O "curiamo" questa confusività o non se ne esce vivi
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Hara2 ha scritto:Ennesimo esempio di "cattiva" comunicazione
O "curiamo" questa confusività o non se ne esce vivi
NinfaEco ha scritto: @ Nextlife
Queste sono tutte tue convinzioni. Non mi sono mai sognata ( io) di dire ad un altra persona di rileggersi per convenire con me su quello che lei stessa pensava. Non sono stata io ad attribuire a loro una volontà di controllo nel momento in cui si sottraevano ad una mia domanda. Non sono stata io a lasciar intendere distinzioni di livello tra me e i miei interlocutori tali da far fallire gli intenti controllanti di cui avevo deciso fossero portatori.
Ad ogni mia affermazione ho premesso "credo" o ho interrogato l'altro scrivendogli "ho capito bene?". Mai ho esposto il mio pensiero come se dovesse essere intoccabile e fallace. Non si può dire altrettanto invece di tutte le risposte che ho ricevuto, in particolare di quelle che mi attribuivano pensieri e intenzioni.
Quindi, senza isterismo e senza girarci intorno, trovo inutile prendere parte ad un dialogo in cui l'interlocutore "mi inventa" di sana pianta.Hara2 ha scritto:Ennesimo esempio di "cattiva" comunicazione
O "curiamo" questa confusività o non se ne esce vivi
Secondo me lo scambio avvenuto è più che chiaro.
In ogni caso non sta a me curarlo.
NinfaEco ha scritto:Complice il mio stato d'animo odierno, coadiuvata dall'ultima sigaretta che mi resta e che è per me un fondamentale sussidio espressivo, faccio una domanda che mi frulla in testa da un po'. Che nessuno la intenda in modo diverso da come è posta perchè vi accollerò per intero la responsabilità di ogni attribuzione d'intenti indebita.
Sappiamo che qui circolano persone competenti in materia di psiche. A queste persone, in quanto uniche rappresentati della categoria qui presenti, vorrei rivolgere una domanda.
La domanda è chiaramente formulata sulla base un'impressione che è da intendersi come parte integrante del fenomeno da analizzare.
Come fate ad essere sicuri nell'affermare alcune cose o nel negarne altre sulla base della vostra disciplina? Che capacità di approssimazione alla certezza sentite di accordare alle spiegazioni formulate in base ad essa? Nel profondo di voi stessi, come vi fa sentire il possedere questo strumento? È irrilevante rispetto alla vostra persona la sua efficacia?
Sono tutte domande che nascono dall'aver percepito talvolta il possesso di questo strumento da parte di alcune persone come qualcosa che apporta distanza umana tra chi loro e chi non lo possiede. Dato che credo che si tratti invece di uno strumento che dovrebbe agevolare il contatto con ciò che è umano, la cosa mi ha lasciato molto perplessa. La peplessità alimenta in me la voglia di cercare... e cercare ancora. Ogni cosa è una ruota per il mio criceto, quindi se volete porgergli un semino ve ne sarà grato
Candido ha scritto:
Ritorniamo all'inizio, perché Ninfa esprime un'idea che infinite volte mi ha toccato. Idea che tenterò di semplificare (ciò facendo sicuramente e involontariamente cambierò il contenuto della questione, adattandolo al mio vissuto).
Ricordo un tempo, quando mi dichiaravo "comunista", di solito votavo PCI e seguivo una serie di formulette rituali adeguate al mio credo politico. Tramite un'operazione almeno in parte inconscia censuravo tutte quelle notizie e quei dati di fatto che potessero farmi entrare in conflitto con le mie idee, e mi rivolgevo con toni accesi a chi manifestava opinioni diverse dalle mie. Atteggiamento particolare, proprio di tanti, in cui SI ACCOPPIANO INGENUITA' E PRESUNZIONE.
L'esempio qui è tratto dalla politica, ma quello che interessa è la molla che scatta dentro di noi, si tratti di politica, religione, filosofia, psicologia...
E specialmente riguardo la psicologia il fatto è grave, perché un certo paraocchi ideologico ci impedisce di considerare la vera essenza di chi ci sta di fronte, nel caso in cui dobbiamo operare (da psicologi, psicoterapeuti, "coach" come oggi va di moda, non ha importanza) per AIUTARE qualcuno a ritrovare il suo equilibrio interiore. E' la nostra stessa insicurezza che ci porta a condurre le cose in nome di teorie, idee, schemi fissi, costruzioni che, come punti di riferimento, ci guidino nella nostra azione. Ma fino a che restano punti di riferimento, variabili in base alla PERSONA che ci troviamo di fronte, va bene. Il problema nasce quando questi punti di riferimento diventano scenari imprescindibili e inamovibili entro i quali sentiamo di doverci muovere...
