nextlife ha scritto:Io non pensavo al fraintendimento, pensavo –permettimi- a qualcosa di ben più pericoloso.
Per comodità, rendiamoci un attimo titolari impropri delle posizioni che esprimiamo:
La questione, che come tu saprai è sul tappeto da molto tempo, è che la psicoterapia non può più permettersi di afferrare l’individuo per i capelli e assoggettarlo ad uno specifico inquadramento teorico-pratico, tanto meno se autoreferenziale.
Poco importa se le resistenze che si incontrano sono precisamente il nemico da abbattere in un confronto senza fine; bisogna necessariamente adottare strategie orientate all’individuo, ai costi esistenziali (e in ciò inseriamo dentro tutto) che deve sostenere, che non è sbagliato pensare in un’ottica progressiva.
La psicoterapia ha anche bisogno di muoversi verso lidi scientifici, palpabili, verificabili, meta-critici e via dicendo.
A questi elementi si sommano i criteri diagnostici, i sistemi nosografici di riferimento (basti pensare cosa è successo al disturbo in questione, durante l’elaborazione del DSM V), che sebbene piuttosto condivisi, non sono affatto esenti da critiche, posizioni alternative e via discorrendo.
Perdona, ma voglio ribadirlo:
Quando si può, e spesso non si può, è auspicabile che all’individuo vengano fornite tutte le informazioni possibili, ben prima di scelte specifiche.
Se non vi è nessuna figura di riferimento (ecco perché parlavo dello psicologo di base) che possa aiutare l’individuo ad orientarsi, ecco allora che egli dovrà procedere con i propri mezzi.
Questo aspetto, questo approccio, può fare la differenza.
Come?
Cercare di capire chi e come è in grado di compiere valutazioni, diagnosi.
Cercare di comprendere quali sono gli approcci psicoterapeutici più indicati, quali le differenze tra essi, quali le implicazioni e via di questo passo.
Un percorso di questo tipo, spaventerà sicuramente una certa ortodossia, ma è difficile immaginarlo come negativo.
Ora sono io a capirti meglio e a comprendere la tua precendente risposta. Mi trovo pienamente d'accordo con te quando sottolinei la necessaria simmetricità del rapporto terapeutico e la necessità di rigore scientifico in campo psicologico. Mi discosto dall'idea di resistenza come qualcosa da abbattere invece. Certamente lo scopo di una terapia è penetrare oltre la resistenza, ma per mia esperienza ciò avviene solo sfruttando la resistenza stessa. Ma qui mi dilungherei troppo e non voglio annoiarti. Piuttosto, è interessante la tua osservazione circa la necessità di una figura che orienti il paziente. Effettivamente spesso le persone scelgono la terapia in base a criteri extraterapeutici ( costa poco, è vicino a casa...) oppure ricercando l'efficacia maggiore nel minor tempo possibile. Purtroppo non per ogni disturbo vale la stessa cura, e non sempre si possono promettere tempi brevi. Sarebbe bello che esistesse questa figura, ma non riesco ad immaginarne i contorni professionali.
Yale ha scritto: victorinox ha scritto:Ritengo che molti di noi, come te, potrebbero adottare un punto di vista interno al problema, ovvero che quasi tutti abbiamo tratti narcisistici anche fortemente marcati, ma che in pochi lo facciano per mancanza di consapevolezza.
Cominciamo con il falsificare le tue teorie strampalate: è falso che quasi tutti noi abbiamo un tratto narcisistico.
Carissima Yale, io non ho teorie e nemmeno certezze. In qualsiasi campo, e a maggior ragione quando è in gioco l'essere umano, ritengo disonesto millantare il fatto di possederne. Non ho la presunzione di asserire che qualcosa sia vero o che qualcos'altro sia falso in assoluto e mi stupisco ogni volta che incontro qualcuno che ha un atteggiamento differente, che lo porta ad asserire con sicurezza che le cose sono in un modo solo. Ti chiedo cosa, pertanto, alimenti in te la certezza sufficiente ad asserire che un'ipotesi altrui è assolutamente falsa.
