C'era una volta un mercante molto ricco il quale aveva un unico figlio chiamato Moscione.
Il mercante sperava di arricchire ancora di più, per lasciare un giorno a Moscione un commercio fiorente e redditizio; ma ben presto dovette accorgersi che il figlio era sciocco e non si interessava proprio di nulla. Non lavorava, non studiava, non desiderava nemmeno andare a divertirsi con i giovani della sua età. Trascorreva le giornate a letto o bighellonando nel giardino con gli occhi trasognati e fissi nel vuoto, e non c'era cosa che potesse scuoterlo dal suo intontimento.
-Mio figlio è sciocco- pensava il mercante desolato - sembra che dorma sempre a occhi aperti. Ma forse la colpa è mia, perchè l'ho tenuto in casa senza fargli conoscere il mondo. Dovrebbe viaggiare da solo e affrontare le difficoltà della vita. La necessità aguzza l'ingegno e Moscione si sveglierebbe un pò. Gli proporrò di compiere un viaggio, e forse ritornerà intelligente e fortunato-.
Moscione accettò la proposta del padre con gran gioia.
-Andrò a Venezia - dichiarò. - Ho sentito dire che Venezia è una delle città più belle del mondo.
Ma dammi un servo o un compagno, perchè non mi piace viaggiar da solo: divento triste-.
-E invece viaggerai proprio solo- rispose il padre. Hai avuto troppi servitori, fino a oggi, che pensavano e lavoravano per te. D'ora in poi provvederai tu a te stesso.-
Moscione non replicò: fece sellare il cavallo e partì alla volta di Venezia.
Cammina cammina, verso sera giunse in un bosco, e poichè non c'erano taverne o osterie in giro, decise di passare la notte sotto di un pioppo. Scese di sella e si preparò un giaciglio di foglie; ma quando stava per lasciarsi cadere su di esso, vide che dall'altra parte dell'albero c'era un altro giovane che si riposava. Contento di aver trovato compagnia, lo salutò e chiese :
- come ti chiami?
- mi chiamo Folgore- rispose l'altro,- e vengo dal paese di Saetta.-
- Come mai hai un nome tanto strano?-
-Perchè sono più veloce della folgore, cioè il fulmine: Quando corro non si riesce nemmeno a vedermi-.
-Questo è interessante! -esclamò Moscione tutto contento - Vuoi venire con me? Vado a Venezia.-
-E perchè no? - rispose l'altro. - Non so cosa fare nè dove andare domattina verrò con te.
Ed infatti dopo aver dormito saporitamente tutta la notte, i due giovani si misero in viaggio chiaccherando amichevolmente.
Non avevano percorso ancora quattro miglia quando notarono un altro giovane che stava sdraiato a terra e teneva un orecchio appoggiato al suolo.
-Che cosa fai? - chese Moscione incuriosito. - Chi sei?.
-Sono Orecchio di Lepre- rispose l'altro- e provengo dal Paese di Vallecuriosa. Il mio udito è tanto fino che mi basta mettere l'orecchio a terra per sentire tutto ciò che si dice nel mondo. Non so che cosa fare nè dove andare, perciò mi diverto ad ascoltare ciò che dice la gente appena alzata.
-Davvero?- esclamò Moscione meravigliato- Prova ad ascoltare cosa dicono in questo momento a casa mia.
Orecchio di Lepre mise la mano a conca dietro l'orecchio e riferì:
- Sento una voce d'uomo che dice " Che cosa farà in questo momento il mio Moscione? Speriamo che ritorni meno sciocco".
-Di certo era mio padre!- commentò Moscione meravigliato. - Se non sai dove andare vieni con noi! Assieme a te e a Folgore farò fortuna, ne sono convinto e mio padre sarà fiero di me.-
-Perchè no?! - disse Orecchio di Lepre. Subito si mise a fianco dei due giovani e tutti insieme proseguirono il viaggio.
Avevano percorso circa altre dieci miglia quando incontrarono un terzo giovane, il quale armato di una balestra, stava prendendo di mira qualcosa che non si vedeva.
-Che fai- chiese Moscione. Non vedo uccelli nè lepri, qui intorno; perchè scagli la tua freccia?
- voglio spaccare in due un pisello dell'orto del curato. E' il quinto pisello sul cespuglio a destra.
-Che orto e che pisello!?- replicò Moscione - Io non vedo niente.
-L'orto dista cento miglia da qui- disse il giovane. - Ma io ho la vista tanto acuta che riesco a vederlo benissimo. Non per niente mi chiamo Accecadiritto e vengo da Castel Tiragiusto. Non so cosa fare nè dove andare perciò mi distraggo così: spaccando in due i piselli.
-Vieni con noi!- esclamò Moscione. - Noi andiamo a Venezia, e insieme faremo fortuna sicuramente.
-Perchè no?- rispose il giovane. Così dicendo si mise la balestra in spalla e si unì alla compagnia.
Cammina cammina, dopo circa un'ora i quattro giovani giunsero sulla riva del mare. Un villaggio sorgeva sulla costa e nel piccolo porticciolo alcuni muratori stavano costruendo un molo.
