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CHIATAMONE

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Lucio Musto
Lucio Musto
Viandante Ad Honorem
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Chiatamone

Nessun dubbio che la donna fosse una bella donna.
Una bella donna di quarant’anni o poco più, distinta, riservata, signorile quasi, diresti, col fascino sottile delle “tardone” e del bel mondo, e poi… con qualcosa in più.

Ma avremo modo di parlarne; questo infatti è il suo racconto, il racconto di quel “qualcosa in più”.

Salita in quell’inspiegabile fermata prima di Bologna (forse Parma?) si era seduta nel salottino di fianco al mio, al di là del corridoio, di questa recente carrozza arredata a littorina, dopo aver poggiato la sua unica, piccola valigia sul sedile accanto; e non si era più mossa.

Chissà perché, oziosamente penso, quella strana fermata intermedia.
Il direttissimo Milano-Palermo delle 19.06, tanto poco felice come orario da risultare pressoché deserto, aveva fretta, faceva solo le fermate essenziali; Bologna, Firenze, Roma, Napoli… dopo non lo so, io scendevo a Napoli…
Più quella fermata provinciale prima di Bologna, che questa sera ci aveva regalato quell’esemplare “modello 103”, per dirla alla Buscaglione.

Gradevole nel suo volto pieno e deciso, era alta quanto basta per far desiderare ad ogni uomo di poterne misurare personalmente la lunghezza, corvina di capelli tagliati corti e perfettamente curati come di occhi, truccati con maestria.
Era inguainata in un tailleur da viaggio di linea semplice, grigio medio, ed accessori coordinati fra loro in pelle rosso-vinoso, mentre una camicetta di vago color verde pastello lasciava intravvedere appena la promessa di un seno da capogiro…
E se ve lo dico io potete credermi; vi ho già detto che ho una particolare predilezione per questo indovinatissimo arredo femminile?... ed all’epoca cui mi riferisco i push-up non li avevano inventati, mentre i bisturi servivano ai medici per curare, non per violentare la natura!

Salita in treno, seduta al posto che vi dicevo, nella carrozza quasi vuota (non fateci caso, sono fortunato di natura!) un giornale femminile poggiato sulle gambe accavallate a mostrare esattamente metà ginocchio, non s’era più mossa. Non leggeva, non si guardava intorno, non un segno di insofferenza o di noia. Guardava fisso oltre il vetro del finestrino il mondo già immerso nel buio e le rare luci spettrali in fuga nella bruma notturna.

Eppure… Eppure aveva qualcosa di provocatorio, di lascivo, che accendeva i desideri.

Naturalmente l’avevamo notata tutti la bella signora, noi viaggiatori di quel malinconico treno della notte, reduci da affari o convegni nella grande Milano e costretti a rientrare in sede a scapito del sonno, e la noia delle lunghe ore di viaggio notturno incisero certamente, ma “lei” aveva qualcosa in più, un fascino attrattivo sottile e potente, impalpabile ma concreto, terribilmente concreto.

E così, a turno, quasi in un protocollo gerarchico, i miei compagni di viaggio ci provarono tutti.
Simulando una puntatina alla Toilette, o i canonici due passi nel corridoio per sgranchire le gambe,
il tradizionale “disturbo, se fumo?” ed altre scuse altrettanto banali tutti, a turno, ci provarono a sedere di fronte alla bella signora ed attaccare discorso, gettare le basi per un incontro più intenso e ravvicinato.

Non so cosa dicessero. Io dal mio cantuccio osservavo in silenzio… ed invidiavo; ero molto giovane e timido, allora.
I cicisbei si alternavano, attaccavano discorso, parlavano fitto fitto bisbigliando… e la Signora accoglieva tutti con un sorriso, rispondeva con mossette compiaciute della sua bella testolina schiudendo appena le labbra leggermente truccate a far intravvedere dei denti bianchissimi.
Sembravano colloqui molto cordiali… ma duravano poco.
Dieci minuti, a volte forse venti, ma immancabilmente l’aspirante cavalier servente dopo un poco si alzava ed andava via, e solo pochi astuti simulavano un arrivederci rumoroso e cordiale, quasi ad imbonir noi altri che “qualcosa” avevano combinato…

Ma io sbirciavo attentamente, e vidi chiaramente una serie di “buche” rifilate a degli uomini giovani o meno giovani tutti in carriera e tutti in caccia di distrazione… e distrazione di pregio!... continuavo a pensare.

