Sinceramente non so bene da che parte incominciare, e quindi vi beccherete un bel flusso di coscienza. Non riesco a fare di meglio.
Ogni persona quando intraprende un percorso personale presso uno specialista della psiche ( psicologo, piscoanalista, psicoterapeuta ecc) mette in gioco la parte più intima di se stesso. Sono parti di noi a cui credo nessuno saprebbe dare un prezzo eppure la disponibilità ad accoglierle viene pagata attraverso un corrispettivo economico. Quello che non si può comprare o vendere è oggetto di commercio.
Sembra una contraddizioni in termini, ed in effetti lo è visto l'oggetto di scambio.
Non solo. Per poter entrare in uno stato d'animo di abbandono e fiducia il paziente deve essere convinto che il terapeuta è interessato a lui eppure lo paga per questo. Il paziente costituisce cioè per il terapeuta un interesse.
Se è vero questo non va però dimenticato che nemmeno il paziente, che necessita di tanta umana apertura, avrebbe mai a che fare con il terapeuta se non avesse bisogno di lui, se non volesse sfruttarlo per rifilargli il suo malessere ed ottenere una guarigione in permuta.
Diciamo che il commercio è in un certo senso un baratto.
Questo denaro che tanto vilmente sembra inserirsi laddove è in gioco ciò che è più umano è la misura della terapia. Ad esempio il denaro decide i tempi, agevolando la separazione in quei pazienti che non riescono a staccarsi, e decide della stessa terapia, visto che la molla deve essere veramente forte per decidere di accettare il costo della terapia.
Il denaro mantiene la distanza terapeutica ostacolando il consolidarsi dell'illusione allucinatoria che il terapeuta sia lì per noi, immensamente ed eternamente disponibile, ricordandoci che non ci ha scelto e non ci ama.
Un persona che non desidero ricordare mi disse "Sono qui e pago il prezzo del mio desiderio per-verso".
Non so come la vedete voi, e parlarne sarebbe interessante.
Ogni persona quando intraprende un percorso personale presso uno specialista della psiche ( psicologo, piscoanalista, psicoterapeuta ecc) mette in gioco la parte più intima di se stesso. Sono parti di noi a cui credo nessuno saprebbe dare un prezzo eppure la disponibilità ad accoglierle viene pagata attraverso un corrispettivo economico. Quello che non si può comprare o vendere è oggetto di commercio.
Sembra una contraddizioni in termini, ed in effetti lo è visto l'oggetto di scambio.
Non solo. Per poter entrare in uno stato d'animo di abbandono e fiducia il paziente deve essere convinto che il terapeuta è interessato a lui eppure lo paga per questo. Il paziente costituisce cioè per il terapeuta un interesse.
Se è vero questo non va però dimenticato che nemmeno il paziente, che necessita di tanta umana apertura, avrebbe mai a che fare con il terapeuta se non avesse bisogno di lui, se non volesse sfruttarlo per rifilargli il suo malessere ed ottenere una guarigione in permuta.
Diciamo che il commercio è in un certo senso un baratto.
Questo denaro che tanto vilmente sembra inserirsi laddove è in gioco ciò che è più umano è la misura della terapia. Ad esempio il denaro decide i tempi, agevolando la separazione in quei pazienti che non riescono a staccarsi, e decide della stessa terapia, visto che la molla deve essere veramente forte per decidere di accettare il costo della terapia.
Il denaro mantiene la distanza terapeutica ostacolando il consolidarsi dell'illusione allucinatoria che il terapeuta sia lì per noi, immensamente ed eternamente disponibile, ricordandoci che non ci ha scelto e non ci ama.
Un persona che non desidero ricordare mi disse "Sono qui e pago il prezzo del mio desiderio per-verso".
Non so come la vedete voi, e parlarne sarebbe interessante.