La Principessa con il Buco nel Cuore
C’era una volta,
una Principessa che aveva un Buco nel Cuore.
A dire il vero, non l’aveva sempre avuto . Ci fu un tempo in cui il suo petto florido e intonso, le concedeva il lusso di generose scollature. Ciò accadeva prima del nostro c’era una volta….. cioè prima dell’inizio delle favole, un tempo che non mi è dato di raccontare.
So soltanto quello che di lei dicono i curiosi che la vedono passare coprendosi vergognosa il petto lungo i sentieri ventosi del paese delle fiabe. Raccontano di un castello di pietra grigio fumo sulla cima di un monte e di un Re Padre dedito più alla giocoleria che all’arte della guerra. Raccontano che egli poteva sembrare più Giullare che Re e che questa fosse la cosa che più gli piaceva. Indossando vesti buffe e campanelli, visitava i suoi possedimenti riscuotendo, come dovuto tributo, lo scherzo e la risata. Di questo era ricco il Re e pieno il suo castello. La sera, quando il maniero serrava le sue entrate come occhi in cerca di sonno, il Re Padre Giullare prendeva sulle ginocchia la Principessa con il Buco nel Cuore e le raccontava di passate guerre, quando a cavallo del suo cane aveva conquistato il Regno delle Pannocchie. La Principessa affondava il viso nella barba immaginando le eroiche imprese del Re Padre, impegnato in campagne militari a suon di palle di neve e cerbottane. La Regina Madre sospirava per tutto questo. A dire il vero, sospirava sempre. Nessuno a corte sapeva perché, ma era il suono che emetteva più di frequente. Nulla contro tale disturbo poterono i medici di corte con i loro salassi, né qualcosa poterono le sagge erbe dei campi. Così tutti si abituarono a quello sbuffo di sottofondo come ad un suono familiare. La Regina Madre Sospiro a differenza del Re Giullare doveva sempre impegnarsi in ruoli ben definiti. Era l’unica nel castello, ma non poteva esimersi dal farlo per necessità interna. Talvolta, così facendo, finiva per essere più buffa del Re stesso, ma purtroppo a sua insaputa.
Comunque sia, come le pietre del castello, anche la corte stava insieme, unita nel colore giallo e ballerino delle fiaccole appese alle pareti, mentre fuori le nebbie salivano e scendevano lungo il dorso del colle
Venne purtroppo, come in tutte le storie di castelli, anche il tempo della guerra vera. Il Re che aveva gloriosamente combattuto a palle di neve nemmeno immaginava il suono di un cannone. Qualcuno una volta gliene aveva parlato, invitandolo ad industriarsi per fronteggiare la possibilità di un simile attacco, ma lui stava facendo ridere una cameriera lanciando in volo bolle di sapone e non ci fece caso. Arrivò Guerra con tutti i suoi cannoni ed il Re non era preparato. Guerra conquistava per vocazione. Era nera in viso e viveva intaccando i regni degli altri. In questo consisteva il suo impero. Essa sostava in loro, li consumava e quando le terre intere diventavano vuote e secche passava ad altre, da insaziabile e maligna. Così venne la volta del Re Pagliaccio, colpito in pieno petto da un colpo di cannone. Soltanto per un secondo si vide il Re ferito, alcuni nemmeno riuscirono a vederlo poiché l’impatto lo frantumò. Per la Principessa e la sua Regina egli esplose in forma di coriandoli in un ultimo scherzo. Nessuna delle due rise però. La Regina non era abituata e non poteva certo imparare cose nuove, con tutte le impellenti necessità gestionale che imponeva una corte in guerra. La Principessa non poté, perche venne anch’essa colpita di rimbalzo in pieno petto dalla palla di cannone lanciata dalla Signora Guerra Viso Nero. La Principessa non esplose, rimase intera e viva, anche se reclinando la testa poteva vedere attraverso quel buco rotondo le mura del castello alle sue spalle. La Regina si mise le mani nei capelli “Dovrò farle cucire nuovi vestiti, in modo che il buco non si veda!” e corse ad avvisare le sarte del castello. Poco importava che intorno fischiassero le cannonate, questa restava pur sempre una necessità che il suo ruolo rendeva non posponi bile ad altre. Così tra i botti della Signora Guerra e chiacchierio degli arcolai, il Regno delle Pannocchie divenne il Regno dell’Assurdo. Tutti agivano e nessuno sapeva perché, tanto più che il castello crollava e tutto avvenne in un solo secondo. La Principessa che aveva capito il segreto del cannone avendolo scolpito nel petto, decise di partire. Non le importavano di nuove vesti che coprissero quello strano foro circolare. Se ne andò così com’era, lasciandosi alle spalle guerre ed arcolai.