Lei, la bella donna, sempre serena, sorridente quel tanto da non apparir mai scortese, appariva come rocca inespugnabile e ferma. Infatti solo di tanto in tanto, elegantemente scambiava l’accavallatua delle lunghissime gambe… e tornava a guardare il buio.

Fu così quasi tutta la notte.
Fu presso a poco all’altezza di Formia, quando tutti i desideri si erano ormai esauriti in assalti infruttuosi, che la Signora volse lo sguardo verso di me, come vedendomi la prima volta.
Stavo scartando un’altra Charms al limone (ve le ricordate le caramelle quadrate in comode confezioni da tasca?) ed il suo sguardo mi parve una richiesta. Prima del pensiero, mani e voce s’erano mosse:
«Gradisce?...»

«Si, grazie…» Che voce, ragazzi, che voce!...

Mosse appena la mano, staccandola da quelle cosce da sogno ed io mi precipitai ad offrire la chicca:

«E’ tutta la notte che mi guardi, e non hai detto una sola parola… - quel canto di chiarine è ora solo un sussurro – Sei timido… o io ho qualcosa che non va?...»

Manco il fiato riesce a uscirmi dalla strozza, figuriamoci una risposta!

«Ti piaccio, forse?... – l’affermazione disinvolta mi gela del tutto – non farci caso, succede!... vedi, anche a quei signori che son venuti ad onorarmi della loro conversazione piaccio; hanno tutti sentito il bisogno di comunicarmelo francamente… »

«Signora, il fatto è che lei… lei… è splendida!... e non si può non notarlo… anche… anche riuscendo a rimanere zitti!» concludo con sussiego, come per segnare un punto a mio vantaggio.

Mossa vincente. Infatti lei riprende pianamente ed il concerto di campane mi accarezza l’udito e mi squassa il ventre:

«Esatto, giovanotto!... ed è quel volerlo sottolineare, quel bisogno di pappagallare che li rende monotoni, noiosi, banali, insulsi!... cosa vuoi che importi a me se un tizio in treno mi venga a dire che mi trova piacente e desiderabile?... eh?... secondo te, cosa dovrei trovarci io, di originale, ed interessante?... che ci starebbero ad usarmi?... suvvia!...»

In cuor mio do ragione alla Signora, anche se i miei pensieri sono uguali a quelli degli altri… e forse il mio desiderio più turbinoso, come i miei ormoni giovanili, così facili a scatenarsi.

«Vedi? – continua la fata – devo arrivare a Palermo, ma questo treno è di una monotonia mortale, ed io non ho molta fretta. Mi piacerebbe fare una sosta a Napoli, e ripartire con la “Freccia del Sud” che passa fra quattro ore. Magari per prendere un rinfresco o sgranchirmi un poco… ma ti pare che potrei accompagnarmi a qualcuno degli allocchi che hanno tentato di abbordarmi stanotte?... ma te l’immagini che noia?... come andare al parco con un lumacone bavoso…».

Mi sento in colpa che questo treno, il direttissimo che mi è familiare, non sappia produrre un degno accompagnatore per questa donna da sogno. Mi sento in colpa e me ne vergogno… tutti stupidi galletti. Forse arrossisco pure, e fatico ad assimilare le frasi successive:

«Forse tu… se avessi tempo e voglia… potresti farmi da guida in questa città sconosciuta, e magari scovare un buon cappuccino, ed un posto dove distendermi un attimo e recuperare… sai – aggiunge con un sorrisetto malizioso – io sono vecchierella, ormai!...».

Si una tardona, penso subito, una di quelle splendide tardone che mi fanno impazzire e sconvolgono l’immaginazione!... riesco a fare si col capo, ma credo che sia un sì eloquente, assai più sfacciato di quanto vorrei, nelle mie intenzioni.

Scaturchio è aperto, come sempre, a Piazza Garibaldi, giusto di fianco alla Stazione, e si sa che le sue “code d’aragosta” ed i suoi cappuccini sono fra i migliori di Napoli, cioè di tutto l’universo, e faccio un figurone.
La Signora fa un flebile tentativo per pagare la consumazione, ma naturalmente mostro di sdegnarmi. E che diamine, sono anch’io un uomo rampante, nonostante la mia giovane età!

