NinfaEco ha scritto:La terapia è un percorso personale molto lungo. Questo percorso implica fatica da parte di chi lo intraprende. Nulla di ciò che compete il suo malessere è delegato ad altri. La persona ha per intero la responsabilità di se stessa. Nessuno sbocco è garantito. Il punto d'arriva, anche se era implicito nella richiesta di una terapia, appare sempre come un che di inaspettato.
Lo psicofarmaco invece è un medicinale, che per produrre effetti richiede tempo ma che si configura come la risposta immediata ad un bisogno. Laddove la terapia implica la capacità o la volontà di maturare la capacità di tollerare la frustrazione e differire l'appagamento, il farmaco costituisce l'illusione della possibilità di una risposta magica, che tutto risolva in formato pocket.
Se la sofferenza fosse sangue lo psicofarmaco sarebbe un tampone, mentre la terapia sarebbe il suo fluire. Non un fluire libero, tumultuoso, emorragico ma gestito e "controllato". Le ferite si rimarginano naturalmente proprio attraverso lo scorrere del sangue che ripulisce la lacerazione, rallenta pian piano ed infine la sigilla.
Quanto è utile quindi tamponare una ferita a prescindere da ciò che contiene? Ciò che decide l'evolversi di una lacerazione verso la cancrena o verso il suo rimarginarsi, è anche il suo contenuto.
Può curare una farmaco? Il farmaco può essere terapeuto visto e considerato che si basa sul principio della delega ad altro di ciò che è nostra responsabilità?
Io sono contraria al loro utilizzo, che invece vedo essere prassi comune, eccezion fatta per psicotici gravi che non possono contare su altre risorse. Ritengo che lo psicofarmaco non solo non risolva i problemi, ma ne crei anche se somministrato sotto controllo medico.
Ma siccome è una posizione discutibile la mia, discutiamone.
Io sono stata due volte in terapia. La prima volta 18 anni fa, a vent'anni. Ci sono stata per 4 anni e mezzo.
La seconda volta 3 anni fa, quando ho scoperto la doppia vita di mio marito. Durata della terapia: 2 anni circa, fino alla mia separazione.
Qualche mese fa, per la prima volta, ho assunto un blando antidepressivo, che ho lasciato dopo qualche mese e mi ha aiutato a stare meglio in un momento in cui piangevo perfino al lavoro (io insegno). E non era il caso.
Tutto questo per motivare le seguenti considerazioni: la terapia è utilissima, a me è stata d'enorme aiuto in entrambi i casi. Guai se non l'avessi fatta: sarei una persona diversa, molto meno consapevole, molto meno lucida.
Però credo che a volte nella vita capitino cose che non dipendono da te e ti fanno soffrire terribilmente: una separazione, un lutto, un licenziamento, la malattia di una persona che ti è vicina, mille sono le cose che la vita ci costringe a digerire anche se ne faremmo volentieri a meno.
Ebbene, io non mi sento forte abbastanza per affrontare tutto. Io sono sufficientemente equilibrata, ma so di poter cadere, di potermi piegare e non sono sicura che non mi spezzerò mai.
Prima di verificarlo sulla mia pelle, penso di non fare del male a me stessa se in qualche momento critico mi aiuto con qualche farmaco che lenisce temporaneamente il dolore. A volte aiuta.