Visto che alle discussioni partecipo poco lascio uno degli scritti di viaggio & foto.
Non ho mai avuto un interesse particolare per la storia coloniale italiana e quindi una conoscenza di essa, esclusa una infarinatura generale ricordo di scuola o acquisita dalla televisione. Il termine stesso “colonialismo” mi è simpatico come una visita dal proctologo, quindi mi sono accostato a questo viaggio senza particolare interesse all’argomento, senza letture o preparazione, solo con una minima curiosità di fondo, pensando che fosse un aspetto marginale, secondario rispetto alle “mitiche “ Dahlak o ai mercati di Cheren o al fascino dell’Afrika in generale.
Mi sbagliavo.
L’italianità in Eritrea è una presenza netta, palpabile, decisa e sorprendente. Impossibile da ignorare, ti circonda, in modo tangibile e netto e piano piano ti appassiona, rendendo alla fine imprescindibile, nel viaggio in questa parte del corno d’Afrika, il rapporto con la nostra propria italica storia.
Sembra un po’ di viaggiare nel tempo, oltre che nello spazio, e rivedere un Italia passata, della quale io, classe 63, qualcosa ricordo (purtroppo), ad esempio le seggiole del barbiere, simili a quello dove sedevo ragazzino quando la mamma mi obbligava al taglio dei capelli che, porca paletta, avevo! Le automobili Fiat datate, le locandine, gli accessori anni 50/60/70 che si trovano un po’ dovunque. Per fortuna i treni a vapore sono un’anticaglia anche per me, così come scritte e gli edifici coloniali modello ventennio, ma l’edificio del cinema Impero è assolutamente somigliante come struttura ed architettura al cinema Italia del mio paese d’origine.
Esco dall’Hotel ad Asmara per una piccola passeggiata prima di partire per le Dalhak ed in un attimo sono in Via Bologna, davanti ad un piccolo emporio che in vetrina ha una bella pila di panettoni, marca “Asmara” in bella vista. Passo vicino alla ferramenta, alla farmacia, al barbiere. Insegne in italiano attigue ad incomprensibili diciture in tigrino, scritte nell’elegante alfabeto ge’ez.
Sono leggermente straniato.
Non ho mai avuto un interesse particolare per la storia coloniale italiana e quindi una conoscenza di essa, esclusa una infarinatura generale ricordo di scuola o acquisita dalla televisione. Il termine stesso “colonialismo” mi è simpatico come una visita dal proctologo, quindi mi sono accostato a questo viaggio senza particolare interesse all’argomento, senza letture o preparazione, solo con una minima curiosità di fondo, pensando che fosse un aspetto marginale, secondario rispetto alle “mitiche “ Dahlak o ai mercati di Cheren o al fascino dell’Afrika in generale.
Mi sbagliavo.
L’italianità in Eritrea è una presenza netta, palpabile, decisa e sorprendente. Impossibile da ignorare, ti circonda, in modo tangibile e netto e piano piano ti appassiona, rendendo alla fine imprescindibile, nel viaggio in questa parte del corno d’Afrika, il rapporto con la nostra propria italica storia.
Sembra un po’ di viaggiare nel tempo, oltre che nello spazio, e rivedere un Italia passata, della quale io, classe 63, qualcosa ricordo (purtroppo), ad esempio le seggiole del barbiere, simili a quello dove sedevo ragazzino quando la mamma mi obbligava al taglio dei capelli che, porca paletta, avevo! Le automobili Fiat datate, le locandine, gli accessori anni 50/60/70 che si trovano un po’ dovunque. Per fortuna i treni a vapore sono un’anticaglia anche per me, così come scritte e gli edifici coloniali modello ventennio, ma l’edificio del cinema Impero è assolutamente somigliante come struttura ed architettura al cinema Italia del mio paese d’origine.
Esco dall’Hotel ad Asmara per una piccola passeggiata prima di partire per le Dalhak ed in un attimo sono in Via Bologna, davanti ad un piccolo emporio che in vetrina ha una bella pila di panettoni, marca “Asmara” in bella vista. Passo vicino alla ferramenta, alla farmacia, al barbiere. Insegne in italiano attigue ad incomprensibili diciture in tigrino, scritte nell’elegante alfabeto ge’ez.
Sono leggermente straniato.