Con ancora tre ore buone davanti, il piano nella mia testa è disegnato nei dettagli, e lei si lascia condurre con docilità, con fiduciosa attesa, direi.
Il taxi ci porta al Chiatamone, “Pensione Santa Lucia”, l’albergo ad ore più decente che conosco in centro. I miei preferiti, “Ai due pini” ad Agnano, e “Luisella e Rosa” a lago Patria, sono entrmbi troppo lontani, per il tempo a disposizione.
Ma la “Pensione Santa Lucia” è decorosa, ed ha un portiere di notte dall’occhio fino.
Ci individua subito come ospiti di riguardo e ci assegna una graziosa stanza sul retro, silenziosa e con balconcino sulla macchia scoscesa del “Pallonetto”.
La bella Signora si comporta con naturalezza, porge la sua carta senza esitazione e sorride all’inserviente che porta su le nostre due valige, come se dovessimo fermarci una settimana.
Mi sembra normale allungarli una mancia. Non l’ho fatto altre volte, in un albergo ad ore.

In camera, lei si sveste con naturalezza e semplicità, senza inutili esibizionismi o pacchiane provocazioni, e si predispone per l’incontro amoroso, come fosse ad un incontro salottiero.
Mamma!... quanto mi sento goffo ed impacciato, al confronto!...

Delle due ore e mezzo successive non starò a dirvi niente. Mi sembrerebbe una profanazione!
Riferirò che furono attimi di sogno, di incanto mentale oltre che fisico, mentre le sue mani esperte,
i suoi sospiri, i suoi baci mi guidavano, guidandomi, nei sentieri più ascosi del piacere, nelle fantasie più ardenti, nella scoperta d’ogni piega del godimento, i nervi sfiorati o pizzicati da sensazioni inimmaginabili ed inimmaginate, e sempre nuovi, travolgenti traguardi raggiunti e superati… ricerca sempre soddisfatta di nuovi golfi di beatitudine, altre curiosità altre euforie, in un crescendo senza fine che fine non cerca, appagato egualmente di ogni attimo, di ogni gesto, di ogni sfioramento.

Ogni tempo passa, e passò anche quel tempo, ma fu diverso da ogni altro tempo. E quando lei dolcemente mi sussurrò all’orecchio «Adesso dobbiamo andare!», non mi prese nostalgia o rammarico.
Completamente svuotato nel corpo, pienamente soddisfatto nella mente, mormorai «si» senza rancore per un tempo tiranno che era passato, senza malinconia per quell’evento che, sentivo, essere irripetibile.
Una gratitudine piena per un dono immenso, la determinazione di portarmi nel cuore quei minuti di assoluta bellezza, puri per non avere una bava pregressa, né una previsione di strascico seguente.
Un’ora speciale della vita, gemma isolata, con una valenza sua propria, senza bisogno di giustificazione, senza necessità di una storia.

Un altro taxi ci riportò alla stazione, mano nella mano. Dieci minuti prima dell’arrivo della “Freccia del Sud”.
Quasi senza una parola, ché per me nulla c’era da aggiungere, mi condusse quasi alla fine della banchina, dove i pigri viaggiatori in partenza non arrivano, e lì si fermò, a parlarmi, fissando nei miei quei suoi meravigliosi occhi di notte:

«Sai?... io di professione faccio la puttana. Ho conosciuto il marciapiede, anni fa, ma come dicono i signorini di oggi, sono “salita di bordo”, ed opero su canali diversi. Ma sempre solo una puttana sono. Da ieri in vacanza, per un mese. Una puttana in vacanza.
Ed essere una come me comporta affittare il proprio corpo, così come i geometri affittano la loro mente ed i preti la loro anima.
E centinaia di persone pagano il diritto di possedermi, di violentarmi, di stuprarmi, di penetrarmi, di violarmi, di maneggiarmi con mani torbide ed infette di bestialità. Centinaia di persone avanzano il diritto di godere di se attraverso il mio corpo, affittato per denaro.
E’ giusto. Questo è il mio mestiere, quello il loro onere. Io, sono puttana.
Ma in fondo, proprio giù nel fondo di questo corpo che a voi maschi appare stupendo, e che forse lo è anche oggettivamente, io, rimango una donna.
E sento il bisogno di amare, di essere amata. Almeno qualche volta.
Com’è stato con te stanotte. E’ stato amore per me, come sento che lo è stato per te.
E perciò voglio dirti grazie. Mai, la vacanza di una puttana è cominciata in un modo più bello!».

Frastornato dalle rivelazioni della bella Signora, e manco m’ero accorto dell’arrivo della “Freccia del Sud”. Una carezza leggera sulla guancia ed è montata su. E’ andata.

Capito?... e lei, la bella Signora, ha detto grazie a me!... dopo avermi donato l’estasi!

E manco m’ha detto il suo nome…



Lucio Musto 1 giugno 2009 parole 1975
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