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Il castigo
Inevitabile!... prima o poi doveva succedere… succede a tutti!
Io fui sfortunato, si direbbe oggi, perché mi successe alla mia prima, tardiva volta e che, naturalmente rimase poi l’unica.
Marinare la scuola ed essere scoperto. Successe, lo ricordo perfettamente, quand’ero in terza media, al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele, ma stranamente non ricordo la motivazione di quel mio gesto inusuale e nemmeno se si trattasse di un “filone” completo o solo di uno stratagemma per saltare il doposcuola di quel giorno.
Ma mia madre, non so come, lo venne a sapere. Chissà se per caso o per un qualche preordinato piano di sorveglianza ed accordi con la mia scuola. Mamma era preside, in un altro istituto, e di queste cose doveva intendersene parecchio!... ma ormai non conta più.
Certo è che tornato a casa avvertii subito l’atmosfera dei giorni di burrasca, e mia sorella mi sibilò, sull’uscio:
«Ha detto Babbo che vuole vederti subito. Vai da lui».
Naturalmente ogni volta, tornando a casa si andava da Babbo per salutarlo: dopo essersi cambiati e rassettati; ma “subito” a casa mia significava “adesso!”, non “fra qualche tempo”. E così, cappotto ancora indosso e cartella a tracolla mi presentai da mio padre.
«Hai marinato scuola, vero?»…
Difficilmente Babbo diceva più parole del necessario, ma quelle rare volte che era adirato, mai.
«Si.»
«E devi essere punito, per questo.»
«Si, Babbo.»
«Prendi il tuo quaderno di bella. Scriverai su ogni rigo di una pagina “Per marinare la scuola ho cercato di imbrogliare mia madre”. La frase dovrà entrare tutta su un rigo ed essere stilata in buona grafia. Se non sarà ben scritta, o se non dovesse entrare in un solo rigo la ripeterai ancora una volta su un rigo della pagina successiva. Si dovranno leggere cioè, decorosamente scritte, tante frasi uguali quanti sono i righi di una pagina del tuo quaderno.
Puoi sederti per scrivere, ora»
E Babbo tornò ad esercitarsi al piano.
Senza piangere, non avrei osato!, con col cuore gonfio di umiliazione mi misi all’opera, cercando di concentrarmi al massimo per far durare lo strazio il meno possibile.
Riuscii a farcela con solo quattro imperfezioni, che mi costarono quattro ripetizioni alla pagina successiva. Non so quanto ci misi, ma mi sembrò un tempo infinito.
Mi avvicinai poi al pianoforte, col quaderno in mano, in attesa della fine dell’esecuzione del brano.
Assolutamente non ricordo che pezzo fosse.
E rimasi lì, in silenzio, mentre gli accordi e le armonie riempivano la sala e mi penetravano dentro a lenirmi il bruciore.
«Dimmi.» Lo sguardo di Babbo era tornato sereno e rassicurante; quello di sempre.
«Ho finito il compito che mi hai dato per punizione. Eccolo. E chiedo scusa.»
Gli porsi il quaderno, tremante di vergogna. Ma lui parve non vederlo affatto.
«Non mi occorre controllare. Ho fiducia in te… io».
Mi guardò con dolore, con dolcezza.
«Vai a cambiarti, ora. Glielo dirò, a Mamma, che ti sei scusato con lei.»
Così funzionava Babbo mio.
Lucio Musto 13 febbraio 2007 parole 491
Il castigo
Inevitabile!... prima o poi doveva succedere… succede a tutti!
Io fui sfortunato, si direbbe oggi, perché mi successe alla mia prima, tardiva volta e che, naturalmente rimase poi l’unica.
Marinare la scuola ed essere scoperto. Successe, lo ricordo perfettamente, quand’ero in terza media, al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele, ma stranamente non ricordo la motivazione di quel mio gesto inusuale e nemmeno se si trattasse di un “filone” completo o solo di uno stratagemma per saltare il doposcuola di quel giorno.
Ma mia madre, non so come, lo venne a sapere. Chissà se per caso o per un qualche preordinato piano di sorveglianza ed accordi con la mia scuola. Mamma era preside, in un altro istituto, e di queste cose doveva intendersene parecchio!... ma ormai non conta più.
Certo è che tornato a casa avvertii subito l’atmosfera dei giorni di burrasca, e mia sorella mi sibilò, sull’uscio:
«Ha detto Babbo che vuole vederti subito. Vai da lui».
Naturalmente ogni volta, tornando a casa si andava da Babbo per salutarlo: dopo essersi cambiati e rassettati; ma “subito” a casa mia significava “adesso!”, non “fra qualche tempo”. E così, cappotto ancora indosso e cartella a tracolla mi presentai da mio padre.
«Hai marinato scuola, vero?»…
Difficilmente Babbo diceva più parole del necessario, ma quelle rare volte che era adirato, mai.
«Si.»
«E devi essere punito, per questo.»
«Si, Babbo.»
«Prendi il tuo quaderno di bella. Scriverai su ogni rigo di una pagina “Per marinare la scuola ho cercato di imbrogliare mia madre”. La frase dovrà entrare tutta su un rigo ed essere stilata in buona grafia. Se non sarà ben scritta, o se non dovesse entrare in un solo rigo la ripeterai ancora una volta su un rigo della pagina successiva. Si dovranno leggere cioè, decorosamente scritte, tante frasi uguali quanti sono i righi di una pagina del tuo quaderno.
Puoi sederti per scrivere, ora»
E Babbo tornò ad esercitarsi al piano.
Senza piangere, non avrei osato!, con col cuore gonfio di umiliazione mi misi all’opera, cercando di concentrarmi al massimo per far durare lo strazio il meno possibile.
Riuscii a farcela con solo quattro imperfezioni, che mi costarono quattro ripetizioni alla pagina successiva. Non so quanto ci misi, ma mi sembrò un tempo infinito.
Mi avvicinai poi al pianoforte, col quaderno in mano, in attesa della fine dell’esecuzione del brano.
Assolutamente non ricordo che pezzo fosse.
E rimasi lì, in silenzio, mentre gli accordi e le armonie riempivano la sala e mi penetravano dentro a lenirmi il bruciore.
«Dimmi.» Lo sguardo di Babbo era tornato sereno e rassicurante; quello di sempre.
«Ho finito il compito che mi hai dato per punizione. Eccolo. E chiedo scusa.»
Gli porsi il quaderno, tremante di vergogna. Ma lui parve non vederlo affatto.
«Non mi occorre controllare. Ho fiducia in te… io».
Mi guardò con dolore, con dolcezza.
«Vai a cambiarti, ora. Glielo dirò, a Mamma, che ti sei scusato con lei.»
Così funzionava Babbo mio.
Lucio Musto 13 febbraio 2007 parole 491