Intanto preciso meglio cosa intendevo. In primo luogo mi riferivo al narcisismo primario, una tappa evolutiva dell'essere umano secondo la psicoanalisi freudiana ( ti lascio un link di riferimento per abbreviare il mio scritto http://psichepedia.it/psicologia-dinamica/article/psicologia/approcci-teorici/56-psicologia-dinamica/298-psicoanalisi-pulsioni-e-narcisismo.html ). In secondo luogo mi riferisco ad una mia ipotesi personale su cui mi piacerebbe discutere, e cioè che ci sia fra ogni epoca ed un certo "disturbo" una correlazione : come nell'epoca in cui nacque la psicoanalisi l'esteria era ampiamente diffusa in ambiente borghese, oggi nell'epoca del Grande Fratello, di Facebook e dell'ostentazione di se certi i tratti narcisistici della personalità siano nutriti, incentivati e potenziati. Ti lascio un bellissimo articolo di Secondo Giacobbi, una personalità della psicoanalisi italiana ed un personaggio a cui sono molto legato, che esprime la sua opinioni in merito con un abilità che io non saprei avere.
http://www.praticapsicoterapeutica.com/rivista.asp?IDA=48 victorinox ha scritto:
Ogni volta che rompi un rapporto terapeutico, è perchè in quel momento è venuto un nodo al pettine. Ma il problema sono i nodi. Il narcisismo è un nodo. Fai bene a partire da lì nell'interrogarti sul tuo vissuto e sulla tua esperienza terapeutica. Tornando ai nodi, se il pettine si è inceppato dipende dalla mano che pettina e dai capelli. La mano che pettina è la coppia terapeutica. I capelli la resistenza. Ogni problema si auto protegge perchè costituisce uno schema interpretativo del reale e ogni volta che ne smantelliamo una, per un certo lasso di tempo stiamo peggio e non meglio, perchè dobbiamo ristrutturarci.
A prescindere dal terapeuta ( che può essere abile o poco abile, affine o non affine, essendo umano a sua volta) devi permanere nella coppia terapeutica durante la rottura, devi portare la rottura nella terapia. Questo a livello concreto significa non abbandonarla, o abbandonarla e tornare. Ho visto porte sbattute tanto da staccarne lo stipite e persone ritornare dopo qualche mese. Rompere la porta è stato utile..
Seconda affermazione assolutamente inesatta: il rapporto terapeutico difficilmente si rompe perché è venuto, come lo chiami tu, un nodo al pettine.
Senza contare che stai dando per vera una potenziale fantasia di chi scrive: il comportamento di questo ipotetico terapeuta è alquanto strano, non trovi?
Tutte queste metafore poi...
Qui stai commettendo l'errore di completare il mio pensiero con tue conclusioni. Non ho detto che la terapia si rompe sempre perchè i nodi vengono al pettine. Ho detto che si rompe perchè i nodi vengono al pettine in casi come questo, cioè quando il paziente abbandona una terapia in corso per un diverbio, un fraintendimento et similia. Credevo superfluo sottolineare che le ragioni dell'interruzione di una terapia sono molteplici, e che tra di esse figura lo scioglimento del rapporto terapeutico per l'avvenuta risoluzione del conflitto.
Sperando che non mi vengano attribuiti nuovamente altri pensieri non miei a causa di una lettura frettolosa, e di essermi prodigato in spiegazioni sufficienti ad evitare questo rischio, cerco ora di precisarti il modo in cui ritengo la fantasia altrui vada trattata. Ritengo ( come persona e come addetto al settore, senza alcuna presunzione di avere la verità in mano) che la differenza tra realtà e fantasia abbia un significato diverso a livello psichico. Forse ricordi l'ipotesi del trauma reale, inizialmente utilizzata per spiegare l'isteria. Poi si capì che la seduzione parentale a volte non era realmente avvenuta, ma che era solo stata fantasticata e che nonostante questo produceva gli stessi effetti di un trauma reale. Ciò accadeva perchè una fantasia può essere assolutamente reale a livello psichico. Questa è la ragione per cui tratto con rispetto le altrui fantasie e cerco di esplorarle, rinunciando a porre tra le mie priorità l'effettiva consistenza fattuale degli eventi. Per capire cosa succede ad una persona non è questo l'aspetto significativo. Ciò non significa assecondare un delirio. Lo preciso perchè vedendo l'andazzo, mi sento a rischio di nuove attribuzioni. Significa penetrare in uno schema attraverso le sue porte, e conducendo gradualmente la persona ad una visione differente.
Si tratta di un percorso legato ad un certo approccio terapeutico e non ad altri. Ciò è possibile in una psicoanalisi ad esempio.
Mi sembra che tu faccia riferimento ad altri approcci e che forse alcuni miei riferimenti vengano da te fraintesi per questo. Poco male. Sono molto incuriosito da punti di vista differenti. L'insieme dei vari punti di vista può aiutarci a capire meglio il problema. La lotta tra essi invece è inutile e inconcludente.
victorinox ha scritto:Il confronto con l'utente Yale qui, preparata ma di certo non morbida e accondiscendente nel relazionarsi a te, ha palesato una dinamica per certi versi equiparabile.
