L’alternativa alla Pedagogia, è la sua assenza, ovvero la mancanza di una scienza multidisciplinare che si occupi dello studio delle problematiche educative e formative, con elaborazione/proposizione dei relativi modelli d’intervento.
Siccome l’approccio a tali aspetti non è eludibile, in particolare relativamente agli aspetti formativi nei contesti formali, l’assenza di cui sopra verrebbe colmata (se va bene) da modelli completamente autoreferenziali, poco strutturati e poveri di contributi provenienti da discipline che semplicemente non possono essere ignorate, oppure: da quell’idealismo pedagogico (Gentile, toh) che nel nostro Paese ha fatto non pochi danni.
Ecco cosa chiama in causa l’affermazione: «pedagogia .. brr, mi fa orrore» ed era ad essa che mi rivolgevo.
Nonostante l’affermazione generalizzata ed il preciso contesto del thread, sappiamo entrambi che la Pedagogia si articola potenzialmente nell’arco di vita e non riguarda esclusivamente l’istruzione in senso stretto.
Anche così, però, mi sfugge come una vicinanza alle posizioni Girardiane possa dichiarare il tramonto della scienza in questione.
Mi pervengono invece considerazioni di stampo opposto, laddove è bene primario il confronto tra ipotesi e le validazioni che pervengono loro dalle altre discipline, in particolare dalle neuroscienze.
Quali benefici siano giunti da quest’ultime alla famosa ipotesi Girardiana, pardon: anche Girardiana, lo saprai di sicuro.
È talmente primario, il bene di cui sopra, che mi sembra proprio che le sfide che la moderna Pedagogia debba cogliere siano incentrate sul rapporto con la ricerca in tali ambiti, con l’ovvio obbiettivo di cogliere – possibilmente senza forzarli – aspetti teorici e soluzioni operative.
Confondere la Pedagogia nella sua interezza, con le istanze che di essa vengono accolte (o meno) in un determinato contesto socioculturale è un errore talmente banale che di certo non ti ascrivo, ma se da alcuni aspetti negativi, perfettibili, arrivi a bollare in un certo modo l’intera disciplina, ecco che qualcosa accade ed è di nuovo a te che indirizzavo l’interpretazione dicotomica della realtà, di questo suo aspetto.
Il modello positivista, non è più quello di un tempo, se non per gli integralisti, che poi – magari -hanno un nome ben preciso e la critica, se la si vuol vedere, è ben più precisa e pungente quando interna ed è talmente ampia che non può che raggiungere gli statuti epistemologici meno solidi.
Essa, però, non frantuma la convinzione che è solo percorrendo questa strada che si può costruire, che si può progredire in quello che – al momento – è il paradigma meno traballante che siamo riusciti a costruire e che, magari non sarà esaustivo, ma di sicuro è irrinunciabile.
Dichiarare ciò - è concludo - non significa necessariamente evocare la dissoluzione di sensibilità, emotività, spiritualità; penso infatti e chiudo il cerchio, esistano spazi contigui, convivenze possibili.