FragolinaBoumBum ha scritto:
Mah, continui a ripetere che sono state infrante delle regole non volontariamente e si è ottenuto un effetto dissonante che disturba lo spettatore. Beh, in musica si diceva come le dissonanze, le sonorità inaspettate siano quel quid che rende unico e ti fa amare un brano.
quelle volute; le bum notes e le stecche no;
Non vedo perchè in un film non debba valere lo stesso concetto.
appunto, non vale;
E poi, secondo lo schema di narrazione di cui parli, mi viene subito in mente Almodovar i cui film sono pieni zeppi di incontri inverosimilmente casuali in situazioni assurde.
ma lì quella cifra è omogenea, intesa, fa parte dell'impianto mélo di Almodovar;
Il fatto che la ferilli sia una spogliarellista cinquantenne è già inusuale, che sia figlia di un ex nonricordocosa diventato tenutario di nightclub ed eroinomane in tarda età è inusualissimo perchè volevi a tutti i costi una dinamica di incontri usuale?
non è che voglio a tutti i costi e se leggi attentamente l'ho spiegato, ma forse ti annoia:
quando ricorri a soluzioni eccentriche o malcentrate, che catturano l'attenzione sul dettaglio, hai un'interruzione del flusso emotivo;
il punto è che comunque quel personaggio sembra - come altri - un deus-ex-machina, mostra lo scheletro concettuale della necessità del regista, e perciò suona falso, palesemente asservito, manca di autonomia drammatica e disturba;
Andando a cercare quale fosse il lavoro del padre di Ramona mi sono imbattuta in una critica lunghissima ma molto attenta e condivisibile dove si trova una risposta molto calzante alle tue obiezioni sulle scelte narrative
La grande bellezza si serve di due espedienti particolarmente efficaci: anzitutto la composizione per ellissi, che elimina dalla scena le spiegazioni d’intreccio (come ha fatto Jep a diventare così ricco e potente?), o le situazioni di pathos eclatante (per esempio la mancata paternità, o la morte di Ramona), e disarticola il racconto, eliminando spesso i raccordi, e procurando da un lato l’idea della ripetizione e dello sperpero quotidiano che disturba continuamente la vita; e, dall’altro lato, l’effetto della memoria che lavora sotto la coscienza di superficie (per esempio il ricordo della prima volta con Elisa, spezzato e recuperato in due scene diverse e distanti). L’altra soluzione attraverso cui è resa questa esistenza inattiva, fatta di confusione perpetua tra interno ed esterno, passato e presente, è forse uno dei tratti più forti del cinema di Sorrentino: la saturazione visiva del racconto, intesa non come affermazione prepotente e drammatica dello sguardo soggettivo ma, al contrario, come forma di narrazione della catastrofe in una prospettiva antiromantica e antiromanzesca, cioè senza sviscerarne le cause, ma presentandone le manifestazioni.
giustissimo, se avesse coerentemente chiuso il film con la stessa impostazione; che a me infatti - a parte quelle scelte narrative appiccicaticce - è piaciuta;
il punto è che invece, per non lasciare il film alla lettura aperta prefigurata da quello stile, in cui lo spettatore medio poteva facilmente perdersi, S. ha organizzato un recupero di modalità ordinaria nella forma peggiore, ossia facendo declamare ai personaggi quel senso del film che si sarebbe dovuto evincere dal film stesso;
un regista narra per immagini, storia, dialoghi, e con quegli ingredienti deve suggerire una poetica; se poi è costretto a far enunciare ai suoi personaggi in modo esplicito la o le "tesi", vuol dire che c'è qualcosa che non va;
ma non lo dico io, eh; si impara alla prima lezione di cinematografia in tutte le accademie del mondo.