Così vedo la questione, da paziente quale sono stato per almeno 15 anni...ma forse quello che dico apparirà scontato, banale...
Candido ha scritto:La risposta è banale, esiste una differenziazione secolare tra ipotesi, teoria e scienza propriamente detta. Sono differenze che conosciamo e che dovrebbero guidarci nel nostro modo di esporre e comportarci in generale. Non che non occorra per comodità e per altre considerazioni determinare, circoscrivere, ad esempio un disturbo mentale, come ossessione, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo bipolare ecc. (nemmeno li ricordo bene né so definirli correttamente).
Però alla fine sai, in casi estremi cosa succede? Accade quello che accadde a me tanti anni fa, quando ero in cura al CIM da una psicologa freudiana (definizione già assurda, ma in questi campi avviene l'assurdo, specie quando non hai soldi per regolarti altrimenti).
Parlavo innocentemente di un problema che avevo vissuto inquadrandolo in un certo modo mio personale...beh, lei andò su tutte le furie e quasi urlò che non dovevo esprimermi in quel modo, perché quel tipo di problema lo avevamo già inquadrato in un modo diverso, secondo il SUO schema...
Non fui capace di replicare, sono timido inoltre quella psicologa era carina e il transfert funzionava a un certo livello...psicofisico.
Ecco l'insicurezza che porta gli analisti spesso a trincerarsi dietro lo schermo dei loro schemi, per non dover fare lo sforzo di creare un vero rapporto di empatia, spesso difficile. In quei 15 anni andai in analisi anche da una tizia che praticava bioenergetica. Lei, in modo sincero e per me apprezzabile, mi disse all'inizio che NON ACCETTAVA pazienti coi quali questo rapporto di empatia non si creava. Insomma, rifiutava quelli che le stavano sulle balle...
Candido ha scritto:NinfaEco ha scritto:Complice il mio stato d'animo odierno, coadiuvata dall'ultima sigaretta che mi resta e che è per me un fondamentale sussidio espressivo, faccio una domanda che mi frulla in testa da un po'. Che nessuno la intenda in modo diverso da come è posta perchè vi accollerò per intero la responsabilità di ogni attribuzione d'intenti indebita.
Sappiamo che qui circolano persone competenti in materia di psiche. A queste persone, in quanto uniche rappresentati della categoria qui presenti, vorrei rivolgere una domanda.
La domanda è chiaramente formulata sulla base un'impressione che è da intendersi come parte integrante del fenomeno da analizzare.
Come fate ad essere sicuri nell'affermare alcune cose o nel negarne altre sulla base della vostra disciplina? Che capacità di approssimazione alla certezza sentite di accordare alle spiegazioni formulate in base ad essa? Nel profondo di voi stessi, come vi fa sentire il possedere questo strumento? È irrilevante rispetto alla vostra persona la sua efficacia?
Sono tutte domande che nascono dall'aver percepito talvolta il possesso di questo strumento da parte di alcune persone come qualcosa che apporta distanza umana tra chi loro e chi non lo possiede. Dato che credo che si tratti invece di uno strumento che dovrebbe agevolare il contatto con ciò che è umano, la cosa mi ha lasciato molto perplessa. La peplessità alimenta in me la voglia di cercare... e cercare ancora. Ogni cosa è una ruota per il mio criceto, quindi se volete porgergli un semino ve ne sarà grato
Ritorniamo all'inizio, perché Ninfa esprime un'idea che infinite volte mi ha toccato. Idea che tenterò di semplificare (ciò facendo sicuramente e involontariamente cambierò il contenuto della questione, adattandolo al mio vissuto).
Ricordo un tempo, quando mi dichiaravo "comunista", di solito votavo PCI e seguivo una serie di formulette rituali adeguate al mio credo politico. Tramite un'operazione almeno in parte inconscia censuravo tutte quelle notizie e quei dati di fatto che potessero farmi entrare in conflitto con le mie idee, e mi rivolgevo con toni accesi a chi manifestava opinioni diverse dalle mie. Atteggiamento particolare, proprio di tanti, in cui SI ACCOPPIANO INGENUITA' E PRESUNZIONE.
L'esempio qui è tratto dalla politica, ma quello che interessa è la molla che scatta dentro di noi, si tratti di politica, religione, filosofia, psicologia...
E specialmente riguardo la psicologia il fatto è grave, perché un certo paraocchi ideologico ci impedisce di considerare la vera essenza di chi ci sta di fronte, nel caso in cui dobbiamo operare (da psicologi, psicoterapeuti, "coach" come oggi va di moda, non ha importanza) per AIUTARE qualcuno a ritrovare il suo equilibrio interiore. E' la nostra stessa insicurezza che ci porta a condurre le cose in nome di teorie, idee, schemi fissi, costruzioni che, come punti di riferimento, ci guidino nella nostra azione. Ma fino a che restano punti di riferimento, variabili in base alla PERSONA che ci troviamo di fronte, va bene. Il problema nasce quando questi punti di riferimento diventano scenari imprescindibili e inamovibili entro i quali sentiamo di doverci muovere...
