Oggi voglio parlare di felicità.
Cos'è la felicità... (?!?) O, meglio, come intendiamo la felicità?
E' l'esperienza del pieno appagamento di un desiderio:
una condizione di appagamento come un evento, cioè come qualcosa che viene a riempire l'interiore sete di benessere.
Se torniamo agli antichi greci vediamo che essi indicavano la felicità come un buon demone, ossia come un "ben-essere" che gli dei in qualche modo ci danno in sorte; anche in questo caso, dunque, la felicità è qualcosa che ci accade.
Siamo felici, perché siamo fatti felici da qualcosa o da qualcuno.
Tradizione molto antica a cui si ispira anche tutta la tradizione medievale ebraica, cristiana e araba, per la quale la felicità è promessa e dono di Dio, creatore e provvidente.
La tradizione moderna ha gradualmente capovolto questa concezione, sino a progettare (K. Marx ad es.) la felicità come un risultato dell'attività storica dell'uomo.
La felicità si dimostra così un concetto di straordinaria complessità, può definirsi in modi diversi in quanto situazione soggettiva di appagamento assoluto dei propri bisogni e dei propri desideri, e il soggetto può trattare qualsiasi oggetto desiderato come alcunché di assoluto e quindi come qualcosa di assolutamente appagante, indipendentemente dal fatto che tale oggetto sia tale nella sua realtà.
Quindi si può essere felici per una infinità di cose (denaro, potere, sesso, cibo, e via così...) e si può arrivare a chiamare felicità la condizione in cui si ritiene di possedere queste cose, salvo ad accorgersi poi, in un modo o nell'altro, che si tratta di una felicità solo apparente, perchè l'oggetto era stato surdeterminato.
In effetti, la felicità non apparente, e quindi duratura, può essere solo quella che consiste nella relazione con il reale ( e non immaginario) oggetto assoluto del desiderio umano.
E' importante stabilire quale sia tale oggetto.
Bisognerebbe determinare il senso del desiderio. La filosofia occidentale, specialmente dopo la diffusione del cristianesimo, ha sempre più preso atto della trascendentalità del desiderio umano, cioè della essenziale e infinita apertura del desiderio e della sua relazione ad un oggetto adeguato per tale apertura.
Ora l'oggetto adeguato non può essere che un oggetto infinito, cioè un oggetto che abbia a sua volta la nota della trascendentalità.
Ma quest'oggetto non può essere che un soggetto, perché solo di un soggetto si può predicare quell'infinita apertura coscienziale.
Così, poiché solo un altro soggetto può far felice un uomo o una donna, la felicità è sempre stata legata preferibilmente a quella forma intersoggettiva che può essere il rapporto di coppia, perché quel rapporto in modo specialissimo significa la reciprocità del dono della soggettività.
Per finire, mentre il pensiero di ispirazione non metafisica cerca la possibile fonte della felicità solo nel gioco del rapporto interaffettivo, il pensiero di ispirazione metafisica eleva la reciprocità sino ad includervi la relazione con Dio, che va inteso come fondamento ultimo dell'appagamento del desiderio.