BIGbossSTIGAZZI ha scritto:voglio sperare che il significato che intendevi tu fosse strano e fino ad un certo punto posso darti ragione, ma in via logica essere strani significa che ci sono dei "non strani" e quindi dei normali e già ghettizziamo, ma se fossimo tutti strani allora non esisterebbero i non strani e quindi nessuno sarebbe strano, tutti strani nessuno strano, tutti ladri, nessuno ladro.
Esattamente quello che ho sottolineato in nero.
Tu stesso scrivevi: "Non basta dire
siamo tutti diversi (anche un etero da un altro etero ) e tutti con pari dignità?".
Siamo tutti queer, siamo tutti strambi.
In ogni caso queer è un termine che va oltre la sua traduzione letterale e ha assunto con il tempo una connotazione e un ambito di discorso precisi.
Tanto più che si parla ormai da tempo di 'queer theory' e 'queer studies'.
Se, per iniziare, cerchi il termine 'queer' su wikipedia (io ti consiglio di farlo su quella inglese, perché quella italiana è piuttosto-tanto approssimativa), credo che renda una prima idea.
Queer è un termine ambivalente. In passato era usato in senso dispregiativo per indicare i gay. Poi, negli ultimi decenni, ha assunto un nuovo significato, molto più autoconsapevole. Da alcuni è utilizzato come una sorta di sinonimo-generale per LGBTT etc., ma non è preciso. In sé il termine si oppone alle categorizzazioni e rimanda all'individualità propria di ognuno. Non è un caso che molte persone che si identificano nel movimento LGBT rifiutino il termine queer (in realtà per diversi e stratificati motivi). Essere queer significa opporsi alla norma dominante e inoltre opporsi alle identificazioni binarie, alle categorizzazioni vissute come oggettivazioni della propria individualità.
allo stato attuale delle cose è l'unico modo di esistere...ed io questo ti contesto perchè per me non è vero, autorinchiudersi in una riserva "indiana" è un modo per confermare se stessi confermando il sistema, se il sistema vuoi cambiare non devi combatterlo, combatterlo significa fornirgli materiale, bisogna masticarlo e sputarlo, inglobarlo e modificarlo in un processo dialettico, GLBT o LGBT non sono che palliativi, contentini per tenere buoni i figli migliori e per questo meno accettati della nostra società (perchè dico migliori? perchè essere lgbt o etero problematici come lo sono io significa non fare le cose perchè "così vanno le cose, così son sempre andate" ma nuotare controcorrente per contin uare a cercare e a sperimentare) l'accettazione della categoria nega l'accettazione dell'individuo.
La nascita del movimento LGBT, e di tutte le sue componenti, è la parte di un processo. Non è una meta, ma una struttura necessaria a conseguire dei risultati ulteriori.
Ci sono, effettivamente, all'interno del movimento, persone che inseguono fortini dorati in cui autoilludersi di isolarsi. Ci sono, ma sono pochi, credo sempre meno.
Credo invece si stia diffondendo questa consapevolezza, che l'autodeterminazione, l'urlare la propria esistenza ("io esisto e sono diverso da te, le tue regole non sono le mie, io sono gay/lesbica/bisessuale/transessuale/transgender/*" --> da qui nascono i movimenti di gay e lesbiche) sia la prima parte di un processo di mutamento della società.
Senza questo primo passaggio, sarebbe però temo impossibile un qualsiasi altro mutamento. Senza questo primo passaggio tutto sarebbe ricondotto alla norma dominante, che è quella eterosessuale. Se non affermi prima la tua identità, ossia la tua diversità, ossia la tua estraneità, non puoi cortocircuitare la norma fino a renderla ridicola, inutile, fino a superarla e a condurla nsturalmente alla molteplicità.
Lo stesso processo storico dei movimenti gay e lesbici, dagli anni '60 e '70 (non a caso in contemporanea con il femminismo storico e con il movimento per i diritti delle minoranze etniche) si è amplificato. Una prima fase si è conclusa, e non è un caso che ora si ragioni in logica 'queer', appunto. Se però non ci fosse stato un processo di riaffermazione, ogni singolo sarebbe rimasto schiacciato impotente nel suo isolamento - e nulla sarebbe cambiato, se non il ripetersi della sofferenza individuale.
(...) è ovvio che a livello di diritti non si può negare ad un gay di fare il maestro o l'allenatore di una squadra di pulcini, ma finchè non verrà chiarito "filosoficamente" e pragmaticamente il legame fra omosessualità e pedofilia, nessun genitore sarà tranquillo nell'affidare il proprio figlio ad un educatore gay (a maggior ragione ad un prete).
Ci sono riserve sul fatto che un eterosessuale possa insegnare in università con classi composte anche da donne?
No, non ce ne sono. Eppure alcuni eterosessuali violentano le donne.
Ci sono riserve sul fatto che un eterosessuale possa insegnare in una scuola elementare?
No, non ce ne sono. Eppure alcuni eterosessuali violentano le bambine.
Ci sono riserve sul fatto che un 'gay' possa insegnare in una scuola elementare?
Si, qualcuno li ha.
Non c'è nessuno studio o analisi che possa infrangere quelli che sono
soltanto e solo pregiudizi di altro tipo.
Hai mai posto il problema di chiarire "filosoficamente e praticamente" il legame tra eterosessualità e violenza sulle donne
in relazione alla possibilità o meno che gli uomini eterosessuali insegnino in università? (O siano padroni in una fabbrica, o anche solo deambulino in un luogo in cui siano presenti donne?). No, non lo credo.
Eppure il fatto che eventualmente forse
un omosessuale sia associato eventualmente alla pedofilia ti spinge a voler chiarire "filosoficamente e praticamente" lo statuto dell'intero insieme - quello degli omosessuali.
Piuttosto che discutere del pregiudizio, proviamo a discutere delle ragioni per cui si instaura quel pregiudizio...