Così vedo la questione, da paziente quale sono stato per almeno 15 anni...ma forse quello che dico apparirà scontato, banale...
NinfaEco ha scritto:
Vedo che nel messaggio sopra dici di aver perso la questione di base a causa di certe dispute. Ti rassicuro innanzitutto perchè io non ritengo di aver avuto alcuna disputa con Yale, semmai ho discusso con Next ma sono cose che capitano. Quello che chiedevo inizialmente era semplicemente come sia possibile affrontare un ambito delicato come quello dell'analisi dell'altrui vissuto con sicurezza, essendo esso in parte oscuro. Chiedevo in come viene vissuta da chi detiene questo tipo di strumento questa condizione e se ciò influenzi la loro vita. Lo chiedevo senza chiamare in causa alcun eventuale comportamento scorretto ( passami il termine). Ma la discussione si è evoluta diversamente e i suoi sviluppi ne sono parte integrante trattandosi di un dialogo e non di un monologo.
Candido ha scritto:suppongo che spesso si vada per tentativi, non avendo vera conoscenza dell'altro, perché non la abbiamo neanche di noi stessi. Per cui si alternano momenti di anche eccessiva euforia, acerbe delusioni, stanchezza, entusiasmo ecc..
Non credo alla figura dell'analista freddo, asettico, distaccato. In genere , è vero, si deve dimostrare così con il "paziente". Ma è, come tutti, sottoposto a simpatie e antipatie, malumore e buonumore, banalmente...non è un robot. E non si sa fino a che punto riesce a nascondere i suoi sentimenti.
Ma dovrebbe rispondere alla tua domanda forse soltanto chi certe attività le pratica. Chiedo scusa...
Yale ha scritto: da quando Freud si sedeva alle spalle dei suoi pazienti le cose sono un po' cambiate:
Candido ha scritto:NinfaEco ha scritto:
Vedo che nel messaggio sopra dici di aver perso la questione di base a causa di certe dispute. Ti rassicuro innanzitutto perchè io non ritengo di aver avuto alcuna disputa con Yale, semmai ho discusso con Next ma sono cose che capitano. Quello che chiedevo inizialmente era semplicemente come sia possibile affrontare un ambito delicato come quello dell'analisi dell'altrui vissuto con sicurezza, essendo esso in parte oscuro. Chiedevo in come viene vissuta da chi detiene questo tipo di strumento questa condizione e se ciò influenzi la loro vita. Lo chiedevo senza chiamare in causa alcun eventuale comportamento scorretto ( passami il termine). Ma la discussione si è evoluta diversamente e i suoi sviluppi ne sono parte integrante trattandosi di un dialogo e non di un monologo.
Rispondo intanto a questi aspetti della questione. Non ricordo neppure se Next o Yale siano coinvolte nel discorso per la loro stessa occupazione. Io sono stato a lungo coinvolto, come accennavo, nel discorso come "paziente", affrontando nel tempo analisi sia individuali che di gruppo, tenute con sistemi diversi. Un giorno vi farò fare 4 risate ricordando alcuni avvenimenti accadutimi, alla Woody.
La ricaduta sull'altro sarà certo minore, però potresti rivolgere anche a me una domanda simile per quanto riguarda il mio rapporto con gli studenti. Fra l'altro proprio quest'anno sono incorso in una cazzata a livello psicologico da principiante...vabbè, capita, anche se quando parlo con i colleghi sembrano tutti gran sapienti. Vado per tentativi, suppongo che spesso si vada per tentativi, non avendo vera conoscenza dell'altro, perché non la abbiamo neanche di noi stessi. Per cui si alternano momenti di anche eccessiva euforia, acerbe delusioni, stanchezza, entusiasmo ecc..
Non credo alla figura dell'analista freddo, asettico, distaccato. In genere , è vero, si deve dimostrare così con il "paziente". Ma è, come tutti, sottoposto a simpatie e antipatie, malumore e buonumore, banalmente...non è un robot. E non si sa fino a che punto riesce a nascondere i suoi sentimenti.
Ma dovrebbe rispondere alla tua domanda forse soltanto chi certe attività le pratica. Chiedo scusa...
Ninfa ha scritto:«Sono tutte domande che nascono dall'aver percepito talvolta il possesso di questo strumento da parte di alcune persone come qualcosa che apporta distanza umana tra chi loro e chi non lo possiede. Dato che credo che si tratti invece di uno strumento che dovrebbe agevolare il contatto con ciò che è umano, la cosa mi ha lasciato molto perplessa.».