Passo passo, si accorse che il buco nel cuore le teneva compagnia, poiché il vento passando attraverso ad esso produceva melodie sempre diverse. La Principessa le ascoltava socchiudendo gli occhi. Sempre camminando, scoprì che le terre e le genti sono pressoché infinite. Ogni posto era diverso.
C’erano villaggi piccoli e colorati, con abitanti piccoli e colorati circondati da acque ampie che assaggiate sapevano di sale. C’erano paesi grigi, abitanti da persone grigie che correvano e correvano. Se gli chiedevi perché, nemmeno lo sapevano. C’erano città grandi, distese su dolci colline dove la gente indugiava nel vino e sorrideva , salvo poi non ricordare più nemmeno il proprio nome.
In nessuno di questi luoghi la Principessa trovò un buon motivo per fermarsi, ma da tutti ricavò lodi e pagnotte per la sua musica. “Se sapessero che questa musica non è che l’eco di una cannonata ripetuto dal vento”, pensò un giorno mentre addentava l’ennesima pagnotta ricevuta“ Starei meglio senza questo buco rotondo, anche se forse, a quanto pare, mi ha reso qualcuno”. Si scrollo le briciole dal vestito “Si.. ma mi ha resa chi? Ascoltando troppo le lodi di chi non può conoscermi, essendo ormai io venuta pellegrina, potrei confondermi, tanto più che ho un buco nel cuore in cui può stare dentro di tutto”. Riprese a camminare “Certamente sono ormai diversa da loro. Tanto vale viva di conseguenza e faccia di questa musica un arte”.
Fu così, passin passetto che la Principessa giunse un giorno di fronte ad una taverna solitaria, spuntata come un fungo lungo le sponde di uno stagno. Il sul tetto era rosso e la porta spalancata, come una bocca stupita. Ne uscivano fumi, risate ubriache e suon di stoviglie. Dalle finestre blandamente illuminate e luride, si intuiva del profilo dei commensali soltanto il naso rosso ciliegia. Ma la Principessa amava la musica, e per questo riuscì a distinguere al di sotto di quello sguaiato cianciare un timido stormo di note in volo, note d’acqua che si allargavano piano come cerchi in uno stagno. La Principessa intuì le dita e comprese le corde. Vide socchiudendo gli occhi i loro movimenti gentili, il loro pallore ed insieme la decisone del loro tocco. Senza bisogno alcuno d’aprire gli occhi, semplicemente seguendo il sentiero di quelle note giunse di fronte al musico misterioso. Era rintanato in un angolo della taverna, avvolto e non toccato né dal fumo né dalla luce. La sua fronte era ampia come la luna, i suoi occhi neri come topolini che si nascondevano squittendo nella parete di vetro degli occhiali. “Nero infinito” penso la Principessa “nero e fiamma, come in guerra e come accade la notte”. Quegli occhi seguivano corde che parlavano d’altro, dicendo così di sé soltanto il silenzio e l’attesa.
Capelli morbidi di bambino li celavano a tratti, come si fa con un tesoro che non è bene che chiunque rubi.