Chi portava pile di mattoni, chi ceste di sassi, chi secchi di calcina. Il sole era alto, e dardeggiava sugli uomini col suo calore implacabile, specchiandosi nel mare, sembrava addirittura raddoppiare la sua luce. Tuttavia gli operai lavoravano, fischiettavano allegramente e nessuno di loro sembrava stanco e sudato; avevano tutti il volto fresco ed asciutto, nonostante il peso e la fatica.
Moscione si fermò asciugandosi la fronte e guardò meravigliato i muratori.
-Voi fate un lavoro molto pesante- disse al capomastro- Come mai nessuno di voi è rosso in viso e le vostre camice asciutte? I muratori che lavorano al mio paese, sembrano gamberi cotti e sgocciolano sudore come innaffiatoi. Che cosa vi fa sentire tanto freschi?
- Noi non ci accorgiamo del caldo- rispose il capomastro con aria soddisfatta. - Una brezzolina deliziosa ci mantiene ristorati, e nemmeno il sole di mezzogiorno riesce a farci sudare.
-Come mai?- Chiese Moscione che avvertiva anche lui la brezzolina e ne provava grande sollievo- E' qualche gola di montagna a incanalare il vento sin qui?
-Ma no! rispose il capomastro ridendo. Non abbiamo montagne, nelle vicinanze. E' arrivato qui un giovane che ha il fiato tanto potente da gareggiare con il vento. Egli sta alle nostre spalle e soffia sopra di noi. Così siamo avvolti dall'aria fresca persino sotto il sole di mezzogiorno; perciò lavoriamo senza stancarci.
"Voglio conoscere questo giovane" pensò Moscione interessato. E tornò indietro.
Trovò poco dopo il giovane che stingendo un poco le labbra dirigeva sui muratori un soffio di deliziosa aria fresca.
-Ciò che fai è meraviglioso_ disse Moscione ammirato- Chi sei e come ti chiami?.
-Mi chiamo Soffiarello- rispose il giovane cortesemente- Ho tanto fiato che potrei gareggiare con il vento.Ma non voglio esagerare, e mi accontento di mantenere un pò freschi quei poveri operai i quali altrimenti si scioglierebbero in sudore. Grazie a me possono lavorare senza troppa fatica anche a mezzogiorno.
-Da dove vieni?-
-Vengo da Torreventosa.-
-E dove vai?-
- In nessun posto. Non so che cosa fare nè dove andare. Mi sono fermato qui per aiutare quei muratori, ma hanno quasi terminato il molo e domattina ripartirò verso non so dove.
-Perchè non vieni con noi?- gridò Moscione entusiasmato- Ho già tre amici straordinari, e con te sono sicuro che faremo fortuna.
-Perchè no?- rispose il giovane.
Lanciò verso i muratori un ultimo sospiro che parve davvero il soffio della brezza vespertina, poi si unì alla comitiva e tutti ripresero il cammino per Venezia.
Moscione era contento. Sapeva di valere poco, ma aveva avuto l'avvedutezza di procurarsi amici straordinari che lo avrebbero aiutato nel momento del bisogno e forse egli intuiva che un giorno essi sarebbero serviti.
Anche gli amici erano stati fortunati incontrando lui, che aveva saputo apprezzarli.
Tutti insieme avrebbero fatto fortuna.
Cammina cammina, già in cielo si accendevano le prime stelle e i giovani stavano studiando il modo di dove passare la notte, quando scorsero sdraiato proprio sulla riva del mare, un giovane che certo si preparava a dormire giusto li dove si trovava.
Era un giovane aitante, alto e muscoloso, e Moscione, che aveva imparato come spesso il merito sia nascosto e non si presenti agli occhi di tutti con bandiere e fanfare, volle interrogare anche lui : - Come ti chiami ?
-Mi chiamo Forteschiena- rispose il giovane con molta cortesia.
E' uno strano nome, da dove vieni?
-Vengo dal paese di Fortezza.
E dove vai?- Non so dove andare e non so cosa fare, perciò ho deciso di dormire qui- e si stava mettendo un braccio sotto la testa per iniziare a dormire, quando Moscione gli domandò:
-Ma perchè ti chiamano così?-
- Perchè ho molta forza. Potrei caricarmi una montagna sulle spalle e mi sembrerebbe una piuma. Ma ora con tanti attrezzi che vengono in aiuto agli uomini per i lavori più pesanti, nessuno cerca più la mia forza.
Moscione pensò un momento. Aveva con sè degli amici fuori del comune. Perchè dunque anche Forteschiena non avrebbe potuto far parte della comitiva?
-Noi siamo diretti a Venezia- disse.
-Io sono lo sciocco- è una qualità non invidiata da nessuno. Con me viaggiano: Folgore che corre veloce più del fulmine, tanto che non riesci nemmeno a vederlo da come corre; Orecchio di Lepre, che ha l'udito tanto fino da riuscire ad ascoltare tutti i discorsi che si tengono nel mondo; c'è Accecadritto che riesce a spaccare in due un pisello a cento miglia di distanza; c'è Soffiarello, che soffia brezze rinfrescanti o venti di tempesta, solo se lo vuole.