Yale ha scritto:Candido ha scritto:suppongo che spesso si vada per tentativi, non avendo vera conoscenza dell'altro, perché non la abbiamo neanche di noi stessi. Per cui si alternano momenti di anche eccessiva euforia, acerbe delusioni, stanchezza, entusiasmo ecc..
Non credo alla figura dell'analista freddo, asettico, distaccato. In genere , è vero, si deve dimostrare così con il "paziente". Ma è, come tutti, sottoposto a simpatie e antipatie, malumore e buonumore, banalmente...non è un robot. E non si sa fino a che punto riesce a nascondere i suoi sentimenti.
Ma dovrebbe rispondere alla tua domanda forse soltanto chi certe attività le pratica. Chiedo scusa...
Mi intrometto.
Sempre per il discorso delle teorie ingenue che ci guidano nelle diverse interpretazioni...
Parli ancora di "analista", ma ripeto, da quando Freud si sedeva alle spalle dei suoi pazienti le cose sono un po' cambiate: il terapeuta NON deve mostrarsi freddo e distaccato e non necessariamente deve nascondere le proprie emozioni, anzi...ci sono momenti in cui è utile che le sveli. So che richiedo una fiducia immensa con questa affermazione, ma non è questione di "andare per tentativi", no...anche questa eventuale "apertura" fa parte degli strumenti a disposizione: fondamentale sapere quando, come e con chi usarli.
Inoltre...sapendo che la conoscenza dell'altro non sarà mai totale, e che anche il migliore dei pazienti non si apre mai completamente (qualcosina la si omette sempre), se una psicoterapia si basasse solo su questo genere di "conoscenza", sarebbe fallimentare.
Hara2 ha scritto:Ninfa ha scritto:«Sono tutte domande che nascono dall'aver percepito talvolta il possesso di questo strumento da parte di alcune persone come qualcosa che apporta distanza umana tra chi loro e chi non lo possiede. Dato che credo che si tratti invece di uno strumento che dovrebbe agevolare il contatto con ciò che è umano, la cosa mi ha lasciato molto perplessa.».
Una domanda che ti andrebbe rivolta:
In quale situazione esattamente hai percepito ciò?
Candido ha scritto:
'Nzomma, io una risposta a 'sti problemi non ce l'ho, Ninfa neanche, tu, forse?
Candido ha scritto:
Certamente (sono passati però molti anni) nelle mie ultime esperienze da "analizzato" (diciamo così per semplificare) trovai analisti un po' "alternativi" che risentivano del clima sessantottin-settantasettista e non si mostravano affatto asettici. La domanda fondamentale potrebbe anche essere questa:
- Per un terapeuta è giusto o no manifestare una "sicurezza" che almeno all'inizio non può avere, al fine di rassicurare e infondere fiducia nel paziente? Ma se è così dovrebbe pure nascondere le proprie emozioni, inevitabilmente, e si rimarrebbe al solito gioco all'antica fra "io che so come guarirti" e tu che pendi dalle mie labbra. La psicologa da strapazzo (però bona) da cui andavo era giovane, avrà avuto la mia stessa età. Una volta senza accorgermene le detti del tu. Apriti cielo! Mi si rivolse con malcelato sdegno dicendo che noi "non potevamo essere amici". Mica le avevo chiesto l'amicizia, come oggi si fa su feisbùc anche con gli sconosciuti...D'altra parte, segni di debolezza da parte del terapeuta possono sconcertare l'analizzato e peggiorare il suo problema...
'Nzomma, io una risposta a 'sti problemi non ce l'ho, Ninfa neanche, tu, forse?
Io butto giù qualche pensieroCandido ha scritto:
Certamente (sono passati però molti anni) nelle mie ultime esperienze da "analizzato" (diciamo così per semplificare) trovai analisti un po' "alternativi" che risentivano del clima sessantottin-settantasettista e non si mostravano affatto asettici. La domanda fondamentale potrebbe anche essere questa:
- Per un terapeuta è giusto o no manifestare una "sicurezza" che almeno all'inizio non può avere, al fine di rassicurare e infondere fiducia nel paziente? Ma se è così dovrebbe pure nascondere le proprie emozioni, inevitabilmente, e si rimarrebbe al solito gioco all'antica fra "io che so come guarirti" e tu che pendi dalle mie labbra. La psicologa da strapazzo (però bona) da cui andavo era giovane, avrà avuto la mia stessa età. Una volta senza accorgermene le detti del tu. Apriti cielo! Mi si rivolse con malcelato sdegno dicendo che noi "non potevamo essere amici". Mica le avevo chiesto l'amicizia, come oggi si fa su feisbùc anche con gli sconosciuti...D'altra parte, segni di debolezza da parte del terapeuta possono sconcertare l'analizzato e peggiorare il suo problema...
'Nzomma, io una risposta a 'sti problemi non ce l'ho, Ninfa neanche, tu, forse?
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