Smisero le note e si alzarono gli occhi cadendo gli uni negli altri. E si ritrovarono insieme in una nicchia, in una pancia, in una bolla. Intorno scorrevano i fumi e le voci, ma non al suoi interno. Lui non disse nulla perché era Musico, la Principessa avvezza alla strada ed educata alla giocoliera lo intrattenne con un curioso numero circense. Lui rise. “ Non sai parlare, ma sai suonare e ridere” gli disse lei, lasciando cadere la palla colorata che stava facendosi roteare come una trottola sul naso.
Lui le prese la mano e lei capì che il Musico Muto sapeva molte cose. Cadde l’amore con la notte, e caddero insieme un uomo ed una donna, sotto il salice quel giorno.
Impossibile era intuire allora, il mistero che si nascondeva nel vento e melmoso nello stagno. Forse già da allora la creatura del profondo attendeva, schiumano nelle acque limacciose la sua saliva di inchiostro.
Ma ancora non era tempo. Il giorno raccolse e sollevo gli amanti caduti. Il Musico raccolse una manciata di fiori selvatici e li sistemò nel Buco che la Principessa aveva nel cuore. Li spinse nel foro, spingendo con forza contro le sue pareti di carne. La Principessa per la prima volta sanguinò ma il dolore le fece riconoscere nel suo petto un prato fiorito. “Sono la primavera disse” e fece una giravolta. Lui la guardo sorridendo ed iniziò a suonare. La Principessa con la Primavera nel cuore lo seguì certa che, anche se fosse sopraggiunto il vento, il Musico avrebbe colmato di altri fiori il suo cuore.
L’orizzonte dischiuse di fronte a loro tutte le strade del mondo. Entrambi non avevano scarpe e sentirono nella carne tutti i ciottoli, tutto il fango e tutta la polvere. “Polvere sei e polvere tornerai… perché la fine non arriva mai!” cantava la Principessa Primavera sulle note del Musico, danzando lungo i sentieri delle favole. Insieme visitarono città e paesi lontani. Strana la gente e strani loro, ogni giorno diversi. In ogni piazza dilettavano i curiosi con i loro spettacoli e così vivevano, nel vento come petali di ciliegio. “Com’è ricco il mondo… siamo ricchi anche noi” … parlava e parlava la Principessa Primavera mentre il Musico affondava nel vino guadagnato. Esisteva con tutta la sua persona e questo permetteva all’inutile chiasso di lei di scivolare nel suo silenzio. Labbra e gambe… allacciate in infiniti nodi. Amare è come ansimare.
Camminando e cadendo con l’amore ogni notte, raccolti dal sole ad ogni alba il Musico e la Principessa Primavera impararono l’uno dall’altro.
Passarono così molti secoli ed il tempo è spietato come la tortura della ruota. Accadde così che i passi riportarono Musico e Principessa Primavera sulle sponde dello Stagno della Prima notte.
Si adagiarono insieme nel baldacchino ritagliato nel buio dalle foglie di salice. Il Musico per primo si accorse che il salice piangeva. Suonò per l’albero triste ma invano. Musico Occhi Neri allora si voltò e chiese parole alla Principessa, perché per la prima volta non sapeva come fare. Allora lei si rialzò dal baldacchino, per la prima volta senza essere stata amata e poi raccolta dal sole. La Principessa parlò e parlò al salice. Invano! Il Musico divenne triste e si allontanò dalla Principessa per adagiarsi sulla riva dello Stagno. In quello specchio torbido e deformante vide il suo volto piangere. La prima lacrima persa cadde nell’acqua, la seconda disegnò in essa un cerchio, la terza ne ruppe la superficie purulenta. Il principe udì allora una voce dal profondo dello stagno. Era una voce di vetro, sottile, non umana. La voce di vetro ripeteva i suoi pensieri . Il Musico che mai e mai era riuscito a pronunciarli credé fosse la sua voce.
