Il termine cannibalismo è utilizzato per definire il comportamento di tutte quelle speci che si cibano di con simili.
Si possono distinguere diverse tipologie di cannibalismo: il cannibalismo guerriero, perpetrato ad danni dei vinti in guerra ( spesso la testa diviene un feticcio); il cannibalismo religioso, in cui il corpo delle vittime viene consumato in un pasto rituale( in questo caso può trattarsi di persone già morte, e si parla allora di necrofagia) o di vittime sacrificali. Si consumano in genere visceri, cuore e cervello); cannibalismo per indigenza ( la consumazione è circoscritta alle parti muscolari); cannibalismo per condanna ( allo smembramento pubblico segue la consumazione del corpo del reo); cannibalismo culinario ( tipico di popoli poveri e circoscritto); cannibalismo per vendetta ( si riscontra in popolazioni con un forte culto della vendetta e viene agito in genere da soggetti devianti. L’uccisione prevede smembramento); cannibalismo psicopatologico ( è agito da persone devianti, spesso in forma seriale. La matrice è in genere sessuale e relazionale. I soggetti, incapaci di rapportarsi con il sesso desiderato, uccidono e divorano le parti desiderate compiendo spesso atti sessuali sul cadavere).
Ma quali sono le sue radici?
In termini psicoanalitici mangiare un proprio simile significa possederlo affettivamente. La dinamica è riconducibile alla fase sadico-orale, in cui il bimbo conosce il mondo attraverso la bocca e ricerca l’appagamento incorporando l’oggetto parziale seno. Nel cannibalismo psicopatologico, questa dinamica si associa ad inabilità relazionale che dischiude l’incorporarzione dell’altro come unica possibilità di possesso affettivo. Il cannibalismo psicopatologico è in altre parole molto vicino al cannibalismo sessuale, una pratica che si può osservare in alcune specie animali i quali si mangiano, letteralemente parlando, il proprio partner durante o dopo la copula, ma chiama in causa la dimensione simbolica.
Amore e potere sfumano l’uno nell’altro, non a caso abbiamo parlato di “possesso affettivo”. Negli atti di cannibalismo è presente il desiderio di esprimere potere sulla vittima. Eisterebbero quindi anche forti sentimenti di ostilità e paura che condurrebbero l’antropofago a cercare vendetta contro gli altri per rafforzare la sua posizione di potere.
Da quanto osservato emerge come ciò che si manifesta nel cannibalismo psicopatologica sia anche presente nelle forme culturali di cannibalismo citate sopra. Anche nel cannibalismo religioso e in quello guerriero ad esempio, per ragioni differenti, si desidera assimilare una qualità della vittima ed il pasto è quindi un veicolo di possesso. Ma c’è una profonda differenza. In questi due casi la pratica è ratificata dalla società e agita secondo certe regole, mentre negli altri casi è agita sulla base di un bisogno privato di tipo compulsivo. La maggioranza degli psicologi coincide sul fatto che queste pratiche sono il risultato di un trauma infantile che sfocia in frustrazione e aggressività. Insomma, il pasto cannibale sarebbe un atto simbolico, che coinvolgerebbe attraverso le vittime figure molto vicine a loro, e che a causa dei legami sentimentali molto stretti non possono divenire vittime dirette.
Quest’idea implica che l’antropofago molte volte ricorre alla reificazione per poter commettere i sui crimini, e cioè che cerca di eliminare dalle persone le loro caratteristiche umane per poterle considerare come degli oggetti, in questo modo non gli è difficile commettere i sui crimini e si sente libero dai sensi di colpa. Tuttavia, esiste una piccola percentuale di casi che non si spiega con la teoria dei traumi infantili, ed allora soltanto la spiegazione in chiave sessuale resta efficace: il cannibalismo sarebbe il massimo livello di sadismo e una miscela di sadismo e necrofilia. L’origine in ogni caso resta da ricercare nella fase sadico-orale.
Quanto ci terrorizzano queste pratiche?
Eppure la dinamica psicologica che le sostiene non ci è estranea, ed è soltanto una recente trasformazione culturale ad averle escluse dal nostro modo rendendole tabù.
Cosa ha reso il cannibalismo un tabù? Forse il timore di diventare il pasto di qualcun altro? Le diverse forme di cannibalismo, vi fanno lo stesso effetto o le valutate diversamente? Perché la cultura ha quasi sempre seguito un percorso che l'ha portata a condannare e a rendere tbù il cannibalismo? Perché poi alcuni individui deviano da tale percorso trasformandosi in cacciatori di altri uomini?