicci cosa dobbiamo fare.” Risposero gli altri rivoltosi all’unisono. Matita e Pennarello si unirono a malincuore, sperando ancora di poter evitare la tragedia.


***

“Hai sentito?? La uccideranno stasera!” Matita si muoveva intorno, rotolando nervosamente sulla scrivania, ora da un lato ora dall’altro.
“La Casa ha deciso.” Rispose con un sospiro mesto Pennarello.
“Ma come la Casa ha deciso? Deciso cosa? Questa non è la soluzione! Non abbiamo voluto trovarla una soluzione! Queste sono le soluzioni degli umani non le nostre! Ci stiamo comportando come loro. Invece di aiutarla abbiamo deciso di eliminarla, ti rendi conto? Non è la nostra natura! La nostra natura è quella di aiutare. Siamo stati creati per questo. Aiutare! Io non ci sto!”
“La Casa ha deciso, mia cara Matita. Ha deciso.”
Pennarello le si avvicinò piano piano e la toccò per calmarla. “Chissà, forse all’ultimo momento qualcuno dei più agguerriti si tirerà indietro e non se ne farà nulla. Ma io obbedisco alle decisioni comuni. Che altro possiamo fare?”
“Già. Che altro possiamo fare?”

Il piano era stato architettato nei minimi particolari. Sarebbe sembrato un suicidio. Lacci, Forchetta e Taglierino furono nominati come esecutori materiali.
Ad un segnale convenuto i Lacci si sarebbero annodati per far cadere Linda a terra: Forchetta le sarebbe saltata in faccia penetrandole in un occhio poi Taglierino l’avrebbe finita, tagliandole la gola di netto.
Matita scarabocchiò nervosamente per tutto il pomeriggio, pensando e ripensando ad un colpo di mano, ad una possibile alternativa. Le venne in mente persino di scrivere tutto su un foglio perché Linda poi lo leggesse. Ma Linda era ormai talmente “oltre” da non riuscire a capire nemmeno di esser viva, figuriamoci leggere un messaggio simile e ricordarselo.
Nelle ultime settimane viveva in completo abbandono e fingeva di non essere in casa per non rispondere al telefono e per non ricevere visite da amici e parenti. Molti di loro avevano ormai rinunciato ad andare a trovarla: ogni volta era la stessa storia, pianti, urla, discorsi insensati e crudeli, un’infuriata disperazione che rendeva vano ogni sforzo di riconquistarne almeno un sorriso.
Diego, il suo ex, ci provò una volta sola portando con se un’agendina nera e sottile.
“Guarda Linda!” Le aveva detto con la sua solita aria svagata e giocherellona.
“L’ho trovata pochi giorni fa dentro una cabina telefonica, ci sono tutti numeri di sacerdoti ed esorcisti, c’è pure quello di Padre Amorth, che dici te lo chiamo?”.
Per tutta risposta Linda lo aveva buttato fuori di casa, spintonandolo in modo assai poco aggraziato.
“Le stiamo facendo un favore” mormorarono i Lacci mentre si disponevano all’attacco. Taglierino e Forchetta erano arrivati da un pezzo e mantenevano guardinghi la posizione sopra il Tavolo.
Linda diede un’occhiata all’Orologio e si alzò ciondolando per andare ad accendersi l’ennesima Sigaretta.
I Lacci dei suoi Scarponcini cominciarono ad annodarsi tra loro e – come previsto – la donna rovinò a terra. Forchetta si gettò dal Tavolo ma invece di colpirla si conficcò sul Tappeto e rimase in piedi vibrando.
Nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa Linda aveva afferrato la Fodera del Divano e l’Orsetto Toby che si trovava lì sopra le cadde addosso, fermandosi sulla sua faccia.
Fu allora che qualcosa in lei saltò via. Come un ingorgo improvvisamente rimosso.
Iniziò a piangere. Toby la fissava con l’unico occhietto rimasto e un malloppo di bambagia che usciva dallo strappo dell’altro.
“Perdonami Toby. Perdonatemi tutti. Aiutooooo.... vi prego aiutoooo”. Piangeva rimanendo immobile con l’orsetto in faccia, incapace di alzarsi.
“Sono stanca... stanca... stanca... aiutatemi, aiutatemi voi, tutti voi”.
Toby lentamente scivolò da un lato e le si appoggiò sulla spalla parandole la gola con il suo testone.
Dall’alto Taglierino, che era rimasto sul Tavolo a seguire la scena, si ritrasse e scomparve.
Cellulare compose il numero della mamma di Linda e tutti restarono in attesa, stringendosi in cerchio attorno a lei.
Ma non era un raccontino.

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