Riguardo alla manipolazione del terapeuta, è un rischio forte con pazienti narcisisti per due motivi: la loro intelligenza e la percezione che hanno di se stessi. La prima eventualità espone il terapeuta al rischio della fascinazione, la seconda espone il paziente al rischio della mistificazione della realtà. Riguardo alla prima eventualità, non dimenticare che ogni
psicoanalista ha condotto un'analisi didatta che lo mette in grado di riconoscere in se il riverbero dell'analisi condivisa dal paziente. Ogni terapia è anche una sua terapia, una vostra terapia. Quindi non temere l'umanità altrui purchè questa sia accompagnata da onestà professionale. Riguardo alla seconda eventualità, essa comporta il rischio che tu
ritenga a torto di manipolare il terapeuta. Tieni presente che il narcisismo implica proprio la difficoltà di riconoscere gli altri con qualcosa di differente dalla nostra fantasia di loro e che questa fantasia è congegnata per sostenere un se grandioso. Quale fantasia è più consona di quella di un terapeuta manipolato? Il primo modo di rompere questa prigione di fantasie che sta inaridendo la tua vita è iniziare ad ascoltare le parole sgradite degli altri.
Per qualsiasi cosa chiedi pure.
Non ho nessuna risposta in mano ma mi fa piacere parlare con te.
I narcisisti sono intelligenti? Lo dici perché sono abili manipolatori?
E perché parli di psicoanalisti? Non esistono solo quelli e addirittura mi pare che la ragazza in questione abbia parlato di terapia cognitivo-comportamentale.
Non c'è nessun rischio che lei ritenga a torto di manipolare il terapeuta: il narcisista fa il suo mestiere.
Infine...il confronto con me ha palesato una dinamica tipica, la tua accondiscendenza ne paleserà eventualmente un'altra: Mondogiocoso ti risponderà ringraziandoti e dicendoti che finalmente qualcuno la capisce, tu ti sentirai lusingato e via al tango del rispecchiamento.
Questo sempre che si stia davvero parlando di un disturbo narcisistico vero.
Altro completamento del mio pensiero. No, non intendo dire che i narcisisti sono intelligenti perchè manipolatori, e infatti non l'ho detto. Anche le attribuzioni sono insidiose quanto i rispecchiamenti Yale.
I narcisisti manipolano per complessione. L'intelligenza di cui sono spesso dotati può aiutarli in tale pratica, ma è un aspetto assolutamente indipendente.
Yale ha scritto: victorinox ha scritto:
Condivido pienamente, e non a caso ho specificato nel proseguo del post l'iter di formazione compiuto da uno psicoanalista. È il secondo il rischio che si corre più di frequente.
Vedo che hai notato l'uso da parte mia del termine psicoanalista. Non è dovuto ad un fraintendimento come tu hai immaginati, ma al fotto che ritengo questo tipo di terapeuta il più adatto alla cura delle nevrosi narcisistiche di personalità. Non solo, il termine psicoanalista, e non psicanalista, fa riferimento ad un'impostazione Freudiana che ritengo la migliore per la sua capacità di ridurre tutto ai minimi termini.Spero di aver appianato l'equivoco .
Ops...vedo che qualcun altro ti aveva già fatto notare di aver parlato di psicoanalisi.
E vedo che hai tentato di motivarlo sostenendo che si trattava di un atto voluto: ebbene, sono curiosa, sulla base di cosa ritieni l'impostazione freudiana la migliore? Dire "
per la sua capacità di ridurre tutto ai minimi termini" è alquanto generico.
Anche in questo caso avverto una forzatura di quanto da me scritto nella tua interpretazione. Non ho detto che è il migliore in assoluto, ma relativamente alle nevrosi, tra cui quelle narcisistiche. Te ne spiego subito il motivo. Questi disturbi sono caratterizzati dal fatto di mascherare il problema reale legato alla sfera degli affetti dietro una serie di travestimenti, anche molto raffinati, di stampo intellettualizzante. La psicoanalisi Freudiana ha la capacità di decostruire tali sovrastrutture perchè il suo riferimento è lo schema pulsionale.Ogni sovrastruttura viene ricondotta ad una struttura, di tipo pulsionale secondo un percorso analitico di decostruzione.
Un'analisi Lacaniana sarebbe meno efficace perchè centrata su una gestione differente della parola.
Una terapia che non miri al profondo sarebbe altrettanto inefficace ma per motivi diversi: il narcisista si sa gestire nel suo quotidiano sufficientemente bene o addirittura bene, non ha bisogno di essere contenuto, i suoi problemi sono radicati nella sua struttura di personalità e risultano resistenti a livello di superficie.
Penso sia chiaro che io parlo da un certo punto di vista ( l'origine affettiva della nevrosi narcisistica ad esempio non è condivisa in modo univoco da ogni approccio) che sono certo saprai riconoscere. Da altri punti di vista tutto può apparire differente, e ribadisco il mio interesse a conoscerli.