La Principessa vide e corse inciampando nel vestito. “ Non è la tua voce Occhi Neri!.. la voce del pensiero appartiene come le note ad un solo strumento”. Il Musico si irritò con lei e le spostò il braccio con disgusto. Le fece notare lo strappo nella sua gonna che la corsa aveva aperto, ed i suoi piedi impolverati. “Polvere sei e polvere tornerai, perché la fine non arriva mai!” Provò ad intonare lei, ma lui ruppe per terra il violino. Non lo capiva! Aveva ritrovato la voce e lei gli chiedeva di suonare. Con uno scatto rabbioso ritornò sulla sponda. La voce vitrea si fece più forte, appuntita come il ghiaccio. Il Musico si inginocchiò per ascoltarla ancora meglio, benché non ce ne fosse bisogno (benché ne comprendeva il senso la Principessa rimasta molti passi indietro) . Lei “Non è la tua musica, lo stagno la riproduce perché l’ha ascoltata… ti vuole perché il suo ventre è vuoto, allontanati Occhi Neri”. Per il Musico incantato i richiami della Principessa non erano che uno stanco eco; “Non è rubando il suono di un altro strumento che troverai il tuo!”. Inutile, il Musico non la sentiva più rapito dall’incantesimo dello Stagno. Dalla superficie rotta la voce insisteva e chiamava. Il Musico non resistette e la sfiorò con il dito, innamorato dell’ascolto di quelle che credeva essere la sua voce. Fu allora che lo stagno si contrasse e ribollì. La superficie rotta andò in frantumi e dal ventre nero emerse la Creatura del Profondo. Il suo cranio era contratto dalla tensione delle fauci aperte. Da un labbro macerato all’altro penzolavano corde di saliva nera come inchiostro. La bava d’inferno annodava tra i loro denti contorti , ingemmandoli di bolle nere. La tensione del cranio espelleva occhi rotondi giallo uovo innervati da vene impetuose come torrenti. La Principessa urlò così forte che il suono disperse per intero, nell’aria blu della notte, i fiori che le riempivano il cuore. Esplosero anch’essi come fece il Re Padre Giullare e, come quella lontana volta, nessuno rise. Fu, come sempre, un secondo. La Creatura del Profondo serrò le sue fauci sul capo del Musico scuotendo le sue mammelle vuote di vecchia nell’ acqua arrossata di sangue. La testa del Musico giaceva squartata a brandelli nelle fauci che lo divoravano, ed in pezzi sprofondava sopra e sotto le acque melmose in tumulto. Tutto lo stagno divenne di sangue. Il suo odore riempì l’aria. La Creatura del Profondo spalancò la sua orrenda bocca, colma delle carni di Occhi Neri ed emettendo un grido di piacere si inabissò. La Principessa si lancio nello stagno di sangue come impazzita, ma nonostante volesse raggiungere il fondo dello stagno, il Buco che aveva nel Cuore la costringeva a galleggiare. Insanguinata e folle, la Principessa continuava a provare con tutta la forza dei sue reni. Ma lo stagno si richiuse e l’acqua ritornò del suo melmoso colore. La Principessa era senza respiro e si accorse che al suo posto erano affondate tutte le sue parole. Così, inzuppata di sangue e melma, si trascinò sulla riva e pianse. Poi guardò l’acqua che ora si fingeva di nuovo un semplice stagno. Pensò, senza più poterlo dire, che lo stagno non le avrebbe giocato lo stesso scherzo. Mai si sarebbe illusa di ritrovare le sue parole in quella voce di vetro.
Poi poggiò il mento sulle ginocchia nascondendosi dietro un muro di capelli bagnati. Sorrise lì sotto, perché pensò che magari il Musico poteva là sotto nel buio ritrovare le sue parole annegate.
Molti soli si alzarono per raccoglierla ma non ci riuscirono sebbene fosse diventata più leggera adesso, con il suo Buco nel cuore. Si alzo alla fine da sola, una volta che sentì che ogni cosa in lei era asciutta e riprese il cammino sebbene fosse così leggera che il vento decideva la sua strada, trascinandola con se come una foglia secca.