Vieni con noi! a Venezia, o altrove faremo fortuna.
Il giovane non ci pensò nemmeno un momento. Subito si alzò e si unì alla comitiva.
E così si misero in cammino: Moscione, Folgore, Orecchio di Lepre, Accecadritto, Soffiarello e Forteschiena.
Dopo alcuni giorni di viaggio giunsero ad un reame che si chiamava Belfiore.
In questo reame viveva un re che aveva una figlia bellissima, per la quale ancora non aveva trovato marito.
A questo riguardo, si deve sapere che la principessa era insuperabile nella corsa e aveva deciso di sposare soltanto l'uomo che fosse riuscito a superarla in una gara di velocità.
Perciò il re suo padre aveva emesso un bando: "Chiunque ritenga di essere tanto veloce da superare mia figlia nella corsa può gareggiare con lei. Se vincerà diventerà mio genero; ma se perderà, gli verrà tagliata senza indugio la testa:".
Molti principi di tutte le parti del mondo avevano chiesto di partecipare alla gara; ma la principessa era davvero veloce come la folgore; arrivava sempre prima dei concorrenti, e le restava il tempo di sorbire un bicchierino di rosolio fresco in attesa che il concorrente arrivasse.
Quando questi giungeva, finalmente, rosso e accaldato, gli sgherri lo conducevano alla morte.
Da molto tempo, di conseguenza, nessuno si presentava più alla gara e la principessa si annoiava.
Quando Moscione ebbe letto il bando, si offrì di correre con la principessa. Il re guardò ben bene in viso il giovane e poichè gli sembrava un sempliciotto, si sentì in dovere di avvisarlo del pericolo a cui andava incontro.
-Non mi sembri molto intelligente. Ti avverto che se mia figlia vincerà, tu sarai messo a morte.-
-Non mi sembri molto intelligente neanche tu- rispose il giovane senza batter ciglio- altrimenti avresti cancellato una legge tanto crudele.
Tuttavia io sono pronto a correre il rischio. Anzi, visto che la principessa mette tutta la sua gloria nella velocità, farò gareggiare con lei un mio servo.
Naturalmente, se egli vincerà, sarò io che sposerò la principessa. E, se perderà tu farai tagliare la testa a me.-
Il re pensò un momento, poi disse:
-Va bene. Mia figlia cerca soltanto un paio di gambe più veloci delle sue, e tanto valgono per lei le tue come quelle del tuo servo. Resta inteso che sarai tu, non lui, colui che pagherà con la morte.-
La principessa che aveva visto dalla finestra il nuovo pretendente, si fece una bella risata e invitò tutti ad assistere alla gara. La mattina dopo, infatti, le finestre e le terrazze erano piene di spettatori che, in fondo, ammiravano il coraggio del giovane sconosciuto.
Quando fu il momento la principessa scese in pista e, allo squillo delle trombe, partì come un razzo.
Nessun occhio umano riusciva a seguirla: era più veloce del vento. Ma Folgore, vestito con gli abiti di Moscione, era più veloce del fulmine, e giunse al traguardo per primo.
-Viva, viva lo straniero!- gridava la folla.
Quando la principessa arrivò trafelata, e si accorse di essere stata preceduta, avrebbe voluto sprofondare mille braccia sottoterra per la vergogna.
Secondo lei, la gloria sua e del regno era soltanto nelle sue gambe, perciò, ritornata alla reggia chiese udienza al re.
- Non so come mai sono stata vinta- gli disse rossa in volto per l'ira- ma domando la rivincita. Faremo un'altra gara.-
-Questo non è secondo le regole- replicò il re, il quale non aveva mai saputo opporsi ai capricci di sua figlia- Tuttavia acconsento; ma se lo straniero vince, lo sposerai.-
La principessa fece una smorfia. Era tanto convinta di essere una creatura straordinaria che non riteneva esistesse, su tutta la terra, un principe degno di lei. Era stata vinta però, e questo era un fatto incontestabile. Perciò era meglio correre ai ripari.
Si ritirò nelle sue stanze, e aperto uno scrigno fatato, dono della sua madrina di battesimo che era una maga potente, ne tolse un anello ornato da una pietra nera.
-Questa pietra ha la facoltà di paralizzare i movimenti di chiunque l'abbia al dito - spiegò alla sua ancella- Tu lo porterai alla locanda dove alloggia il mio rivale, e lo pregherai di metterlo per farmi piacere. E vedremo se domani sarà capace di correre.
L'ancella prese l'anello e si recò alla locanda, dove fu ricevuta da Folgore.
Credendo di trovarsi davanti Moscione disse: La mia padrona ti prega di infilare al dito questo anello per farle piacere.-
Subito Folgore ubbidì.
L'ancella se ne andò soddisfatta, ma un attimo dopo nella stanza entrò... ************°°°°**********°°°°°
E........ ADESSO CONTINUA TU...........