So che la teoria psicodinamica spiega il fenomeno attraverso il transfert, cioè quella condizione emotiva che caratterizza la relazione del paziente nei confronti dell’analista.
Freud conosceva già il problema, per averlo vissuto indirettamente attraverso l’esperienza di Breuer con Anna O. , oltre che su sé stesso: ritenne tuttavia che questi sentimenti dovessero essere considerati come ulteriori dati scientifici forniti dai pazienti, che andavano integrati e capiti dal terapeuta, allo scopo di facilitare il processo di guarigione del paziente.
Per Freud infatti, il transfert era un processo che permetteva al paziente di rivivere, e di far rivivere, antichi sentimenti sessualizzati, associati con la nevrosi originaria. In un certo senso essi funzionavano come una resistenza, dal momento che, durante l’analisi, questi prendevano il posto dei precedenti sintomi nevrotici, in una forma nuova e mascherata della nevrosi originaria.
Non sempre i sentimenti provati dal paziente nei confronti dell’analista sono di tipo romantico: spesso essi possono ricordare la relazione padre-figlio, dove il terapeuta assume un ruolo genitoriale nella mente del paziente, con il/la quale rivivere il rapporto, più o meno traumatico, dell’infanzia e dell’adolescenza.
Erich Fromm invece diceva che questo fenomeno dipendeva dalla normale attrazione che, di fronte alle difficoltà date da un cammino di individuazione, l’essere umano potesse sentirsi attratto da una figura onnipotente come quella del terapeuta, cui affidarsi e perfino sottomettersi.
Insomma perché sorgono questi amori durante la relazione terapeutica?