Non parlava ed il foro rotondo si era ormai allargato troppo per produrre musica. Il suo ventre ebbe fame, ma lei non lo ascoltava. I suoi piedi furono stanchi, ma lei non gli permise di riposare. I suoi occhi chiesero sonno e lei fece capire loro che non era ancora tempo. Per l’ennesima volta paesi e genti." Tutte uguali" pensò “le ho già viste tutte”. Ed ora che non aveva più musica ma solo un Buco Muto nel Cuore e vesti infangate, non c’era pane per lei. Pensò che aveva scoperto qualcosa della gente del mondo delle fiabe. Le venne voglia di ridere, ma non aveva voce.
Fu allora che il vento la strappò a quella strada per abbandonarla ai piedi di un vecchio albero.
Era il tramonto. La giornata insieme alla sua stagione non declinava l’invito del freddo. La Principessa con il Buco nel Cuore notò che l’alberò era cavo, e che il suo spazio bastava ad ospitarla. Così prestando molta attenzione a come si muoveva entrò nella cavità e cercò in essa il suo posto. Non lo trovò, ma la stanchezza era tanta che si appisolò comunque. Dormì e dormì. Dormì giorni, mesi forse anni. In un albero cavo il tempo scorre diversamente.
Dormì finche un respiro profondo e regolare non entrò nei suoi sogni. La Principessa con il Buco nel Cuore spalancò allora gli occhi spaventata. Vide nel buio due occhi gialli, grandi e rotondi che la guardavano con attenzione. Non poteva interrogare quella creatura nascosta nell’ombra perché non aveva più parole. Allora si protese in avanti per guardare meglio.
Vide allora un Piccolo Gufetto Occhialuto che al suo avvicinarsi sbatté le palpebre e si ritrasse indietro nell’ombra. “Un amico silenzioso” pensò la Principessa con il Buco nel Cuore e sorrise. Pensando che il Gufetto potesse avere fame usci dall’albero cavo per raccogliere qualche mora di bosco. Fu fortunata, le trovò subito. Mentre dormiva, accanto all’albero cavo era cresciuto un enorme rovo. I suoi rami erano carichi di more come le dita di una gran dama lo sono di anelli. Sollevò il vestito facendo della sua gonna una bisaccia che colmo di quei frutti. Poi rientrò nell’albero cavo. Il Gufetto gradì le more e anche lei ne mangiò. Questo accadde molte volte e con altri sapori. Accadde finche la Principessa con il Buco nel Cuore, osservando che la stagione si era fatta più mite, decise di partire. Salutò il Gufetto, ma non aveva mosso i primi passi che si volto sentendo uno zampettio. Il Gufetto era uscito e la guardava. “Potessimo parlarci capirei che vuoi” pensò lei. Il Gufetto allora si strappò una piuma, si avvicinò al rovo e la intinse in una mora matura. La Principessa con il Buco nel Cuore pensò che fosse impazzito a causa della luce del giorno a cui non era abituato e si avvicino a lui. Il Gufetto con un goffo volo si poggiò sul suo braccio e tenendo la piuma tra le zampe iniziò a scrivere.
“…..POSSO VENIRE ANCHE IO? VORREI VEDERE IL MONDO….“. La Principessa con il Buco nel Cuore non poteva rispondere con le parole e non sapeva scrivere. Allora sorrise. “Potremmo mangiare vendendo quello che scrivi ……….oltre alle more ovviamente” pensò. Avvicinò il braccio al foro che aveva nel petto in modo che il Gufetto potesse trovare un posto comodo e riparato in quelle ore di forte luce. Le sue unghie gli fecero un po’ male, ma decise di non farci caso e si incamminò lungo il primo sentiero che incontrò.
Non riportato per in rispetto delle leggi sui copiright nevrotici, ma intimamente amato il tentativo di continuazione di questo racconto ricevuto in dono
Novembre 2009